venerdì 11 aprile 2014

COME LA FRONTE DI UN GATTO ABBANDONATO


Alla bottega non c'è mai ciò che mi serve: lo yogurt è puntualmente troppo grasso (con le cifre scritte in rosso), le verdure superano il numero di calorie consentito e persino il pesce sembra migrato altrove, lontano dai banchi che espongono prezzi da orefice alimentare.
Il mio mutismo immusonito condito di sarcasmo rassegnato indica che lo scontro con D è rientrato  nei ranghi del quieto vivere. Ovvero mi guardo intorno e so di dover accettare la condanna proprio perché sono rinchiusa nel ruolo della prigioniera (che non può esistere senza un carceriere). Impossibile scappare dal piccolo mondo ammuffito delle chiacchiere vuote, popolato da comparse in grembiule e gambaletti che sembrano maschere di cera sciolta, donne che sono diventate decrepite senza conoscere nulla.
Non importa che Janis oggi parta per il Messico e che Malva  Marina si  svegli urlandomi nella testa, come colpita da un insulto (“Chi non ne ha il diritto vedrà luoghi che dovrebbero essere miei!”).
E io?

La madrina di D, dentro una scatola verde motorizzata si ferma per darci il benvenuto nei pettegolezzi della strada, in un posto dove esistono ancora le “madrine” e gente che se ne ricorda: «Siete arrivate tardi quest'anno» guarda il cielo striato di nuvole «Beh, forse farete in tempo ad andare in spiaggia». Vorrei ribattere che sono a due passi dal mare ma non potrò raggiungerlo perché il mio corpo mi rigetta. La pancia si gonfia e la pelle si riempie di macchie – di certo amerei i palloni se solo servissero a volare!
Qualcuno mi giudica lanciando sentenze come sassi senza peccato, ma nessuno di loro ha provato un nanosecondo di questo dolore che si autoalimenta dall'interno, con il bruciore dei fiori che sbocciano sui polsi. Non ho portato il mio kit di giardinaggio cutaneo e quindi vado fino alla farmacia: «Vorrei dei cerotti e una benda» «Per farci cosa?» Cerco una locuzione neutrale «... per le escoriazioni ...» e reprimo l'impulso di dire: «Per cancellare ciò che sono, per possedere ciò che non posso avere» ma la commessa in camice bianco ha il tono sollecito di una madre-medico – quella che ho dimenticato e non quella ricordo troppo spesso – e così aggiungo, per continuare il gioco del “curiamo la bambola ferita”, «Mi dia anche un disinfettante, ché ora ci sto buttando sopra l'alcol per pavimenti ma forse non è indicato» Lei reagisce con un sorriso scandalizzato alla mia ingenuità, come la responsabile del pronto soccorso in un telefilm americano.

Sembra che non c'entri ma ho sognato che K era tornato ed era sul palco, ancora ragazzino,  per un  nuovo concerto. “Ma sarà veramente lui? Sì, altrimenti David e Krist  se ne sarebbero accorti” Se fosse stato un impostore l'avrebbero cacciato e invece sono lì a sudare con lui (uno scrittore si chiedeva da qualche parte se un sostituto si può trasformare nella cosa vera).
Sembra che non c'entri ma tra il pubblico c'è la Vedova, che tutti chiamano così non per il lutto ma per semplice titolo legale. Ha i capelli neri senza l'ossigeno platinato che cicatrizza anche i tagli profondi e gli occhi chiari di prima che suo padre le regalasse acidi per colazione. Così al naturale potrebbe addirittura essere una mamma, sempre un po' eccessiva, burrosa e avvolgente; una moglie che promette più sesso che affetto. La bambina è ancora piccola, sistemata su uno dei seggiolini di plastica della tribuna. Muove le manine a tempo e ha ancora tutto il futuro davanti.
Sembra che non c'entri ...

Mi alzo che è già quasi-sera – “Qui non c'è nulla per cui valga la pena stare sveglia”  – e Cassy prova a offrirmi un ramoscello di pace truccato da gita turistica: «Ti va di scendere in città?» Ai piedi della collina, sotto i terrazzamenti che toccano il mare c'è una crocchia di vie affollate di fantasmi che solo l'occhio rosso della nostalgia può scorgere dietro ai profili degli hotel a cento stelle, sul lungomare degli yacht. In centro ci sono mille gelaterie, boutique semi-vuote, una libreria che vende solo gialli della domenica e un negozio di prodotti biologici. Entriamo ma il lumicino della speranza si spegne subito contro la voce fredda della proprietaria freak «No, abbiamo solo questo tipo di salsa di soia ... No, l'acqua di cocco è finita ... no, ...» Eccomi di nuovo di fronte a un mondo di cose che non posso avvicinare. Cassy si siede spiandomi con commiserazione; sono così arrabbiata e delusa che pesterei i piedi.

Sul porto un gruppo di rock occitano fa le prove per la serata.  


http://youtu.be/5BE1KRj5iiM
http://youtu.be/1-GvSHRO_yE



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