martedì 30 ottobre 2012

GIAPPONE NELL'OCCHIO DEL CICLONE

Ultimamente il Giappone è spesso al centro delle notizie sulle pagine di cronaca estera.


1. La disputa territoriale contro la Cina per le isole Senkaku – scogli più che isole, che per le due nazioni rappresentano un punto d’onore patriottico piuttosto che un reale interesse territoriale si sta allargando a mavvhia d'olio e sta coinvolgendo anche Taiwan: a settembre, le motovedette nipponiche hanno sparato con i cannono ad acqua su 8 navi-pattiglia inviate da Taipei.. Una scaramuccia certo, che però si è trasformata in un preoccupante boicottaggio commerciale di tutti i prodotti nipponici nel Celeste Impero, con ripercussioni finanziarie considerevoli e persino delle conseguenze culturali inaspettate, perché ovviamente l’opera letteraria di Mo Yan ha pregi innegabili vista la forza della sua poesia visiva, ma il fatto che l’autore sia sempre stato dichiaratamente servile nei confronti del potere fa sospettare una piega politica del Nobel …

2. Come se il Sol Levante si stesse di nuovo chiudendo in un isolamento autoimposto, stanno esplodendo le tensioni anche nei confronti degli Stati Uniti. La questione irrisolta delle basi militari nell’arcipelago di Okinawa è costata il posto a più di un ministro da quando si è ripresentata prepotentemente nel 2009, dopo la prima vittoria dei Democratici al Parlamento dal dopoguerra, e il problema è una macchia taciuta nel curriculum dei rapporti diplomatici dell’amministrazione Obama che, senza concedere grandi spazi, ha inserito questo tassello nello scacchiere di rafforzamento bellico americano nel Pacifico. Oggi lo stupro di una donna okinawana commesso da un marine ha riaperto le vecchie ferite, riportando alla mente l’orrore del 1995 quando una ragazzina di dodici anni era stata violentata da un gruppo di soldati. La massiccia dislocazione dell’esercito in queste enclave è un problema per molti cittadini, che sono scesi in piazza per protestare e chiedere l’immediata chiusura delle basi – veri e propri mondi separati – ma altre persone rilevano i vantaggi, soprattutto economici, portati dagli stranieri in una delle regioni storicamente più disagiate del Giappone. Non si può prevedere come agirà lo Stato di fronte alla rabbia della gente perché, pur essendo un territorio strategico importante, la prefettura di Okinawa (alla periferia meridionale del Paese) è sempre stata discriminata. La crisi, quindi, apre un fronte interno oltre a quello esterno.

3. Intanto il ministro della giustizia Keishu Tanaka si è dimesso dopo ave riconosciuto i suoi legami con la yakuza. I rapporti tra malavita e politica non sono mai stata un mistero: in un Paese che si è ritrovato spaccato dai rapidissimi cambiamenti sociali dell’800, le organizzazioni erano l’ultimo baluardo di una struttura di potere gerarchica e lo sconvolgimento portato dalla sconfitta bellica del 1945 aumentò ancora di più il divario esistente tra cittadini e classi dominanti. Tale scollamento si è manifestato in maniera evidente con la tragedia del terremoto e dello tsunami del marzo 2011: in molte aree colpite è stata la yakuza a fornire i primi soccorsi.

4. E su questo punto si articola l’ultima, difficile sfida del governo che cerca di far fronte alle necessità energetiche nazionale di fronte a una popolazione sempre più critica nei confronti del nucleare. Le prime promesse di chiudere o ridurre i reattori attivi sembrano sfumare nel limbo della retorica mentre la gente scende in piazza con maschere di Halloween e cartelli contro l’uso pericoloso dell’atomo.

domenica 28 ottobre 2012

PIERRE SOULAGES

Born in Rodez (Aveyron) in 1919, Soulages also is known as "the painter of black" because of his interest in the colour, "...both a colour and a non-colour. When light is reflected on black, it transforms and transmutes it. It opens up a mental field all of its own". He sees light as a matter to work with; striations of the black surface of his paintings enable him to make the light reflect, allowing the black to come out from darkness and into brightness, thereby becoming a luminous colour.




Before World War II, Soulages already had toured museums in Paris seeking his vocation and after wartime military service, he opened a studio in Paris, holding his first exhibition at the Salon des Indépendants in 1947. He also worked as a designer of stage sets.



In 1979, Pierre Soulages was made a Foreign Honorary Member of the American Academy of Arts and Letters.



From 1987 to 1994, he produced 104 stained glass windows for the Romanesque Abbey church Sainte-Foy in Conques (Aveyron, France).



Soulages is the first living artist invited to exhibit at the state Hermitage Museum of St. Petersburg and later with the Tretyakov Gallery of Moscow (2001).



A composition he created in 1959 sold for 1.200.000 euros at Sotheby's in 2006.



In 2007, the Musée Fabre of Montpellier devoted an entire room to Soulages, presenting his donation to the city. This donation includes twenty paintings dating from 1951 to 2006, among which are major works from the 1960s, two large plus-black works from the 1970s, and several large polyptychs.



A retrospective of his art was held at the Centre National d'Art et de Culture Georges Pompidou from October 2009 to March 2010. In 2010, the Museo de la Ciudad de Mexico presented a retrospective of Soulages' paintings that also included an interview-video with the painter (Spanish subtitles).



... "KISS HER, KISS HER" - 21th century warriors

Inciampo nel cassetto aperto. Cado e la tazza piena di tè finisce in frantumi sul pavimento.


«Merda!»

Vorrei che qualcuno venisse a vedere cos’è successo. Vorrei che qualcuno dicesse “Tutto bene?” oppure “Dai, non è niente”.

Come può essere banale il bisogno di tenerezza!



Era successo qualcosa di simile anche quando avevo sorpreso Sylvia con Isao, il suo ragazzo di allora … No beh, più che “sorpresi”, li avevo “sentiti” al di là della porta chiusa della sua stanza … Squittii, risolini, sottomissioni consenzienti … Ero rimasta impietrita e il bicchiere mi era sfuggito in un arcobaleno di plexiglass.

Avrei voluto scappare per non essere fuori posto, ma invece mi ero fermata stupidamente a raccogliere i cocci – sottili schegge di vetro che mi ferivano le mani. Piangevo senza riuscire a fermarmi, senza sapere perché.

È ovvio che io fossi al corrente di quei suoi tentati amori senza troppo futuro, fughe a scadenza illusoriamente non programmata come yogurt lasciati apposta in fondo al frigo; il fatto è che fino a quel momento tutte le fangose storie sul sesso erano state soltanto ipotesi lontane proiettate su uno schermo, niente che potesse intaccare il mio mondo immaginario di pura amicizia, ma alla fine l’impatto doveva arrivare, violento con tutta la sua crudeltà in slow motion …

Quindi avevo tirato su ogni singolo vetro e poi ero andata via pian piano, in silenzio, senza far rumore … Le strade erano affollate della calca faticosa del sabato e il cielo prometteva pioggia mascherandosi dietro a un sole malaticcio.

In alto i gabbiani volavano in stormi disordinati lanciando grida funeste.

