lunedì 2 gennaio 2012

FIORI DI LILLA'

un po' di cose nuove...
intanto vi regalo questo racconto dalle atmosfere natalizie
Dedicato in particolare a Nana

Scendo in cantina a prendere lo zaino da trekking, quello con le rotelle, un tolley-transformer che mi ha ceduto un’amica e che non vedrà mai le vette dell’Himalaya, al massimo gli scaffali di un supermercato o i corridoi del negozio di manga di Sinesio – un giorno o l’altro mi devo ricordare di chiedergli dove i suoi genitori abbiano pescato un nome del genere! –
Prima di ripulire lo schienale e gli spallacci dalla polvere accumulata in mesi e mesi di paziente oblio, stacco la fascetta adesiva di un viaggio non mio. L’etichetta dice solo GOA. Nessuna indicazione sull’aeroporto di destinazione, come se quel bagaglio si fosse limitato a fare un mesto giro di tapis roulant nel Cristoforo Colombo di Genova per poi essere riportato a casa ancora pieno di sogni. E così mi metto a fantasticare …
Considerando la preoccupante evanescenza dei capitali, potrei prendere un po’ di quei risparmi che stanno sonnecchiando alla posta con un esorbitante zero percento d’interessi e andare a trovare Emily in Canada a Natale, perché no? Spirito errante, non la vedo da un secolo e dovrei approfittarne ora che si è temporaneamente fermata in un luogo raggiungibile con una decina di ore di volo e pochi disagi. In fondo lei è stata oggetto della mia amicizia adorante, un sentimento strano che forse ha a che fare con l’affetto e con il senso d’inferiorità. Ci conosciamo fin da piccolissime, anzi, quella ragazzina era sempre stata al mio fianco, come un doppio migliore, lontano e discreto. Ora lei vive a Montreal.
Curioso, quando avevo circa dieci anni, anch’io sognavo di trasferirmi in Canada. Era l’epoca remota in cui dicevo di voler diventare biologa marina per studiare i delfini e le balene (strane ambizioni per una bambina delle elementari).

Adesso mi ritrovo con orizzonti molto diversi ma l’idea di rivederla dopo tanto tempo e di camminare con lei per le strade piene di luci mi provoca un piacevole formicolio al naso e una leggera scarica di adrenalina.

Le mie nozioni riguardo al Paese dei Grandi Laghi sono folkloristiche, imprecise e televisive. Sullo schermo LCD del mio cervello scorrono le immagini di una Toronto british, ricostruita su un set; e poi c’è il documentario di Michael Moore ... il Canada è un’America più civile, con meno cowboy. Ma quanto è lontana Montreal? A pensarci mi viene in mente solo una canzone che mi cantava sempre mia nonna, col suo dolce accento veneto, e vedo solo stradine tranquille fiancheggiate di casette dai colori pastello con vasche di pesciolini rossi sui balconi scaldati da un mite solicello. E poi i fiori. Lillà. Anche se non credo che il clima a quelle latitudini consenta davvero di coltivare alcunché. Già, cercando di essere pratici: come mi posso immaginare le vacanze di Natale in un posto che di per sé comunica l’idea di freddo azzurro?
Sul divano, con il laptop sulle ginocchia cerco informazioni e foto su internet come scenario del mio film immaginario.

E allora eccoci: al tavolo di legno di un bistrot a bere un caffè nero e forte. Lei ordina pancake con sciroppo d’acero, nel tentativo perenne di farmi invidia, e inizia a parlarmi del suo lavoro di grafica e web designer (qualcosa che io – creatura profondamente analogica - fatico a capire), dei suoi mille impegni, dei God speed you! Black Emperor, di racconti di fuga e di un romanzo canadese con un titolo strano e lieve, che ha a che fare con le migrazioni dei pesci … e io mi sento un salmone in una corrente di parole. Con la tazza fumante tra le mani, mi limito ad annuire, fissando il ciondolo di cristallo che brilla sulla lana rossa del suo maglione.
In sottofondo, la Callas canta.
Ci alziamo lasciando qualche moneta su un piattino di porcellana bianca con un leggero motivo floreale. In tutto sono cinque dollari, cinque “piastre” in questa parte della Vecchia Montreal orgogliosamente francofona.

Le vetrate di Notre Dame, poco distante, amplificano la luce viva di un palcoscenico steampunk: nuvole di vetro color metilene irradiano la benedizione di santi neo-gotici
Emily mi stringe la mano, le sue dita ancora tiepide.
Dal fondo della navata, osserviamo il Paradiso. Penso che Dio stia nei particolari, ma a volte la grandiosità dell’arte riempie l’anima, non credi?
Anch’io sono senza fiato: schiere angeliche fuggono verso l’alto, in una perfetta sequenza ogivale.
Perché non andiamo a vedere la parata dei Santa Claus, stasera?

