Sdraiata nel letto tutte le ossa mi
fanno male: sono diventante pesanti e al contempo porose come spugne. La
posizione di lettura mi ha intorpidito un braccio. Dovrei alzarmi. Il gatto di
pezza riempito con noccioli di ciliegia si è raffreddato e richiede l’ennesimo
giro di microonde. A fatica mi tiro fuori dal viluppo di coperte e, passando di
fronte alla porta aperta del bagno, l’odore di sapone mi fa venire in mente
Annie.
Ci siamo viste ieri, per una
colazione al nostro solito baretto. L’ho abbracciata aspirando il profumo di
shampoo Johnson’s dei suoi capelli e, mentre lei sceglieva quale muffin
abbinare al tè, ho ordinato un filter coffee per provocare quella tiepida
irritazione che avrebbe tenuto impegnato il mio stomaco nelle successive tre o
quattro ore.
«Come stai?» Era stata appena
bocciata all’esame per accompagnatrici turistiche ma l’aveva presa
sorprendentemente bene e dedicava gli ultimi giorni miti a passeggiare sui
monti in cerca di castagne e di foglie rosse per il suo erbario. Sorrideva,
come sempre. «Ho deciso di provare a seguire il corso per diventare insegnante».
Era incredibile il suo modo luminoso di trovare nuove idee «Sai, adesso siamo
in bassa stagione e qualche supplenza potrebbe essere redditizia». Non sembrava
che avesse messo in conto il buco nero dei concorsi in questo Paese
disgraziato, ma farglielo notare sarebbe servito solo a spegnerla inutilmente e
non sarebbe stato gentile, quindi mi sono limitata a rimescolare il liquido nero
perché uno shottino di latte (opportunamente dosato) si diffondesse come una
tempesta solare nella mia mug.
«Intanto mi godo i soldi che i miei
mi hanno regalato per il compleanno. Oggi mi accompagni a fare shopping?»
Indossava una giacca con dei grossi alamari di bachelite nera, lucidi come il
dorso di una balena dell’Antartico, e una maglia di cotone bianco; tra i due,
un soffice golfino di cashmere grigio perla.
«Dovresti provarlo un giorno o
l’altro. Ti fa sentire coccolata!» E mi aveva fatto toccare un lembo di quella
nuvoletta di lana asiatica;
Intanto pagava il conto e saltava sul
marciapiede dirigendosi a passo veloce verso un negozio minuscolo, affastellato
di articoli d’abbigliamento “alternativi”, nel quale io non ero mai entrata,
per via dei prezzi che, nonostante si dichiarassero “friendly”, rimanevano
comunque troppo alti per i miei standard da magazzino cinese. Per questo, ero
un po’ a disagio aspettando che lei uscisse dal camerino con un paio di jeans
che la fasciavano alla perfezione. Avevo appena letto un articolo del Daily Mail
in cui si sosteneva che le Barbie rendono le bambine anoressiche e, guardando
Annie che si voltava davanti allo specchio, non avevo potuto fare a meno di
pensare a una versione emancipata di Betty Berry «Ti stanno benissimo: ti fanno
anche un bel …» E avevo mimato una certa rotondità per evitare di essere
sentita dai due ragazzi dietro il banco della cassa che intanto erano impegnati
a pogare su un pezzo di rockabilly californiano, come se il mappamondo fosse
impazzito e fossimo finiti di colpo a Santa Barbara.
Qualche minuto dopo, era uscita di
nuovo dallo stanzino, aveva ripiegato i pantaloni e li aveva lasciati su una
pila di loro simili, lisciando le pieghe con la punta delle dita. «Magari
ritorno»
Il tono disinvolto mi aveva svelato
il gioco, perché anch’io lo facevo spesso: si trattava di provare ciò che ci
piaceva, fare una foto col cellulare e poi – ovviamente – non comprare nulla.
«Grazie, a presto» Pur sapendo che non sarei tornata, avevo preso nota del
posto e della cifra sul cartellino scritto in rosso, che ora penzolava triste
sotto l’etichetta come un segno identificativo in una sala autoptica.
È questa scena a brillare vivida
nella mia memoria quando un arcobaleno novembrino rimbalza sulla porta di vetro
smerigliato della toilette, ricordandomi una delle più semplici forme d’amore.
http://youtu.be/z1MSgWeZqAU
http://youtu.be/z1MSgWeZqAU