lunedì 10 giugno 2013

TSURITAMA


Ho scoperto per caso Tsuritama, ed è stata una piacevole sorpresa. Il talentuoso regista Kenji Nakamura (“Mononoke”, “C- Control”, “Soul Taker”, “Big O”) firma dodici episodi leggeri e ben realizzati sviluppano una trama inconsueta, per il contenitore noitaminA.
Yuki Sanada si trasferisce in una piccola cittadina dell’isola di Enoshima. , che il solito ragazzo introverso, chiuso e senza amici, costretto a cambiare spesso scuola e compagni (in realtà, la mia insegnante di giapponese dice che i trasferimenti di studenti, con la classica presentazione in piedi davanti alla lavagna, sono una rarità!). Forse il senso di disagio che gli procura veri e propri attacchi di panico deriva anche dal fatto di essere un “harufu” (half) e vive con Kate (Keito), la nonna francese amante dei fiori. Per far sentire Yuki a proprio agio non c’è nulla di meglio di un ragazzo ancora più “alieno”, nel vero senso della parola!

Haru va in giro con una pistola ad acqua e dice a tutti di essere un extraterrestre. Fin dal primo momento i due stringono una curiosa amicizia, anche perché H, attirato dalla bellezza del giardino di Kate, decide di abitare nella villa e la donna acconsente subito con una generosità un po’ inspiegabile. Con queste premesse, non si respira l’atmosfera cupa del manga “A Lollipop or a Bullet” di Kazuki Sakuraba, in cui la protagonista affermava di essere una sirena per coprire una dura situazione di violenza domestica e, anche se la situazione di emergenza in cui si trovano le persone sfollate ricorda il dramma del terremoto di “Tokyo magnitude 8.0”, qui i toni sono più lievi, vicini alla commedia per l’infanzia e allo slice of life in stile “Ano Hana”.
Il primo riferimento che viene in mente è senz’altro “Ponyo sulla scogliera”: l’evoluzione narrativa dell’anime ha molto in comune con il film di Hayao Miyazaki, anche se il regista non ha mai amato la Sci-Fi e quindi la similitudine più appropriata potrebbero essere “Ufo Baby” – dato che il mezzo spaziale a forma di funghetto ricorda le linee tondeggianti del mini-ufo del piccolo Lou – o la serie “Stitch!”, adattamento giapponese (di Masami Hata) del film Disney.

 Sì, perché Haru e sua sorella Coco sono davvero creature acquatiche venute dallo spazio e hanno il potere di controllare la volontà degli umani, pur non essendo pericolosi: l’unico effetto della loro ipnosi liquida parrebbe quello di costringere la gente a ballare la danza tradizionale Enoshima-odori. Il risultato finale della loro invasione sarebbe quindi più comico che preoccupante, paragonabile alle avventure di Ika-musume, una ragazza pesce meno nota partita alla conquista della Terra.
 Nessun problema, dato che i fratelli s’integrano perfettamente con i residenti del paese e, grazie al loro compagno Natsuki Usami – detto il Principe – che inizia Haru e Yuki ai segreti della pesca e comincia a lavorare con loro sulla nave di Ayumi Inoue. Man mano si svelano le storie dei tre liceali e la dinamica della loro vita diventa più complessa. La passione per la competizione ittica apre a Yuki e Haru le porte del negozio di attrezzature Hemingway, dove incontrano la commessa Misaki, l’amore (non troppo segreto) del Capitano (la relazione tra i due ricorda quello parodistico tra Kasumi e il dottor Tôfû in Ranma ½ , con lui che corre urlando di gioia ogni volta che lei gli rivolge un complimento). L’intera isola gravita intorno allo spaccio; e la famiglia Usami non fa eccezione.


Il rapporto tra Tomatsu e suo figlio è molto teso perché il ragazzo non accetta che, dopo la morte della madre, il padre si sia innamorato di Mariko e anche Sakura, la sua sorella minore affronta con difficoltà il nuovo assetto famigliare, conservando ancora molto vivo il ricordo della madre; solo alla fine, com’era auspicabile, tutte le incomprensioni si appianano e gli adolescenti della ciurma si trasformano in veri eroi.