Sul ciglio della strada, lei sbocconcella omini pan-di-zenzero pescandoli da un sacchetto di carta. Sembra una bambina impaziente di aprire i regali, come se credesse ancora – almeno un po’ – alla magia dei folletti, ai soldatini che prendono vita accanto al camino e al naso luminoso della renna Rudolph. Alla fine mi lascio contagiare da quell’atmosfera che odora di neve e di gioia e ridendo ci mettiamo in fila per sederci in braccio a un Pére Nöel dalla vistosa barba posticcia. Il mio corpo sottile potrebbe essere quello di una ragazzina di dieci anni, potrei ancora sognare di curare cetacei e vivere una vita normale.
Che cosa vorresti trovare sotto l’albero? – Oh, oh, oh (pessima recitazione di chi ha dovuto ripetere lo stesso copione mille volte e avrebbe solo voglia di un buon sorso di whisky)
Nessuna esitazione nella mia ritrovata voce infantile. Un nome nuovo e un’enorme candela alla vaniglia.
A pochi passi dal mio desiderio luccicante, Emily sorride: Andiamo, Lucie Michelle
Suono melodioso che mi scivola addosso come acqua.

Il suo appartamento è in un edificio di mattoni in una via tranquilla e silenziosa frequentata dai gatti. Una mansarda accogliente in cui ogni minimo spazio trasmette serenità famigliare.
Il ronzio mulinex delle fruste accompagna il motivo di We wish you a merry Christmas, che arriva indefinito dalla tv mentre il computer suona a ripetizione un pezzo violento degli Slipknot. In cucina lei sta montando un yogurt magro da guarnire con fragole così vermiglie da sembrare incoerenze di plastica: così avrò qualcosa di simile a un dolce di Natale, senza la paura ossessiva di infrangere severi comandamenti dietetici.
Ho sempre trovato strana la tendenza a preparare piatti con ingredienti fuori stagione. Quando ancora tutti gli amici si riunivano da me per scambiarsi gli auguri ed io curavo personalmente il menù per il party, seguivo meticolosamente una ricetta per il pudding che prevedeva dei ribes. Li prendevo al banco di delicatezze esotiche al mercato e li portavo a casa orgogliosa come un cavaliere che torna al castello con le squame del drago …
Senza spegnere le fruste, Emily mi urla di accendere il collegamento internet. L’orologio digitale segna le 23.48; in Liguria sono quasi le 6 del mattino. È ora.

Apriremo i nostri doni in video-conferenza, con rotonde: libri, cd, persino una lampada rosa di Hello Kitty …
E poi, una sorpresa incantevolmente telepatica:
una farfalla di cera profumata.
Andiamo a dormire all’alba. Un timido sole starà abbracciando i campanili della mia città senza ombre (Sul piccolo pianeta ti bastava spostare la sedia di qualche passo. E guardavi il crepuscolo tutte le volte che volevi … “Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatre volte. Sai … quando si è molto tristi si amano i tramonti” “Il giorno delle quarantatre volte eri tanto triste?” Ma il Piccolo Principe non rispose). Gli orari sono solo convenzioni create dagli uomini, qualcosa che si può piegare, tagliare modificare. Un’ora, tremilaseicento secondi …
Guardo ancora i numeri luminosi sul display, accanto al simbolo che annuncia una debole perturbazione in arrivo.
Da bambine, quando andavo a trovare Emily da sua madre, restavamo sveglie a chiacchierare per tutta la notte, con l’inquilino del piano di sopra che batteva la scopa sul pavimento se ridevamo un po’ più forte. Ora il letto che condividiamo è enorme, morbido e trapuntato di flanella viola, proprio sotto il grande lucernario sul tetto. La purezza di un milione di stelle forse annuncia la neve.
Mi alzo. Prendo un bicchiere d’acqua. La lampadina bianco-alieno del frigo illumina Emily che si muove appena sotto le coperte, persa in un pigiama over-size decorato con dei pinguini. Metto il nuovo abat-jour sul tavolo e inserisco la spina – la luce è bassa e discreta come un sussurro. Prendo un libro tra quelli accatastati alla rinfusa sui ripiani di una libreria a gradini: Short Stories di Jack London. Mi siedo bevendo Evian a piccoli sorsi. Nel Klondike, un esploratore “costruisce” un fuoco di fortuna per sopravvivere tra i ghiacci.
La fiammella della candela trema leggermente, un’ala della farfalla si è quasi consumata.

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