Una volta un’amica mi aveva raccontato una storia:

« C’era un uomo circondato da uccelli infuriati e cercava di scacciarli brandendo una katana! Se ne stava là a petto nudo e mulinava la spada in aria come un pazzo! Roba da matti, davvero».



Ho preso la metro, non perché avessi una meta ma solo per il piacere ottuso di scivolare nel buio, dentro la terraanonima. Fissavo le luci alogene delle stazioni cancellandomi i pensieri e registravo appena la presenza incongrua di un Darth Vader in ascesa stellare sulla scala mobile.



Siamo tutti eroi fuori dal tempo.



I cartelli sfrecciavano sconosciuti. Cosa ci facevo io lì, in una città troppo piatta per il mio piccolo cuore agorafobico? Sarebbe stupido pensare che davvero mi aspettassi una storia, perché ammiravo Sylvia con la muta venerazione che si riserva agli esseri superiori.

La sera prima, per il concerto, avevamo dato il meglio e lei brillava di algida gloria meccanica, con la sua giacca maschile su una minigonna ridottissima – i Doc Martinens allacciati fino al ginocchio in una posa marziale. Gli occhi cerchiati di blu pervinca brillavano nell’alternarsi di raggi stroboscopici dal palco mentre il frastuono di una canzone noise elevava il suo profilo sul piedistallo delle dee.

http://youtu.be/fn2UGBns8_E

Non avrei mai potuto sfiorarla. Lo avevo capito da subito, da quando lei aveva smesso di parlarmi direttamente per sfinirmi con attacchi subliminali che mescolavano le ricette francesi di un canale di cucina e le foto patinate di un depliant del supermercato …

In alto i gabbiani volavano in stormi disordinati lanciando grida funeste.

Se fossi stata più sicura di me, se fossi stata normale, avrei seguito il consiglio nascosto in quei versi sgraziati – Gra gra … “kiss her, kiss her” – e forse l’avrei baciata per farla tacere, come in una commedia rosa americana.

Ma potevo solo subire il diluvio d’impossibili bontà culinarie, guardarmi le dita – macchiate di sangue come quelle di una santa incompresa – e correre all’impazzata nel nero di un tunnel, assaggiando il peso della solitudine che mi piombava di nuovo addosso con il sapore nauseante della noia, con l’ipnotismo di un pezzo strumentale distorto, con la faccia sciupata e invecchiata di Kim Gordon.

giovedì 25 ottobre 2012

SEAGULL SCREAMING ...

Reprise: «Non ti senti bene?» disse Ondine dall’altezza vertiginosamente squadrata delle sue parigine di vernice «Vuoi che chiamiamo un taxi? Possiamo sempre metterlo in conto al boss» disse l’acqua sul fondo abissale degli occhi di Béatrice . «Se aspetti ancora un minuto, ti accompagno in autobus» dissero le braccia sottilissime di Jane mentre cadevo nella spirale black-out cerebrale.




Uno strano suono riaccende la mia coscienza fluttuante.

Ancora a occhi chiusi afferro il telefono poggiato sul bidone di latta accanto al letto e mi sforzo di mettere a fuoco. No, lo schermo è nero, spento e silenzioso, ma il rumore continua metallico e stridulo: viene da un punto imprecisato oltre la cornice soleggiata della finestra. Gra Gra Gra i gabbiani volano in formazione disordinata sui tetti, le ali quasi nere contro il cielo e c’è qualcuno che urla dalla strada (Per quante ore ho dormito?).



Una volta Annie mi ha raccontato una scena al limite del surreale.

«L’altro giorno» lampo rasserenante del suo sguardo chiaro «Sulla terrazza qua vicino c’era un uomo circondato da uccelli infuriati e cercava di scacciarli brandendo una katana! Se ne stava là a petto nudo e mulinava la spada in aria come un pazzo! Roba da matti, davvero». Eravamo a casa sua, all’ultimo piano di un palazzo dei vicoli, la città stesa su vari piani fino all’orizzonte – le cupole verdi di rame, le tegole d’ardesia liscia. Tramonto. Lei beveva una birra, affacciata alla ringhiera che dava sul vuoto – incredibile tentazione gravitazionale. Agitava la schiuma bionda nella bottiglia e parlava scuotendo i riccioli color miele.

Era ancora estate e noi ci vedevamo spesso. Preparava tabulé di couscous piccante per sé e mi comprava un vasetto di yogurt greco e una mela smith per cena. Parlavamo, inventavamo futuri possibili e il tempo scorreva e lei cantava una canzone di David Bowie con la sua angolosa pronuncia britannica imparata in un’infanzia londinese. … We can be heroes / just for one day … Già, potevamo essere eroi solo per un giorno …

Ma questo è stato prima, prima che il mondo si mettesse a girare troppo in fretta. Ora tutto è diverso. Ho sentito di recente che i secondini che fanno la ronda lungo le mura del carcere devono portare e caschi speciali per difendersi dagli attacchi degli uccelli, ombre tristi e impazzite, lontani dal mare.

Questo posto non ammette più la poesia. Se qui una gabbianella si credesse un gatto, verrebbe aggredita da un branco di pantegane, nate e cresciute sul greto radioattivo di un torrente pieno di spazzatura e di alghe fluorescenti.

Annie …

Ieri sera sono uscita, cercando un po’ d’aria pulita al di là delle quattro pareti della mia stanza piena di niente. Le serate sono ancora inaspettatamente miti e la strada si è costruita con i miei passi, un nastro lucente come il sentiero che conduce alla città di smeraldo – Tutto ciò che dovevo fare era sbattere tre volte i tacchi e ordinare alle mie Etnies di portarmi dove desideravo.

Volevo andare a trovarla … Sarebbe stato un gesto davvero letterario, così la vita sarebbe diventata racconto … Ma mi sono fermata, ho riflettuto: mi avevano insegnato che non si piomba a casa delle persone senza avvisare e soprattutto non alle otto e mezza, quando i fornelli sono già spenti e si smette la fatica quotidiana di “essere sociali”, quando ormai si è rassegnati all’anestesia del telegiornale ( anche se Annie aveva abolito la tv e lo schermo giaceva spento sul pavimento: le ninfee di Monet appiccicate sul vetro catodico e la cassa dipinta con un pattern zebrato lilla – Paint your life, baby!)

Sarebbe stato bello, sarebbe stato confortante poter almeno telefonare, lasciare una nota sospesa nella quiete di quel mini-monolocale bohemien, per poi riattaccare sentendo la voce all’altro capo di una linea immaginaria.



Sono tornata indietro nella desolazione solitaria dei viali d’autunno. Dovevo contattarla perché dicembre era alle porte e lei sarebbe partita per un tour alla ricerca dei suoi mille amici sparpagliati per l’Europa dal progetto Erasmus, e poi forse si sarebbe concessa una vacanza in qualche esotico paese orientale con spiagge da cartolina («Sai, ho sentito che la Thailandia è fantastica») … E intanto me ne sto immobile, soffocata dalla sabbia della mia clessidra che si esaurice.

http://youtu.be/YYjBQKIOb-w

lunedì 22 ottobre 2012

BAMBINI DI PIETRA - the little red raven

La domenica scorre con insopportabile lentezza e mi arriva il profumo delle cotolette al curry che Cassy sta friggendo per Ortensia, la nostra vicina. Da quanto tempo non sentivo lo sfrigolio nell’olio nella padella e l’odore speziato della farina croccante accanto alla nota delicata del riso basmati!