A partire dalle esercitazioni estenuanti per centrare un secchiello lanciando l’amo (in puro stile shônen), fino alla cattura di una tonno per festeggiare la guarigione di Kate, per arrivare alla risoluzione del conflitto finale in mezzo alle onde, il timido Yuki segue un percorso di formazione che lo porta a conoscere meglio se stesso e gli altri, accettando la sua individualità e la diversità altrui. Se capita che aggredisca Haru accusandolo di non capire i sentimenti degli uomini, si rende conto che ognuno ha una dimensione interiore, una sfera emotiva che non si deve esteriorizzare. Questo è un aspetto della socializzazione molto evidente in Giappone, dove l’opposizione tra la facciata (omote) e ciò che sta dietro (ura) non ha un mero valore spaziale e si connette alla dicotomia tra pubblico (tatemae) e genuina emozione privata (honne).

Sakura soffre per la morte di sua madre, Yuki si preoccupa per la salute della nonna. La reazione dei giovani di fronte all’ineluttabilità della malattia è un altro elemento fortemente miyazakiano che riporta alla delicatezza biografica de “Il mio vicino Totoro”. Ovviamente anche l’ambientazione marittima, il riferimento diretto al fenomeno del kamikakushi (rapimento da parte degli dei) o anche la presenza secondaria di un gatto – come controparte ideale dell’oca Tapioca (l’assonanza in italiano è geniale ma è del tutto casuale!) riportano al regista di Koganei e mentre si avvicina lo scontro con un compatriota di Haru e Coco, la ciurma del Shunseimaru deve affrontare la forza di un tifone, con giganteschi cavalloni che si animano di mille pesciolini (con un ottimo impatto visivo – fusione di tecnica tradizionale e digitale – ma comunque meno riuscito rispetto alla memorabile corsa di Ponyo tra i flutti) e la benevola dea del mare degli antichi rotoli porterà l’ispirazione per sconfiggere un nemico che forse nemico non è, proprio come avveniva dopo l’intervento della Granmamare, madre della bambina-pesce dello studio Ghibli.

Esattamente come nell’universo di Miyazaki, in questa fiaba si cancella la netta demarcazione tra Bene e Male.
Durante l’estate, un altro studente compare nella classe dei protagonisti. Akira Agarkar Yamada è un indo-giapponese affiliato all’organizzazione investigativa Duck incaricata di fermare i progetti coloniali degli alieni, neutralizzandone i poteri con enormi phon. È chiaro che tutti gli aspetti connessi alla struttura di quest’istituzione sono caricaturali e funzionali a creare gag divertenti.




Il gesto in codice che chiude le comunicazioni tra le squadre operative e il capo, un individuo ambiguo che non avrebbe nulla da invidiare a Ziggy Stardust, è studiato per diventare un tormentone tra i più piccoli e ricorda molto da vicino le mosse standardizzate dei sentai mono vecchio stile; e c’è persino una mascotte, destinata probabilmente a generare una serie infinita di pupazzi.

Sotto quest’aspetto, l’anime segue uno schema classico che si è rinnovato in alcune produzioni recenti del genere comedy fantascientifico e non è da escludere che la strana scelta di un’anitra col turbante sia una risposta scherzosa al dilagare mediatico dei pinguini che, dal capostipite Pen di “Neo Genesis Evangelion” fino agli epigoni kawaii di “Mawaru Penguindrum”, spopolano negli anime.

Se anche Urara, l’alieno responsabile del magnetismo delle Bermuda, nella sua forma umana e pacifica ha qualcosa in comune con il fascinoso dottor Watase di Brain Base, l’accostamento surreale tra uccelli (sfeniscidi e non) e pesci (a volte volanti) avvicina “Tsuritama” a “Tokyo ESP”, manga sui poteri extrasensoriali che sta per essere trasposto in anime e che declina in maniera diversa la suggestione visiva di una delle scene chiave di “Tsuritama”.

