martedì 13 maggio 2014

TAMING ALISSA


 
«Ehi, è pronto!» Controvoglia chiudo il computer e spengo la luce, pronta per l'ennesima dose di prediche.

Ieri Cassy - nelle vesti amare di D – ha scoperto uno dei miei imbrogli numerici e ora mi sta col fiato sul collo (a questo punto è come quando in clinica ti metti in fila per la pasticca). Non sarà piacevole.

Faccio una smorfia. “Perché mi ha chiamato se la cucina odora ancora di cane bagnato e sul tavolo regna il caos di Sodoma e Gomorra?”

 

In realtà Cassy sta cercando espedienti per risvegliare il mio scarso interesse. Due giorni fa è riuscita persino a strapparmi una risata «Ti servono delle magliette brutte per stare in casa?» Dispiega una t-shirt bianca con la scritta “La storia di Francesco” sopra a un disegno simil-cubista «Adesso sembra una maglietta del papa!»

 

Il nuovo obiettivo è analizzare l'intricatissimo orario delle corriere che scendono “in città”.  Accompagnarmi in macchina la ferisce con tutto il peso di ciò che lei non è più ma andare da sola mi conferma l'incredibile solitudine che mi porto dietro.

Sospiro.

La prima tappa sarà la stazione: devo comprare un biglietto per andare a trovare mio fratello Sam (anche se penso che rovinare i suoi pomeriggi di fancazzismo vacanziero una volta l'anno non sia sufficiente a definire il mio ruolo di sorella maggiore).

Il parallelepipedo dell'edificio nuovo ha un che di pretenzioso e ridicolo, coi due binari piazzati sul fondo dei tapis roullant perennemente rotti, ma per oggi mi fermo nell'atrio semi-vuoto e aspetto il mio turno dietro a due tedeschi in tenuta balneare.

Il supermercato sarà la seconda meta, tanto per rimpinguare scorte e varietà di cui mi vergogno (e che è meglio non specificare). Passando tra gli scaffali stipati di merce multicolore scelgo anche un succo di frutta e un pacchettino di biscotti da offrire nel caso il tuttofare albanese torni con la sua splendida bambina di due-barra-tre anni. Giovedì è passato prima di andare allo spettacolo dei burattini nel campo sportivo polivalente. La piccola ha i capelli color miele, due occhi enormi da Bambi e un vestitino azzurro ... Potrebbe essere Alice prima d'incontrare il Bianconiglio, prima che suo padre la dichiari pazza e tenti di rinchiuderla. L'ho guardata muovere timidamente la manina per salutarmi e sono tornata per un secondo umana, con il vago desiderio di sentirla parlare. O di farla sorridere ....

Dunque l'idea è di comprare una merenda per addomesticare la mia volpe, ma il panorama di curve che si snoda giù per la collina mi colpisce come un insulto, con un cobalto screziato di bianco tanto bello che meriterebbe di essere in un quadro impressionista (o almeno in una buona riproduzione) e invece mi sta davanti, troppo reale perché io possa raggiungerlo.

Mi siedo sull'autobus sforzandomi di concentrarmi su qualcos'altro. Alzo al massimo il volume della musica per annullare le conversazioni di due ragazzini ma uno di loro mi tocca su una spalla «Sorridi, che la vita è bella!» Il tono, come sempre è beffardo. Non rispondo, non reagisco. Sono una statua di pietra. “Sarà bella la tua, di vita, stupido truzzetto di periferia con il cappellino rigido. Ti sentirai momentaneamente appagato ora che puoi titillare il nuovissimo modello di I-Phone”.

“E comunque, io sono sprofondata tante di quelle volte che  per uccidermi non basterà di certo la tua battutina appesa a un filo di ragno”. Aumento ancora i decibel e provo a immaginare il mio cervello che esplode  tappezzando l'abitacolo di materia grigia (solo che non è grigia. È verde smeraldo. Perché sono un'aliena).

Al ritorno, sulla piazza del paese, mi ricordo della lezione degli irriducibili punk scozzesi. Se un insetto ti molesta, ti giri con un movimento abbastanza fluido del polso e gli molli una catenata dritta sul naso. Per questo, alle 19.09 ora locale entro dal ferramenta e chiedo cinquanta centesimi di anelli ferrati da serrarmi intorno al collo con un'opportuna spilla da balia. Il commesso, ovviamente, non capisce. «Vieni giù che ti faccio vedere» Armato di tenaglie, mi porta in un capannone sotto il livello della strada (non nascondo che la situazione ha dei risvolti inquietanti).  «Attenta al ... » Cammino su di una pozza di cemento scuro e uniforme. Mi guardo indietro: forse ho lasciato l'impronta come una star del Walk o' Fame? No, non ci sono tracce. Evidentemente non sono destinata a restare nella memoria distorta dei poster(i).

 

Come previsto D ha smesso di parlarmi (stiamo facendo il gioco del silenzio per vedere se così riusciamo a respirare senza sbranarci) e l'atmosfera è pesante – come a dire “Per quanto ti ribelli, saremo sempre prigioniere, ma chi è il carnefice e chi la vittima?”. Invece d'informarsi sulle novità del mondo esterno (che mi disturba), lei si limita a incurvarsi sulle sue piante, con una tetta che le penzola fuori dal costume giallo. Ecco un'altra mirabile barriera per tenermi a distanza ... Un giorno o l'altro potrei lanciare un aeroplanino acceso tra le foglie.   

http://youtu.be/xGQ6dCUSfHc

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