Stille d’invidia in microgrammi mi circolano veloci nel sangue, dilatando le narici e riempiendo gli occhi di una tristezza pesante … almeno quanto l’annuncio dei biscotti speciali alla cannella, lasciati da parte per una merenda con le amiche. Piccoli dolori della ricerca della perfezione.

Cosa mi aspettavo?

Ieri alla mostra, la magia di lineamenti che emergevano dalla pietra mi ha fatto pensare al disperato bisogno di comunicare qualcosa e, mentre andavo da una sala all’altra affrontando il percorso catartico degli scaloni genovesi, provavo a ignorare la presenza angelicata di Béatrice e Ondine da qualche parte tra le sculture di marmo rosa del Portogallo – volti distorti dalla nostalgia del futuro.

«C’è chi ha la fortuna di nascere bella e chi deve combattere per essere un po’ meno orrida» Sorridevo, ma nell’autoironia sentivo il sapore amarognolo della sconfitta. Non importa. Mi girava un po’ la testa e forse avrei potuto svenire strategicamente ai piedi di un artista coreano per farmi soccorrere con un sorso d’acqua – perché lo zucchero è stato esiliato dai miei orizzonti papillari.

No, troppa sfacciata sicurezza non fa per me. Preferisco il balsamo dolce delle lodi «Complimenti, complimenti: un ottimo testo. Bello, davvero.» Erano gli invitati che si materializzano sempre nel microcosmo degli “eventi culturali”.

Mi serviva un momento.

Mi sono chiusa in ufficio e ho acceso il bollitore pregustando il conforto di tè verde bollente. Vacillavo e Jane mi sosteneva con le sue braccia sottili. Pantaloni neri attillati, dolcevita a costine, un filo d’ombretto e i capelli tagliati di fresco «Non ti senti bene? Vuoi che chiamiamo un taxi? Possiamo sempre metterlo in conto al boss». Maledette paranoie economiche! Le sue parole mi arrivavano ovattate come un soffio, come il suono della pioggia d’estate in un boschetto di bambù – rin-rin: gocce che cadono sul verde brillante e liscio. «Se aspetti ancora un minuto, ti accompagno in autobus».

Sono tornata a casa quando il buio era già compatto e definitivo.

Mi sono sdraiata spegnendo il cervello (e il cellulare).

Il cuore rallentava tremando: un corvo rosso esposto nella fragilità della cassa toracica.

Cercavo il filo del racconto nelle pagine di un romanzo cinese, ma lo sguardo saltava tra le righe confuse e il corpo s’intorpidiva nel gusto appiccicoso dei cinquecento tagli di un boia professionista. Persino uccidere bene è un atto di rispetto nei confronti della vittima.

Sono una Fenice incompleta, rinata mille volte dalle ceneri. Prometea senza fegato in attesa del supplizio.

venerdì 19 ottobre 2012

BORIS KUSTODIEV






Boris Michajlovič Kustodiev in russo: Борис Михайлович Кустодиев (Astrachan', 7 marzo 1878 – Leningrado, 28 maggio 1927) è stato un pittore e scenografo russo.
Kustodiev nacque ad Astrachan', nella famiglia di un professore di filosofia, storia della letteratura e logica presso il locale seminario teologico. Suo padre morì giovane, ed il peso del mantenimento della famiglia ricadde sulle spalle della madre. La famiglia Kustodiev affittò una piccola ala della casa di un ricco mercante. È qui che il ragazzo formò le sue prime impressioni sulla vita della classe mercantile nella provincia russa. L'artista scrisse successivamente: "Il modo di vivere dei ricchi e facoltosi mercanti era proprio lì, sotto il mio naso... Era come se venisse da un'opera di Ostrovskij". L'artista conservò queste impressioni giovanili per anni, ricreandole successivamente negli oli e negli acquerelli.



Studi artistici

Tra il 1893 ed il 1896, Kustodiev studiò presso il seminario teologico ad Astrachan' e prese lezioni private di arte da Pavel Vlasov, allievo di Vasilij Perov. Successivamente, dal 1896 al 1903, frequentò lo studio di Il'ja Repin all'Accademia Imperiale delle Arti di San Pietroburgo. Nello stesso periodo, frequentò lezioni di scultura, da Dmitrij Stelletskij, e di incisione, da Vasilij Mate. Espose le sue opere per la prima volta nel 1896.

Repin scrisse: "Ho grandi speranze per Kustodiev. È un artista di talento ed un uomo serio e riflessivo, con un profondo amore per l'arte; sta eseguendo un attento studio della natura...". Quando a Repin fu commissionata la realizzazione di una grande tela per commemorare il centesimo anniversario del Consiglio di Stato, invitò Kustodiev come suo assistente. La realizzazione fu estremamente complessa e richiese molto duro lavoro. Insieme al suo insegnante, il giovane artista realizzò gli studi dei ritratti per il dipinto, ed eseguì poi la parte di destra del lavoro finale. Sempre in questo periodo, Kustodiev realizzò una serie di ritratti di personaggi contemporanei che sentiva essere i propri compagni spirituali. Tra di essi l'artista Ivan Bilibin (1901) e l'incisore Mate (1902). Il lavoro su questi ritratti aiutò considerevolmente l'artista, obbligandolo ad uno studio scrupoloso del proprio modello e a penetrare il mondo complesso dell'animo umano.

Nel 1903 sposò Julia Proshinskaja (1880-1942). Visitò la Francia e la Spagna, grazie ad un sussidio dell'Accademia Imperiale delle Arti, nel 1904. Sempre nel 1904, frequentò lo studio privato di René Menard a Parigi. In seguito viaggiò ancora in Spagna e quindi, nel 1907, in Italia. Nel 1909 visitò l'Austria e la Germania, e poi nuovamente la Francia e l'Italia. Nel corso di questi anni dipinse molti ritratti ed opere di genere. Comunque, indipendentemente da dove si trovasse, nell'assolata Siviglia o nei parchi di Versailles, Kustodiev sentiva l'irresistibile attrattiva della madre patria. Dopo cinque mesi in Francia tornò in Russia, scrivendo con evidente gioia al suo amico Mate che tornava ancora una volta "nella nostra benedetta terra russa".

Carriera artistica
La rivoluzione russa del 1905, che scosse le basi della società, stimolò una pronta risposta nell'animo dell'artista. Egli collaborò con le riviste satiriche Župel (Lo spauracchio) e Adskaja Počta (La posta dell'inferno). All'epoca, incontrò per la prima volta gli artisti del gruppo Mir iskusstva (Il mondo dell'arte), composto da artisti russi innovatori. Si unì alla loro associazione nel 1910 ed in seguito partecipò a tutte le loro esposizioni.

