lunedì 8 marzo 2010

Festa della Donna. Giornata gialla di bellezza troppo effimera. il gusto amaro di escoriazioni mi arriva fino in gola.
Ascolto Charlotte Gainsbourg e post-o un racconto scritto per chi mi ha amato nonostante tutto



PREHISTORIC VENUS

Faccio la doccia. Mi lavo con cura con sapone al gelsomino. Cerco di raschiare via la sensazione di sporco. Schiarisco lo specchio. Immagine appannata di bianco. Dicono che le somigli, ma non è vero. Mia madre negli ultimi tempi pareva una statuetta della fertilità preistorica: seno lento, antico, di latte e tenerezza decaduta, bacino aperto, fiore diradato. Guardarla mi metteva a disagi. Mi veniva da pensare che ero la causa di tutto, persino dello scorrere implacabile del tempo sui solchi della memoria. Le avevo regalato un accappatoio nuovo e firmato, ma era rimasto piegato in quattro nel cesto di vimini dell’ingresso.
Preferisco mettere quello a quadri. Mi pare di essere in compagnia.
Quello a quadri era degli anni Settanta e la spugna era consumata lungo il collo.
Quello a quadri era di mio padre. Tutto era così in quella casa. Lui se n’era andato senza mai andare via davvero. Restavano tracce ovunque, nascoste e silenziose per concederle piccoli momenti di nostalgia dietro alla corazza concreta dei giorni. una volta alla settimana Daria entrava in bagno, si sciacquava senza entusiasmo con schiume scadenti per poi coccolarsi per ore con creme profumate di mora, vaniglia, cioccolato. Usciva in una nuvola di vapore, con i capelli ancora avvolti in un asciugamano umido. Con quel esotico turbante da Moira Orfei che oscillava pericolosamente senza cadere e senza sciogliersi, accendeva il forno e puliva patate e gamberoni da sistemare nella teglia. Il metallo cotto dall’acido aveva partorito romantici momenti in bianco e nero. Subito dopo il matrimonio erano stati a Venezia. Non in viaggio di nozze, però. Non avrebbero avuto i soldi per una sola notte al Danieli. Erano partiti una mattina di aprile prendendo a casaccio il primo treno in partenza alla stazione. Era stato prima dell’alluvione di Firenze, molto prima che io nascessi.
Una bambina può rafforzare un rapporto. O incrinarlo per sempre. Giorni di ospedale e preghiere ad un dio distratto che mi aveva dato un nome sbagliato. L’amore era rimasto, ma come una tazza fissurata che può spaccarsi ad ogni giro di microonde.
Salvare il salvabile. Vietato piangere.
In primavera passavamo le vacanze tutti e tre insieme. Bordeggiavamo appena sottocosta, le vele spiegate nel vento, scoprendo meravigliose isole su scogli rifugio di gabbiani. Non ricordo molto di quel periodo, solo l’odore di lacca e sale sottocoperta e una lieve tensione nell’aria. Restavo per ore a giocare in una piscina gonfiabile di plastica azzurra mentre la nostra gatta, a prua, spiava i pesci che guizzavano tra le onde. Da qualche parte, in uno scatolone sepolto dai miei mille traslochi, devo avere ancora delle foto, ma preferisco lasciarle là sul fondo del ripostiglio, in alto, dove non si arriva nemmeno arrampicandosi sulla scala.
Amo la musica ma da quando la mamma è sparita, ho nascosto anche i suoi cd e ho cominciato a cambiare casa con una rapidità allarmante. Sempre più in fretta, sempre più lontano, seguita da un corteo di libri e frammenti di vita eppure il paesaggio fuori dalle finestre piombate di un attico
ultra-moderno è lo stesso che vedevo affacciandomi sulle colline della mia città: palazzi, e luci, e strade. Dove sono? Nuvole cariche di pioggia. Le cattive previsioni sono quasi sempre azzeccate. Infilo i Dottor Marten’s verde petrolio, verde lucertola e una gonna di lana scura.
Odio il freddo, gli spilli di acqua gelata che ti inzuppano i guanti fino a farti dolere le dita e come al solito l’autobus è in ritardo. Mi accendo una sigaretta nell’attesa, per confermare quel rito che ti costringe a schiacciare il mozzicone mezzo consumato contro il muro per poi inalare puro catrame tossico, durante la pausa pranzo (“Bisogna fare economia in tempi di crisi” ). Non mi è mai piaciuto fumare. Ho iniziato dopo che al commissariato un poliziotto gentile – occhi verdi e accento del sud – mi ha detto che avrebbero sospeso le ricerche. Il fumo di una Wiston è il mio modo disperato di essere ancora bambina, ancora figlia, ancora divinità.

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