giovedì 22 marzo 2012

FIOCCHETTO LILLA


Prima di scrivere ho dovuto lasciare che il tempo passasse e si depositasse sulle emozioni. La tavola rotonda organizzata dall’Associazione Fiocchetto Lilla inevitabilmente ha toccato tasti scoperti che suonano nel profondo come note stonate, o meglio … è come una radio fuori sintonia, una stazione che capta i campi magnetici celesti …
Indubbiamente le parole del padre di Giulia, morta l’anno scorso, avevano quel riverbero sincero che tutti noi vorremmo sentire nella voce di un genitore che amava la sua bambina, un riverbero che si è propagato nel silenzio del non-applauso. La platea è rimasta muta per un minuto che è sembrato un secolo. E io mi sono guardata intorno: quante minuscole solitudini riunite nella stessa stanza! Corpi di bambina, occhi grandi e tristi, serenità appuntite pronte a disfarsi appena si alza il vento …
Le storie e le testimonianze si susseguono, alcune prese dalle pagine di libri-diario, altre semplicemente raccontate dai relatori. Un’ex top model dell’era d’oro delle passerelle, quando comunque c’era ancora una logica – se non un’etica – nel mondo dell’apparire. Certo, le sfilate da sempre somigliano a grandi show piuttosto che a vetrine per l’acquisto (impossibile strizzarsi nelle forme diafane delle ultime creazioni d’alta sartoria), ma oggi la frenesia dell’idealizzazione ha raggiunte livelli che negli anni Ottanta e Novanta erano impensabili: l’età media delle ragazze è scesa drasticamente fino ai tredici, quattordici anni. Le conseguenze della pressione dello show-biz possono essere imprevedibili: che cosa prova una ragazzina lontana da casa, senza la sua famiglia, esposta alle luci della ribalta e a un successo effimero quanto una bellezza che non esiste? Se si supera un certo peso, nessuno ti prende più a lavorare. I capi devono cadere perfettamente, le curve non possono intromettersi. La donna diventa un manichino bionico. Dicono che questo sistema non mira a distruggere l’immagine femminile, ma ciò che traspare è una commercializzazione spettacolare di androginie aliene troppo vicine alle fate delle fiabe per poter essere anche solo lontanamente reali. Realtà e sogno o realtà contro sogno? Elisa D’Ospina è una modella plus size, ovvero una bella ventenne forzosamente normale. Pare che in Europa e in America, sui giornali di settore comincino a comparire taglie umanamente accettabili, mentre da noi sfogliare una qualsiasi rivista ha lo stesso scopo di guardare un’opera d’arte: lo sguardo si riempie d’incredibile ed è trasportato nella magia dell’anti-universo dove tutto è leggero … come una farfalla. Il problema è che chi soffre vuole scomparire, si espone per annullarsi ed essere trasparente, o smettere di essere trasparente dopo una vita di quasi-risultati. Ed è qui che noto la prima incongruenza: sedute al tavolo ci sono persone che di certo hanno attraversato un inferno – e forse non l’hanno ancora superato – ma che hanno saputo raggiungere i loro traguardi, anche in un ambiente che richiedeva di continuo di essere “le più brave”.