Nel 1905, Kustodiev cominciò a lavorare anche all'illustrazione di libri, un settore a cui lavoro per tutta la vita. Illustrò molte opere della letteratura classica russa, tra cui Le anime morte, Il calesse ed Il cappotto di Gogol'; Il canto dello Zar Ivan Vasiljevič', del giovane Opričnik e del valoroso mercante Kalašnikov di Lermontov; Come il Diavolo rubò ai contadini un tozzo di pane e La candela di Lev Tolstoj.

Nel 1909 venne eletto all'Accademia Russa di Belle Arti. Continuò a lavorare intensamente, ma una grave malattia, la tubercolosi della spina dorsale, lo costrinse a curarsi. Su suggerimento dei suoi medici si spostò in Svizzera, dove passò un anno sottoponendosi a cure in una clinica privata. Sentiva però la mancanza della patria lontana, e temi russi continuarono ad essere alla base delle opere dipinte in quegli anni. Nel 1918 dipinse La moglie del mercante, che divenne il più famoso dei suoi quadri.

Nel 1916 divenne paraplegico. Scrisse: "Ora tutto il mio mondo è la mia stanza". La sua capacità di rimanere contento e vitale, nonostante la paralisi, stupiva tutti. I suoi dipinti colorati e di genere gioioso non rivelano le sue sofferenze fisiche, e forniscono al contrario l'impressione di una vita allegra e spensierata. I suoi Il martedì delle frittelle e Fontanka (1916) prendono spunto dai suoi ricordi. Ricostruiva con precisione la propria giovinezza, in una attiva città sulla riva del Volga.
Nei primi anni successivi alla Rivoluzione del 1917, l'artista lavorò con grande ispirazione in diversi campi. Temi contemporanei divennero la base dei suoi lavori, che erano usati per calendari e copertine di libri, e negli schizzi ed illustrazioni per le decorazioni stradali. Le sue copertine delle riviste "Il campo di grano rosso" e "Panorama rosso" attirarono l'attenzione grazie ai soggetti vividi e chiari. Kustodiev lavorò anche nella litografia, illustrando i lavori di Nekrasov. Le sue illustrazioni per le storie di Leskov La rammendatrice e Lady Macbeth di Mtsensk, furono pietre miliari nella storia dell'illustrazione di libri in Russia, tanto bene corrispondevano alle immagini letterarie.

Scenografia
L'artista si interessò anche di disegno di scenografie. Cominciò a lavorare in teatro nel 1911, quando disegnò le scene per Un cuore ardente di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij. Il successo fu tale che le proposte continuarono ad arrivare. Nel 1913, disegnò scenografie e costumi per La morte di Pažuchin di Michail Evgrafovič Saltykov-Ščedrin al Teatro d'Arte di Mosca. Il suo talento in questo campo fu evidente soprattutto nel suo lavoro per le opere di Ostrovskij: È un affare di famiglia, Un colpo di fortuna, Lupi e pecore e La tempesta. L'ambientazione delle opere di Ostrovskij era la vita di provincia ed il mondo della classe mercantile, molto vicino al genere di pittura di Kustodiev, per cui fu in grado di lavorare facilmente e velocemente sulle scenografie.
Nel 1923, Kustodiev si unì all'Associazione degli Artisti della Russia Rivoluzionaria. Continuò a dipingere, incidere, illustrare libri e disegnare scenografie teatrali fino alla sua morte, avvenuta il 28 maggio 1927, a Leningrado.




LA BAMBINA CON GLI OCCHIALI - A yôkai in my kitchen

«Ti sei ferita, in cucina?» mi ha chiesto Cassy «C’erano un sacco di goccioline di sangue per terra»


Il profumo di “ Fresca Primavera” conferma una pulizia tardiva, uno straccio ancora bagnato in un angolo. Io stavo bene, nessun taglio sulla pelle bianca. Il gatto – “Cheshire” scritto in caratteri semi-evanesceenti sulla piastrina – aveva rovesciato una pentola sui fornelli, ma non si era fatto male e anche lo smalto rosso era rovinosamente intatto.

Da qualche giorno avevo persino messo via il “kit per il successo”, i miei attrezzi da fuochista per fiori scarlatti da disegnare sui polsi. Quando li osservavo, mi sentivo Vanessa Paradis legata al target del domatore di coltelli. Li avevo sistemati dentro a un astuccio di vernice blu con un pierrot aggrappato alla luna: tutto l’occorrente per scacciare il dolore.

«Forse c’è uno yôkai in casa.» Già, uno spirito ...

Una coppetta di ceramica per il tè che corre per le stanze per avvertire di una disgrazia imminente. Difficile credere in un periodo troppo positivo … Pare che io e Cassy siamo destinate a soffrire ma in silenzio – mi raccomando.

Sempre per cose minime che restano addosso come microfratture – cosa vedrebbe dio se potesse farmi una radiografia all’anima?

Magari nel futuro inventeranno un paio di occhiali per percepire la vera natura delle persone, il livello spirituale delle lenti per spiare sotto i vestiti delle pin up. Nel frattempo potrei comprare dei Ray Ban di plastica. Con la garanzia economica di una vista non polarizzata, sarò più neutrale in questa popolosa Terra di Nessuno. Scendo al mercato per provare i modelli allineati su un banchetto indo-musulmano ...

Il viso nascosto da una grande montatura da diva.

Alla fine tentenno e guardo il cielo carico di nuvole gravide: «Intanto prendo un ombrello».

Ho gli occhi gonfi, annaspo in un pantano e mi sembra di aver pianto tutto il giorno, anche se non ho versato nemmeno una lacrima … Ho l’impressione che, se non mi liberassi di questo peso mi verrebbe un’infezione di muco verde che, premendo nelle orecchie si trasformerebbe in un fluido salato e appiccicoso; ma ho anche paura. Paura che se dessi sfogo alla frustrazione, inonderei la mia camera con uno stagno in cui naufragare insieme a un topo, un dodo e altri strani animali, vero Alissa?

Ricorro a te quando sono sola.

Ricorro a te quando sono stanca di essere me stessa.

Ricorro a te quando ho bisogno di risposte.

Ora dimmi, quale tragedia annunciano le giravolte pazze della tazzina animata?



00.02 Faccio l’inventario delle mie disattenzioni. E ogni respiro allunga lista.

Potrei cercare nella lama calda un po’ di sollievo, potrei tagliare in superficie, sotto l’orbita. Somiglierei a una Vergine miracolosa, in piedi davanti allo specchio – click. Una polaroid da usare come santino per i prossimi auguri di Natale, se il mondo non finisce prima. Ci sono ragazze che s’incidono il viso in un rito di passaggio, ci sono quelle che vengono fregiate, ci sono quelle che per tutta la vita sono considerate oggetti. Non sono mai stata picchiata: niente lividi da giustificare a scuola dicendo di essere una sirena malata d’inquinamento, nessun segno d’amore deviante, solo la metafora perfetta di una Stockholm Syndrome platonica che mi sfiorava in punta di pensiero, perché io sono sempre stata l’ultima salvezza dopo la deriva. La mia rabbia non ha mai avuto diritto di cittadinanza e la solitudine è lentamente diventata la mia foresta personale, la mia norwegian wood piena di deboli fiammelle da accendere ai ricordi estinti.



domenica 14 ottobre 2012

THE LIZARD QUEEN in a dollhouse


20:08

Passo nella luce alogena di un bancomat, e la telecamera registra la mia presenza – click. La polizia potrebbe usare il filmato, se mai succedesse qualcosa in questo buio troppo periferico. Eppure io sono qui e non ci sono già più – Tutto scorre: Panta Rei. Il mio spirito si sdoppia in un’esperienza extracorporea e rimango indietro.