Quando una pioggia di pesci ricopre le strade della città in staro d’emergenza. La caduta di esseri marini o uccelli può effettivamente verificarsi dopo un tornado o uno tsunami, ma è comunque un evento piuttosto insolito che nell’antichità veniva associato ai cataclismi di portata divina e che in epoca contemporanea si è vestito di un’aurea di magia surreale, diventando spunto per episodi letterari (“Kafka sulla spiaggia” di H. Murakami), cinematografici (“Arizona Dream” di Kusturika) o artistici (il Pop Surrealism di Nicoletta Ceccoli).

D’altronde l’atteggiamento caricaturale del capo della Duck ha qualcosa in comune con un personaggio di un’altra opera di Segawa, la direttrice dell’Agenzia per la Prevenzione dei Disastri Sovrannaturali (di “Ga-Rei”), a sua volta un mix parodistico tra la versione invecchiata di Fujiko e i personaggi di “Ghost in the Shell”. Forse il charachter design è proprio il punto debole di “Tsuritama”: i ragazzi sono ben disegnati ma le ragazze sono graficamente troppo simili tra loro, con l’unica eccezione di Coco che è assolutamente perfetta per il cosplay, mentre gli anziani meritano un discorso a parte. I due personaggi più “âgés” si ricollegano ancora agli stilemi di uno Stitch / Miyazaki in salsa hawaiana. Kate è una donna ancora attiva nonostante i suoi problemi cardiaci, che conserva la grazia e la ricercatezza di una persona di città, pur vivendo a contatto con la natura lussureggiante di Enoshima.

Cercando un paragone nel portfolio Ghibli, la figura più simile è certamente Sadako di “Arrietty”ma, mentre la zia che ritrova la semplicità nella villa dell’infanzia ha il suo contraltare nella rozza e goffa domestica (che è esagerata come molte delle vecchine di Hayao o di Ranma ½), la straniera Keito è complementare a Heihachi. Il sindaco /sacerdote del paese insulare coniuga modernità vacanziera e tradizione: insegna a tutti il ballo di Enoshima da praticare durante le feste estive, indossa una camicia floreale e occhiali da sole, e svela a Yuki la leggenda contenuta nelle pergamene, che consentirà di salvare la Terra dalla distruzione. Da chi potrebbe venire l’ispirazione per questo signore? Tre immagini prese di getto: il Maestro Rôshi di Dragon Ball – per il tratto infantilizzato e irriverente con cui Toriyama mescola passato e presente consumistico – il Dottor Jumba, scienziato alieno creatore di Stitch – per il gusto kitsch nell’abbigliamento e per l’equilibrio apparente tra “bontà” e “malvagità” (perché i movimenti insegnati dal vecchio sono gli stessi che fanno gli umani ipnotizzati dagli extraterrestri?) – e il padre di Kunô, preside americanizzato della scuola di Ranma.


In generale comunque, i personaggi femminili sono poco sfruttati e rimangono forse un po’ troppo ai margini della storia quando invece avrebbero potuto dar origine a sottotrame interessanti → Ad esempio, i risvolti sentimentali della vita sull’isola sono trattati molto di sfuggita sia la nuova fidanzata del signor Usami sia Erika (la ragazza che piace a Yuki, nipote del sacerdote) sono comparse molto secondarie.

Un’ultima curiosità riguarda i nomi dei personaggi, che rievocano i concetti chiave dell’anime: ad esempio, i primi due ideogrammi del cognome “Usami” 宇佐美 significano rispettivamente “spazio” e “aiuto”; il primo carattere del nome Misaki(海咲) – la commessa del negozio di articoli per la pesca – vuol dire “mare”, scegliendo una grafia non usuale per questo nome; Haru, che appare sempre riportato senza ideogrammi, potrebbe voler dire “primavera”, facendo pensare all’amore del ragazzino alieno verso i fiori.



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