Il fatto è che non si è mai leggere come una farfalla. Né trasparenti come l’aria. Lo può dire Maria Francesca Garritano, ballerina della Scala di Milano licenziata dopo le sue dichiarazioni sull’anoressia nel mondo del balletto. Adesso è diventata celebre. Adesso che è “la cacciata”, “l’esclusa”. E lei stessa lo ammette: per anni – o forse da sempre – si è considerata solo ed esclusivamente come “la ballerina” e non come “ragazza” o come “donna”. Annullarsi nella pura armonia del movimento, essere uno Spirito dell’Aria (la guardo e mi viene in mente l’Ariel di Shakespeare, delicato ed etereo). E poi c’è una persona tra il pubblico, seduta per terra con le punte tese in un inconsapevole esercizio di stile. Ha la bellezza di un frutto d’autunno o di un animaletto dei boschi (provate a pensare alla Teto di Nausicäa), e il raso azzurro che le copre i capelli la rende perfetta per essere Odette, la principessa buona del Lago dei Cigni. Ma ogni eroina ha il suo lato oscuro; e allora provo a immaginare cosa dev’esserci dietro quegli occhi color castagna, dietro al gesto di un’amica che le sfiora appena il braccio mentre la conferenza continua. Vanno avanti le testimonianze che vengono da universi distaccati, a una distanza siderale non solo dalle mille storie comuni che si affollano sotto le volte della Sala, ma anche da chi sta cercando di aprirsi una breccia in quei mondi speciali. Il messaggio è che l’arte e il vero culto dell’estetica possono salvare dal naufragio della coscienza, anche se bisogna tener presente anche il lato pericolosamente seducente di certi richiami di sirene. D’accordo, ma allora dopo aver intervistato le figure che oggi hanno una certa visibilità perché non lasciare almeno un po’ di spazio a parole più comuni, magari non pubblicate, magari balbettanti e incerte? Ci sarebbe così tanto da raccontare e una tale voglia di aprirsi, se solo se ne avesse l’opportunità …
Per questo l’idea di un bando per scrivere sul blog dell’associazione Mi Nutro di Vita è sbagliata fin dalle premesse. Sarebbe stato possibile trovare un’altra formula, uscendo dalla logica serrata dei concorsi. Le scadenze. La competizione. Perché creare nuove pressioni su persone che vivono schiacciate dal peso insopportabile del dovere, con il bisogno persistente di dimostrare le proprie capacità di fronte al mondo (ma prima ancora di fronte a una presenza interna e invasiva)?

martedì 13 marzo 2012

DÉJÀ-VU il Giappone si Giandomenico Cosentino


È passato un anno dalla tragedia che ha sconvolto il Giappone e le ferite sono ancora tutte lì, drammaticamente esposte. E infette. I reportage giornalistici che in questi giorni hanno avuto un po’ di spazio sui mezzi d’informazione possono mostrare solo il lato superficiale del dolore: negli occhi della gente c’è un vuoto che non si può descrivere, la voglia di credere che tutto tornerà come prima. Oggi, le foto scattate da Giandomenico Cosentino nel 2008 lasciano in sospeso un non-detto che mette a disagio. L’obiettivo gioca sulle contrapposizioni tra antico e post-moderno, mescolando le immagini di un occidente mediatico alla suggestione di un’impenetrabile foresta di segni. Una combinazione armoniosa che spesso spiazza gli stranieri ma che dà vita a sapori, colori e pensieri unici: un monaco può salire sulla metropolitana all’ora di punta e magari ascoltare la musica dal suo
pod, le ragazze possono indossare kimono dalle fantasie vivaci e camminate per strada accanto a un gruppo di scolarette in divisa, le adolescenti possono costruirsi un mondo personale sulla base dei mille stimoli della pubblicità, del cinema, della cultura americana … Apparentemente non ci sono stridori e la coscienza fluisce da un linguaggio all’altro senza ostacoli: dallo slogan della coca-cola al romanticismo di un bacio francese, con l’etica commerciale dei Family Mart come trait d’union. La spiritualità e le atmosfere da vecchio film in bianco e nero – le scene che sembrano tratte da un capolavoro di Ôzu – si sovrappongono alle luci sfavillanti di Tôkyô che paiono quasi una contraddizione, adesso che la capitale ha ripreso a correre, quasi cancellando le persone che attraversano le sue strade insonni. Ma tutto questo immortala qualcosa che già conoscevamo, ovvero il modo meraviglioso di incontrare l’Altro senza perdere se stessi, la bellezza della natura che tenta di rigenerarsi ad ogni stagione, offrendo ancora il prezioso dono del silenzio a chi lo volesse cogliere.
La mostra sarà visitabile gratuitamente presso lo spazio espositivo di Spazio Market in Via Cecchi (Genova), e il ricavato della vendita delle foto sarà devoluto ad un progetto di sostegno patrocinato dall’UNESCO a favore della popolazione colpita dagli disastro del 2011.