Una bambina continua a camminare verso il silos-parcheggio sotto lo sguardo di pietra di Thomas Alva Edison.

Credo si chiami Alissa.

Prosegue quasi volando, come se cogliesse dei fiori dal marciapiede di cemento, e canta con il tono distorto dei fantasmi … But first, are you experienced? Have you ever been experienced? Well, I have …: è un ologramma della Psychic TV che splende contro l’oscurità.

In quella forma eterea posso giocare a essere una principessa vestita di organza.

Posso fingere di non essere stata abbandonata.

Posso riavvolgere il tempo.

Da qualche parte arrivano i bagliori catodici di un telegiornale e una voce in off riferisce di un ragazzino trascinato via come un agnellino al macello. Lo porteranno in un istituto perché possa “decantare”. E la sua rabbia crescerà con la paura, fino a riempire di mostri tutti gli armadi. Anche lui vorrebbe scappare per tornare indietro – ci devono essere stati dei giorni felici da qualche parte, sepolti nella memoria – a quando non era ancora una cosa, una merce di scambio in un gioco di potere. Per me non è mai stato così, vero Alissa?

C’era calore nel nostro strano tipo di famiglia e se Altair entravain soggiorno, pareva che non se ne fosse mai andato, con il suo odore di sale e tabacco: sapore di porti lontani. Si sedeva in poltrona e mi raccontava le avventure di Ulisse mentre Daria  preparava qualcosa in cucina.

Una volta mi aveva portato una bambola, e sulla stoffa bianca c’era scritto il mio nome con un pennarello. A leggerlo piano aveva la delicatezza di una sinfonia primaverile: sono rinata in maggio, Mio Capitano.

Portavano in tavola il vassoio – caffettiera, zucchero, latte e tre tazzine di porcellana con il bordo dorato delle grandi occasioni – e anch’io bevevo due dita di caffè allungato con l’acqua; poi mi alzavo e recitavo parole in un inglese inventato, in modo che lui fosse fiero di me

Tutto solo perché fosse fiero di me – ma chi è nostro padre, la persona che ci conquista o quella che si prende cura di noi?

Absence disembodies – so does Death /Hiding individuals from the Earth /Superstition helps, as well as love – / Tenderness decreases as we prove –

Armonia triste, fuori luogo sulla bocca di una bimba. Forse

L’avevo sentita una sera passando per il parco. Una ragazza declamava con la convinzione di un’eroina nefritica arrampicata sull’intelaiatura metallica dei cubi colorati – un papavero rosso tra i capelli. Pur senza capirle, quelle parole mi erano restate dentro come una musica perfetta …

Arrivavo alla fine e loro mi applaudivano.



Ignoravamo la solitudine e costruivamo la nostra preziosa casa di bambole.



Ma capitava che Daria dicesse qualche frase che spezzava il sigillo: «Non fate rumore che svegliate la piccola» ci sgridava. E calava un silenzio pesante perché sapevamo benissimo che l’altra stanza era vuota.



Adesso mi chiedo cosa avrebbero fatto loro se mi avessero perso, come avrebbero reagito se un uomo avesse spinto la mia madre  giù dall’autobus per strapparmi dalle sue braccia. E se io fossi semplicemente scomparsa nell’abbondanza plastificata di un centro commerciale, magari ingoiata dalle palline di gomma del kindergarten? Sarei diventata eterna: un’altra lacuna da spiegare, un’illusione spezzata – l’accessorio mancante della felicità.

Per questo esiste Alissa.

Mi sfiora con le sue dita di brezza e si riaddormenta nella mia coscienza mentre apro gli occhi e intorno a me la notte si è fatta un po’ più nera.

Non c’è più nessuno in giro, anche il pakistano che da mesi suona il tamburo nel tunnel vicino alla stazione dev’essere andato via da un pezzo. È ora di tornare a casa ma devo abituare la vista a quella distesa di Nulla prefabbricato. Un’insegna lampeggiante esala i suoi ultimi watt.

Sbatto le palpebre.

Sul muro di fronte, mi appare una lucertola, bianca di fibre fluorescenti, e subito corre a nascondendosi nel regno dell’invisibile.

… Era un sogno? Mostrerò al mondo il mio marchio ereditato alla nascita, il tatuaggio che si muove sulla pelle.

I’m the Lizard Queen / I can do anything.

http://youtu.be/HgI6CMdlHM0

venerdì 12 ottobre 2012

JOHN WILLIAN WATERHOUSE


Vita e opere J.W. Waterhouse nacque a Roma da William e Isabela Waterhouse, entrambi pittori, e si trasferì con la famiglia a South Kensington all'età di cinque anni. Cresciuto così accanto al nuovissimo Victoria and Albert Museum, studiò pittura con suo padre e si iscrisse alla Royal Academy nel 1870. Le sue opere giovanili, profondamente influenzate da Lawrence Alma-Tadema e Frederic Leighton, mutuano prevalentemente i loro soggetti dalla mitologia classica e furono esposti sia alla Royal Academy che alla Dudley Gallery.


Nel 1874, all'età di venticinque anni, Waterhouse presentò alla Royal Academy il primo dei suoi lavori maturi, l'allegoria Il Sonno e la sua sorellastra la Morte che lo rese celebre e rimase per decenni una delle opere più amate dal pubblico. Dopo aver sposato Esther Kenworthy nel 1883, Waterhouse intensificò la sua attività di pittore all'interno della Royal Academy, ottenendo la cattedra nel 1895; insegnò anche alla St. John's Wood Art School del cui club fu membro fino alla morte.

Si ammalò di cancro nel 1915 e morì due anni dopo, lasciando a metà uno dei suoi numerosi quadri raffiguranti la morte di Ofelia. La sua tomba si trova al Kensal Green Cemetery di Londra.

Temi ricorrenti [modifica]La produzione di Waterhouse può essere raggruppata per temi entro due filoni principali: le opere di ispirazione classica e le opere di ispirazione medievale, tra cui spiccano i numerosi Ofelia e La signora di Shalott, oltre ad altri dipinti a tema shakespeariano.

La signora di Shalott è uno dei personaggi che maggiormente ispirarono Waterhouse, portandolo a realizzare almeno tre differenti dipinti nel 1888, nel 1896 e nel 1916. Il tema della donna che si strugge per amore, in questo caso Elaine of Astolat, ricorre nei dipinti di Waterhouse: non a caso un altro dei suoi soggetti ricorrenti è Ofelia nell'atto di raccogliere fiori, poco prima della morte. Il dipinto unisce il tema femminile a quello dell'acqua, un'associazione che - insieme a quella con il fiore - è tipica della pittura simbolista in generale e dei preraffaelliti in particolare.

