martedì 12 giugno 2012

JOSÉ ÁNGEL FERNÁNDEZ SILVA WULIANA

9 giugno 2012. La sera scende fresca sul Palazzo Ducale di Genova. José Ángel Fernández Silva Wuliana si presenta sul palco del Festival della Poesia indossando un cappello di fibre vegetali; legge i suoi componimenti e accompagna la traduzione italiana con le note degli strumenti tradizionali. Ma le strofe hanno già cambiato accento, perché le civiltà si costruiscono in base convenzioni specifiche che vanno di volta in volta confermate, metriche diverse che stabiliscono le regole del gioco.


Il poeta sa che gli uccelli sono i messaggeri che hanno dato la voce a Dio, ma egli si rende conto che, nell’interpretare questo canto, non tutto è detto chiaramente detto. Al centro dell’universo, i parolieri trasformano il loro compito filosofico e smerigliano il linguaggio, per risolvere i problemi del corpo e dello spirito e trarre un insegnamento proficuo dall’universo. Così, la grandezza del paesaggio si riduce così alla fragilità dei bambini – vere divinità terrene – e ogni problema trova la sua soluzione ideale.

Nato a Paraguipoa, nella verde e stretta fascia costiera, lontano dai principali centri urbani, Fernández Silva Wuliana è il brillante interprete di un’antropologia lirica e partecipata, capace di trasformare la parola in musica e racconta il legame mitico e quotidiano dell’Uomo con la Natura e di mantenere un legame saldo sia con l’ambiente contemporaneo sia con la memoria. Come primo scrittore wayúu e studioso di linguistica, è impegnato nella traduzione in wayúunaiki di Cent’anni di Solitudine, un romanzo corale in cui l’uso quasi magico dei termini contribuisce all’incessante lotta contro l’oblio.

Nel ritmo dei suoi versi ci sono le leggende di un mondo originario e il suono di una lingua precolombiana diffusa nello Stato di Zulia (Venezuela) e nel Distretto della Penisola Guajira (Colombia) e parlata da circa ottocentomila persone. Gli idiomi del ceppo Arawak comprendono toni secchi e morbide scivolate: pare di ascoltare il rumore del tuono e della pioggia sulle foglie o il movimento della sabbia mossa dal vento che soffia sui monti sulle dune. In questi suoni riposano le grandi verità sulla Creazione e i particolari umili della vita quotidiana, il senso dell’esistenza collettiva e i resti di sogni individuali, qui si ritrovano le vestigia di un antico spirito di ribellione e il bisogno inalienabile di libertà.

La Costituzione venezuelana del 1999 riconosce una società “multietinca e pluriculturale” e si prefigge di proteggere l’ecosistema, la pace e l’autodeterminazione di ciascun popolo: fuor dal nazionalismo incentrato sulla retorica del sacrificio eroico, le nuove leggi hanno accordato maggior autonomia ai trentasette gruppi ancestrali presenti sul territorio e il Ministero della Pubblica Istruzione ha avviato dei programmi d’educazione bilingui.

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