Alla bottega non c'è mai ciò che mi
serve: lo yogurt è puntualmente troppo grasso (con le cifre scritte in rosso),
le verdure superano il numero di calorie consentito e persino il pesce sembra
migrato altrove, lontano dai banchi che espongono prezzi da orefice alimentare.
Il mio mutismo immusonito condito
di sarcasmo rassegnato indica che lo scontro con D è rientrato nei ranghi del quieto vivere. Ovvero mi
guardo intorno e so di dover accettare la condanna proprio perché sono
rinchiusa nel ruolo della prigioniera (che non può esistere senza un
carceriere). Impossibile scappare dal piccolo mondo ammuffito delle chiacchiere
vuote, popolato da comparse in grembiule e gambaletti che sembrano maschere di
cera sciolta, donne che sono diventate decrepite senza conoscere nulla.
Non importa che Janis oggi parta
per il Messico e che Malva Marina si svegli urlandomi nella testa, come colpita da
un insulto (“Chi non ne ha il diritto vedrà luoghi che dovrebbero essere
miei!”).
E io?
La madrina di D, dentro una scatola
verde motorizzata si ferma per darci il benvenuto nei pettegolezzi della
strada, in un posto dove esistono ancora le “madrine” e gente che se ne
ricorda: «Siete arrivate tardi quest'anno» guarda il cielo striato di nuvole
«Beh, forse farete in tempo ad andare in spiaggia». Vorrei ribattere che sono a
due passi dal mare ma non potrò raggiungerlo perché il mio corpo mi rigetta. La
pancia si gonfia e la pelle si riempie di macchie – di certo amerei i palloni
se solo servissero a volare!
Qualcuno mi giudica lanciando
sentenze come sassi senza peccato, ma nessuno di loro ha provato un nanosecondo
di questo dolore che si autoalimenta dall'interno, con il bruciore dei fiori
che sbocciano sui polsi. Non ho portato il mio kit di giardinaggio cutaneo e
quindi vado fino alla farmacia: «Vorrei dei cerotti e una benda» «Per farci
cosa?» Cerco una locuzione neutrale «... per le escoriazioni ...» e reprimo
l'impulso di dire: «Per cancellare ciò che sono, per possedere ciò che non
posso avere» ma la commessa in camice bianco ha il tono sollecito di una
madre-medico – quella che ho dimenticato e non quella ricordo troppo spesso – e
così aggiungo, per continuare il gioco del “curiamo la bambola ferita”, «Mi dia
anche un disinfettante, ché ora ci sto buttando sopra l'alcol per pavimenti ma
forse non è indicato» Lei reagisce con un sorriso scandalizzato alla mia
ingenuità, come la responsabile del pronto soccorso in un telefilm americano.
Sembra che non c'entri ma ho
sognato che K era tornato ed era sul palco, ancora ragazzino, per un
nuovo concerto. “Ma sarà veramente lui? Sì, altrimenti David e
Krist se ne sarebbero accorti” Se fosse
stato un impostore l'avrebbero cacciato e invece sono lì a sudare con lui (uno
scrittore si chiedeva da qualche parte se un sostituto si può trasformare nella
cosa vera).
Sembra che non c'entri ma tra il
pubblico c'è la Vedova, che tutti chiamano così non per il lutto ma per
semplice titolo legale. Ha i capelli neri senza l'ossigeno platinato che
cicatrizza anche i tagli profondi e gli occhi chiari di prima che suo padre le
regalasse acidi per colazione. Così al naturale potrebbe addirittura essere una
mamma, sempre un po' eccessiva, burrosa e avvolgente; una moglie che promette
più sesso che affetto. La bambina è ancora piccola, sistemata su uno dei
seggiolini di plastica della tribuna. Muove le manine a tempo e ha ancora tutto
il futuro davanti.
Sembra che non c'entri ...
Mi alzo che è già quasi-sera – “Qui
non c'è nulla per cui valga la pena stare sveglia” – e Cassy prova a offrirmi un ramoscello di
pace truccato da gita turistica: «Ti
va di scendere in città?» Ai piedi della collina, sotto i terrazzamenti che
toccano il mare c'è una crocchia di vie affollate di fantasmi che solo l'occhio
rosso della nostalgia può scorgere dietro ai profili degli hotel a cento
stelle, sul lungomare degli yacht. In centro ci sono mille gelaterie, boutique
semi-vuote, una libreria che vende solo gialli della domenica e un negozio di
prodotti biologici. Entriamo ma il lumicino della speranza si spegne subito
contro la voce fredda della proprietaria freak «No, abbiamo solo questo tipo di
salsa di soia ... No, l'acqua di cocco è finita ... no, ...» Eccomi di nuovo di
fronte a un mondo di cose che non posso avvicinare. Cassy si siede spiandomi
con commiserazione; sono così arrabbiata e delusa che pesterei i piedi.
Sul porto un gruppo di rock occitano fa le prove per la serata.
http://youtu.be/5BE1KRj5iiM
http://youtu.be/1-GvSHRO_yE
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