Frequenti sono anche le Scene di vita nell'antica Roma, permeate da una delicata e decadente indolenza, cui sono assimilabili anche le numerose scene di vita ambientate in Italia.



giovedì 11 ottobre 2012

B-PICTURES

Quando cade la polvere, alcuni la spazzano via con un semplice gesto della mano, altri invece ci finiscono dentro. ZHE CHEN




Ancora e ancora … da una settimana questi piccoli fiori rossi sono l’unico modo per tenermi ancorata e ben salda alla realtà, una via di fuga che mi consente di resistere alla nausea. Si potrebbe chiamare solitudine, forse il DSM la inserirebbe facilmente in una delle sue caselline prestampate. Non importa, per adesso ho solo bisogno di due minuti di bruciore che mi facciano dimenticare, please.

Dopo giorni, la pelle è ulcerata, di un arancione quasi trasparente sul bianco pallido del polso. Alcuni pensaranno a un impulso suicida deviato per errore, ma non è questo.

Cerco un bracciale di borchie da metterci sopra perché il ferro prema sulle croste ancora troppo fragili.

Scelgo quello che mi ha portato Megami da Londra, quand’eravamo bambine … nell’epoca gloriosa in cui per procurarti delle punte super-killer dovevi arrivare almeno fino a Milano e ogni ritrovamento era una conquista da mostrare con un orgoglio accompagnato da mille aneddoti avventurosi. Oggi basta andare in un qualsiasi negozio che vende piercing per sentirsi alternativa in mezzo a una vasta esposizione di spunzoni da tortura.

Il cuoio del cinturino nero è un po’ consumato. Stringo la cinghia fino all’ultimo buco e il freddo del contatto si annulla nel calore della ferita riaperta. Magari dovrei rinunciare a questo martirio da anacoreta e regalarmi il morbido sollievo di una polsiera di spugna (Sapevate che in portoghese “mórbido” significa “morboso”? Assimilate l’informazione e fatela girare nella vostra mente). Quand’è che io e Megami siamo cambiate? Nell’estate dei nostri diciassette anni eravamo state in vacanza insieme– le nostre mani allacciate sul bracciolo del sedile sul pullman, le braccia identiche cariche di cianfrusaglie di plastica erano la promessa di un solo futuro. Poi qualcosa si è rotto sull’asse del tempo e ci siamo ritrovate sbalzate in due mondi paralleli.



Leggins fucsia sotto un vestito un po’ troppo corto, calze coperte di stelline luminose.

Cammino per strada ostentando una sicurezza che non ho più da mesi. Mi fermo di fronte alle vetrine guardando cose che non mi comprerò, solo per spiare il mio riflesso stampato in sovraimpressione in un angolo del vetro. Un maglione verde attira la mia attenzione: è corto e voluminoso e mi fa pensare a Irma la Dolce, la ragazza di quel vecchio film di Billy Wider (da quanto non ridevo di gusto davanti alla tv?), ma la modella della foto ha qualcosa di sbagliato. Ha una pettinatura improbabile, a metà fra Morticia Addams e Marge Simpson, e occhi troppo grandi, anche se le hanno detto di sembrare seducente o aggressiva o non so che altro. La osservo in tutta la banalità di un megaposter pubblicitario. La trovo oscena. Disperata. Mi chiedo perché il mainstream accetti quell’esposizione indecente e poi condanni chi svela segreti scomodi. Ripenso al caso di quella ballerina della Scala licenziata per aver parlato di Anoressia – proprio così, con un’intonazione maiuscola – Ero andata a una conferenza per ascoltare la sua storia ma ora il profilo delicato da Fata Lina si sovrappone a quello di una ragazza seduta per terra in terza fila: pantaloni marroni, i piedi tesi come se stesse provando un esercizio. I capelli color miele raccolti in uno chignon con una retina la facevano risplendere di luce dorata. In un angolo del mio cuore avevo deciso che l’avrei chiamata Tinker Bell e che sarebbe stata la mia Musa del Coraggio.

http://youtu.be/itHZ8P5icSw

lunedì 8 ottobre 2012

VENEZUELA: LA QUARTA VOLTA DI HUGO

VENEZUELA: Il presidente Hugo Chávez è stato confermato con il 54,42 per cento delle preferenze, contro il 44,97 per cento del suo avversario, Henrique Capriles. Ma c’è stata anche una forte astensione.




Non so giudicare. Leggendo i giornali è innegabile che Chávez abbia varato molte iniziative buone ma c'è chi dice che si è solo venuta a creare una sorta di dipendenza interna: le persone diventano legate agli aiuti statali, adagiandosi. Inoltre, chi guarda all’avvenire in un’ottica più lungimirante si rende conto che tutti questi progetti non sono sostenibili sul lungo periodo perché dipendono da quel 95% delle esportazioni venezuelane concentrato sul lettore degli idrocarburi. Sulla politica estera c'è chi dice che abbia svenduto o regalato le risorse energetiche a "Paesi Amici" ma anche la prospettiva del liberismo selvaggio statunitense non mi pare così allettante. Dai commenti emerge che l'errore maggiore di Chávez è l'aggressività del suo populismo, troppo personalista per sopportare un probabile futuro tracollo del suo leader. I cittadini comuni oggi sono troppo politicizzati e identificati forzatamente con l'uno o l'altro dei due schieramenti in campo e questo non fa che alimentare il clima d'odio a tutti i livelli, dalla base fino ai discorsi propagandistici con cui il presidente parla alla nazione ogni settimana. I mezzi d’informazione dell’opposizione vengono troppo spesso messi a tacere e il “dialogo” al quale invita oggi Chávez sembra quasi impossibile scorrendo la lista di giornalisti minacciati e arrestati e delle tv chiuse con l’accusa di non essere abbastanza “patriottiche”, con il garante che sembra cieco quando gli conviene e l’azione politica condotta da un’amministrazione elefantiaca. Non dovrebbe essere negato il diritto di parlare della corruzione e della mancanza di sicurezza. È la fotografia di un Paese troppo vincolato agli alti e bassi del mercato petrolifero, ma questa dipendenza ha radici lontane che vanno cercate nei quarantenni di bipartitismo che hanno preceduto l’era Chávez.

Era la prima volta che l’opposizione si presentava unita alle elezioni, grazie alla regolarizzazione delle MESAS DE UNIDAD DEMOCRÁTICA che hanno appianato le divergenze ma il partito degli astensionisti si è dimostrato forte, lanciando un chiaro segnale alla classe dirigenziale. Quelli che vivono nelle zone più povere rifiutano la polarizzazione politica e sono discriminati. Negli ultimi dieci anni i non allineati oscillavano tra il 30 e il 40% dell’elettorato: una fetta consistente d’individui disillusi dalle promesse fumose che non si concretizzano mai. Ma appare evidente che la situazione non cambierebbe molto con un altro partito al governo. l’unica maniera di affermare un vero cambiamento è studiare per ottenere quei mezzi critici ed economici necessari a rendersi indipendenti dallo Stato, e quindi anche questo paradossalmente deve passare in primis per le maglie dei programmi istituzionali.

domenica 7 ottobre 2012

THE RINGER UPSODE DOWN

http://www.youtube.com/watch?v=MJRIY9U4zhQ

Il poeta è un fingitore / Finge tanto completamente / Che giunge a fingere che è dolore / Il dolore che davvero sente.




