lunedì 11 marzo 2013

PECORE E ALTRI ANIMALI (GvsP #15)


«Ciao, come stai?»


Non vedo Megami da un mese e appena compare sulla porta mi sento invasa da una dolce sensazione di tranquillità, avvolta in un’aurea dorata di profumo al patchouli. Anzi no, sono convinta che se glielo chiedessi, lei risponderebbe che non usa nessun deodorante e che quello è il suo odore naturale – E dall’alto del suo snobismo aristocratico, il fantasma di mia nonna direbbe che “una donna senza profumo non ha personalità”.
«Eh, che vuoi che ti dica? Ieri in casa stavo impazzendo e così sono uscita a fare la spesa e mi sono presa un bel raffreddore … Potrei avere anche un po’ di febbre, ma non credo di essere contagiosa!» Sotto la il cielo che si trasformava in pioggia e la pioggia che voleva trasformarsi in neve, avevo sentito il bisogno di camminare per schiarirmi le idee e respirare e avevo macinato un paio d’isolati, fino al supermercato, con la scusa di una lista di provviste neanche troppo necessarie e incurante delle raffiche di vento che rivoltavano la tela dell’ombrello.

Sospira «Ultimamente succede anche a Schop: sta sempre chiuso in camera, beve litri di caffè troppo zuccherato, non dorme e poi sclera. E finisce che tiene sveglia anche me, e litighiamo»

Schop è il suo ragazzo, chiamato così perché sia per il cognome sia per l’attitudine ha delle curiose affinità con un filosofo tedesco.

In cucina, facciamo bollire l’acqua e prepariamo del tè verde alla fragola.

Le offro dei biscotti danesi in una scatola di latta blu. Mi chiedo cosa succederebbe se ne assaggiassi uno anch’io (Ricordo vagamente il sapore del burro un po’ salato) … Cosa succederebbe se …?

Anche se il mio lato razionale sa che non va bene, un diavoletto mi dice di ridurre le quantità giornaliere di cibo, di sottrarre, di rubare ….


«E, come se non bastasse, stamattina mi sono camallata da sola un sacco di sabbia da dodici litri! Dodici, capisci? Una fatica mitologica»

«Siamo demoni colpiti da una bomba all’Acqua Santa, my love»

Sullo schermo del portatile, due fratelli combattono Satana avvolti dalle fiamme blu.

Le sfioro un orecchio. Ha le orecchie piccole e aggraziate delle donne dei ritratti ukuyo-e, ma al tatto sono più ruvide di quanto pensassi. Il suo profilo delicato mi ricorda le dee misericordiose di Angkor Wat.

Lei si sistema sotto il cielo stellato di una trapunta decorata di putti: un rimasuglio della mia infanzia neonatale. Adesso la usa Cassy quando si stende sul divano, e la stoffa imbottita è impregnata di un sentore basilare che per me è sinonimo di mamma, anche se non posso dire che sia buono …

Appoggio la testa sulla spalla di Meg, concentrata sul film.

Ci stringiamo di più all’abbraccio di un pupazzo termico riscaldato al microonde. È un gatto bianco col collo molliccio, la pancia soffice di semi e il pelo di lana a bitorzoli. Me l’ha regalato a Natale e, dopo vari nomi di prova, l’ho chiamato Polenta (in onore di certi leggendari piatti della gastronomia veneta), e in fondo non avevo fatto altro che seguire un consolidato filone di anime dove i pets diventano all’occorrenza razioni alimentari.

Comunque, adesso la scena mi fa venire in mente quando, da bambina, mi ero fermata a dormire nella sua casa di campagna, in un paesino dell’Entroterra: io e lei in un grande lettone insieme alla pecora Dolly.

Forse quella – come altri ovini letterari – era una bestiolina metaforica, con l’aggravante di essere di peluche, ma è rimasta impressa nel mio cuore con il tepore indelebile dell’amicizia.

Con un ronzio informatico, il computer fa partire un nuovo file: ora gli agenti dell’Unità Veicoli Speciali Patlabor riflettono sulla guerra giusta e sulla pace ingiusta mentre uno stormo di uccelli neri – com’esuli pensieri – vola dietro a un dirigibile con su scritto Ultima Ratio.

La fantascienza vista a posteriori sa sempre u po’ di ridicolo.

O di premonizione.





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