Emergo dal mio secondo sonno alle 10.33.

Mi sento la testa pesante come un blocco di marmo con al centro un nido di vespe, come i volti di down di marmo decostruiti dallo scultore coreano che ho recensito ieri: espressioni pacifiche di Divinità della Fortuna dell’era post-Matrix, visi in cui si aprono vuoti impossibili da colmare.

Il terzo occhio è stato cavato per sempre.

E poi ci sono le figure sdraiate di un altro artista, con tutta la loro placida calma zen. Ho l’impressione che questi siano i due poli di uno stesso discorso, come in quel film in cui il ragazzo che entrava nelle case disabitate impara l’invisibilità nella concentrazione delle arti marziali.

Rimango immobile per qualche minuto, a occhi chiusi, cercando di orientarmi nell’alveo infinito del letto.



La mano destra su cuore – spasmi lenti e densi come se tutte le parole che non sono ancora riuscita a scrivere si accalcassero in un’aura di polvere intorno al muscolo tremante. Provo a tracciare un contorno delicato chiudendo leggermente le dita – Appena l’otto per cento dei pazienti sopravvive per più di un mese dopo una rianimazione cardiopolmonare. Di questi solo il tre per cento potrà svolgere una vita quasi normale.

La mano sinistra su un fianco. Tasto la sporgenza aguzza che dovrebbe essere il bacino. Una volta ero trasparente come una radiografia. Poi mi hanno costretto ad accettare centinaia di minuscoli compromessi. Una lista interminabile di piccoli passi che includono colpe quasi inconfessabili, e piatti che di certo non compaiono nel Manuale della Brava Anoressica (di prossima pubblicazione).

Se mi metto seduta, dopo un po’ il coccige comincia a farmi male – Al tramonto mi crescerà una coda da Marsupilami.



Camminare in centro all’ora di pranzo è una tortura di odori e sapori irraggiungibili. Come fa la gente a passeggiare addentando un kebab? Come si fa a chiacchierare disinvolte mentre si lecca un gelato? Potrei fermarmi in un panificio e rompere le catene, potrei entrare in una pasticceria e ordinare come se niente fosse. Non arriverò mai a tanto ma ho i miei segreti da non rivelare a nessuno, come un prestigiatore di Las Vegas … Il poeta è un fingitore …



Le mie notti si sono notevolmente accorciate. Tre ore di sonno dall’1.20 alle 4.45 poi la sveglia, il caffè e un anime con sottotitoli in inglese (Appunti nell’apposito file sugli spiriti giapponesi) e venti pagine di un romanzo che cadono come gocce di mercurio sulla coscienza ancora annebbiata.

Ogni due-tre ore, dovrei fare una pausa.

Oggi ho acceso la TV. Dopo un po’ di anni, le facce passano da un telefilm all’altro ed è come ritrovare una vecchia foto di famiglia: la scena ha qualcosa di rassicurante, ma certi attori restano troppo legati ai loro ruoli e, guardando un episodio di The Ringer ti aspetti che da un momento all’altro Sarah Michelle Gellar tiri fuori un’arma da cacciatrice di vampiri. Il suo corpicino biondo non mi convince del tutto, ma va bene come diversivo, giusto per distrarsi un po’.





sabato 6 ottobre 2012

SAINT SEBASTIAN'S SPELLS


Ottobre.

Credo di aver visto le prime foglie diventare rosse sugli alberi, ma nel verde generale hanno un aspetto sciatto e marcio, nemmeno paragonabile alla sobria eleganza dei momiji nel giardino di una casa da tè. Anche i giacinti comprati da Cassy hanno un che di deprimente.

Appena sbocciati, sono stati trasferiti in vasi più grandi e legati stretti a paletti di sostegno, cercando di tener ben dritta la loro monumentale armatura floreale.

Un tripudio, uno spreco ingiustificato di magnificenza botanica costretta e impettita.

Sono condannati in attesa dell’esecuzione (Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo llevó a conocer el hielo). “Devo fotografarli” ho pensato ammirando la stoica resistenza degli steli – comici spaventati guerrieri, Santi trafitti dai dardi, piccoli Don Quijote con il fiero Elmo di Mambrino.

Teneri boccioli nel mattino,

Esuberanza di corolle bianco viola nel pomeriggio.

Tragico collasso la sera.

Pare la sintesi di una vita minuscola: tre scatti a colori in successione. Con un click vario la luminosità e il contrasto delle immagini e poi resto ferma sulle mattonelle di cotto della cucina con l’improvvisa voglia di ascoltare una voce stridula che canta di diversità luccicanti e solitarie.

Se ora gettassi un’occhiata oltre il davanzale, il cielo non sarebbe azzurro.

Ho l’impressione di aver dimenticato da qualche parte l’incubo che ho fatto ieri, intrappolato nelle ombre del dormiveglia e in forndo devo valere proprio poco se sono sempre qui sola. Nel Vuoto.

Ho un solo modo per sciogliere la maledizione.



 La lama è tiepida e confortante sulla pelle – Questo è sbagliato (Since I was born I started to decay /

Now nothing ever ever goes my way).

 Strappo delicatamente la protezione di piastrine agglomerate – è curioso che vista da fuori questa pellicola sembri molto più resistente: sarà l’influenza di certi cartoni animati sul corpo umano che ti mostravano un affastellarsi volenteroso di grassi ometti rossi impegnati a chiudere le falle, tentando di evitare il naufragio. – È come se mi fosse rimasta solo la dolcezza di questa cieca routine (It's so relieving to know that you're leaving as soon as you get paid )

 Richiamo il primo fiore di fuoco – mi piacerebbe usare il giapponese, con l’espressione così poetica delle sue pirotecniche esplosioni vegetali ma … mi sono stancata della Poesia e non pretendo di salvare nessuno (tanto meno me stessa).

 Gocce rosse sul candore del fazzoletto, come haiku ricamati sulla carta assorbente – Non è moralmente accettabile ma ha una sua poesia, e qualcuno dovrà pur scrivere di questa Primavera Imperfetta.

 Applico un cerotto – striscia di plastica con sopra stampata la faccia assonnata di Gintoki Sakata: anima d’argento e palle d’oro.





Come un petardo difettoso, giro, fremo, scoppietto per la casa. Salto sulla poltrona, mi arrampico e cado rincantucciata sul sedile.

Torno nel grembo protettivo di una madre.

Abbasso le palpebre e intorno si fa buio, ma sono così stordita da non riuscire a dormire.

Avrei bisogno di un momento, un momento soltanto per capire se sono io a sognare il Re degli Scacchi o se è lui a sognare me.

Resto immobile.

Prima o poi qualcuno verrà ad accarezzarmi i capelli, a calmare i miei pensieri in Tempesta.

E allora potrò finalmente staccare la spina.

http://www.youtube.com/watch?v=FYQhM4WoSeY

giovedì 4 ottobre 2012


Samuel Lewis Francis (June 25, 1923, San Mateo, California – November 4, 1994, Santa Monica, California)

Considered one of the premier colorists of the twentieth century, Sam Francis is best known for dramatic, lushly painted works comprised of vivid pools of color, thinly applied. Drips, gestures, and splatters of paint in his work have led many critics to identify him as a second-generation Abstract Expressionist, but Francis has also been compared to Color Field artists on the basis of large, fluid sections of paint that seem to extend beyond the confines of the pictorial surfaCE
In 1964, the influential art critic Clement Greenberg included Francis in his celebrated exhibition Post-Painterly Abstraction at the Los Angeles County Museum of Art. In the catalogue, Greenberg described Post-Painterly Abstraction as both being related to and distinct from Abstract Expressionism. Greenberg wrote, “By contrast with the interweaving of light and dark gradations in the typical Abstract Expressionist picture, all the artists in this show move towards a physical openness of design, or towards linear clarity, or towards both.”

JOHN HOYLAND was born in Sheffield, Yorkshire, and educated at Leighton Park School, before going onto study at Sheffield School of Art, Psalter Lane, and the Royal Academy Schools.He was elected to the Royal Academy in 1991 and was appointed Professor of the Royal Academy Schools in 1999. The National Portrait Gallery holds portraits of the artist in its collection.


Hoyland's first solo exhibition was held at the Marlborough New London Gallery in 1964 and he had a solo show at the Whitechapel Art Gallery in 1967. In the 1960s, Hoyland's work was characterised by simple shapes, high-key colour and a flat picture surface. In the 1970s his paintings became more textured. He exhibited at the Waddington Galleries, London throughout the 1970s and 1980s. During the 1960s and 1970s, he showed his paintings in New York City with the Robert Elkon Gallery and the André Emmerich Gallery. His paintings are closely aligned with Post-Painterly Abstraction, Color Field painting and Lyrical Abstraction. Hoyland disliked the "abstract" painter label and described himself as "a painter"




Retrospectives of his paintings have been held at the Serpentine Gallery (1979), the Royal Academy (1999) and Tate St Ives (2006). He won the 1982 John Moores Painting Prize


His works are held in many public and private collections including the Tate.In September 2010, Hoyland and five other British artists including Howard Hodgkin, John Walker, Ian Stephenson, Patrick Caulfield and R.B. Kitaj were included in an exhibition entitled The Independent Eye: Contemporary British Art From the Collection of Samuel and Gabrielle Lurie, at the Yale Center for British Art.



lunedì 1 ottobre 2012

OPEN LOCKS

Ogni riferimento a persone e fatti reali NON è puramente casuale. Spero che nessuno si senta infastidito dalla sincerità.




REPRISE: Ortensia è la persona più simile a quest’idea di maternità casalinga. Ortensia, con un nome che ricorda le schiere di zie incrociate dei romanzi latinoamericani, ha sacrificato quasi tutto alla ricerca di un caldo nucleo famigliare, esprimendosi solo con la morbidezza dei suoi abbracci e le sfumature delle sue matite che sanno disegnare donne forti come un sogno, trasparenti e floride come decorazioni di Mucha.

Ho l’impressione che Cassidaria sia un po’ gelosa: non di lei ma dell’immagine che io ho costruito intorno a lei. Credo, cioè, che la ferisca non essere parte di quel quadro rassicurante che profuma di sapone alla mandorla, di cucina e di torta paradiso.



«Anch’io avevo cominciato a non mangiare» disse la bella figlia del primario di chirurgia, commentando senza sapere. Durante l’ora di educazione fisica indossava una maglietta dei Nirvana perché il bambino di Nevermind era “tanto carino!” «Ma poi la mamma ha iniziato a prepararmi tutti i miei piatti preferiti e allora non ho saputo resistere». Rideva, in un copia incolla di opinioni lette su Vogue: impossibile che ci fosse qualcosa di davvero personale (Spring is here again / Reproductive glands). Eravamo al liceo e si finiva immancabilmente a parlare di ragazzi. E mentre Rose e Iris raccontavano a bassa voce dettagli pieni di fango, io me ne stavo in un angolo con Megami.

A quell’epoca lei era “la mia persona”, la mia “anima gemella”, la mia “sorella cosmica”: nessun dubbio che sarebbe stato così per sempre.

Per cui, quando aveva cominciato a uscire con Demian avevo avuto sul serio paura di perderla. Pensavo che si sarebbe allontanata, che mi avrebbe lasciato da sola (la tipa sfigata nascosta nell’ombra), ma non è stato così, o almeno non così traumatico. Andavamo in giro in tre, passeggiavamo sui monti cantando canzoni stonate e fermandoci a fotografare le lumache che ciondolavano sugli steli ancora verdi, pronte a diventare dolci cuccioli da compagnia per ragazzini sbandati, o i corvi scuri sul marmo muschioso di angeli abbandonati sul retro di una chiesa. Cercavamo lucchetti dimenticati aperti, appesi a cancelli di legno fatiscenti e rubavamo frutti maturi dagli alberi, come se gli orti incolti di Messer Bastoncello fossero già senza padrone.

Non ricordo tensione tra noi e ora mi rendo conto che forse, se il mio percorso fosse stato meno rannuvolato, saremmo arrivati a un destino triangolare in stile Luminal (perché ancora adesso, pur avendo letto migliaia di libri sull’Amore e altri Demoni, credo che quello sia il vero romanticismo). Anzi, probabilmente avremmo smerigliato gli angoli più acuti per cercare il calore del quadrato, rassicurante come una stanza nella quale rifugiarci: io, Megami, Demian e Iris.

Ero felice.

Anche se capivo che c’erano spazi grigi e timidi fuochi fatui di cui Meg non mi parlava, per pudore o per delicatezza …

Ero felice?



Poi tutto è svanito, come un sogno interrotto bruscamente dalla sveglia.

Lui se n’era andato. «Meglio tenerlo lontano per un po’» I genitori s’interrogavano inquieti sulla quieta ribellione del figlio. Meg aveva iniziato l’università e si era trasferita in un appartamento bohémien con Iris e a loro amico regista, sempre chiuso in una stanza nera / rosa (dark / glam). Lentamente, senza accorgercene ci siamo diversificate, come due organismi in grado di crescere da soli dopo un lungo periodo di simbiosi. Ci sentivamo spesso, ma eravamo cambiate, ognuna con il suo modesto abisso quotidiano.

Di Iris non ho più saputo nulla ma conservo ancora una sua foto. È con il suo ragazzo di allora. Lui le solleva il mento e bacia la sua bocca alla ciliegia – in primo piano unghie laccate sulla pelle pallida. In quello scatto c’è la passione e il dominio, o qualcosa che dovrebbe somigliare all’Amore e poco importa se poi Demian è scappato per sempre e quasi definitivamente su un altro pianeta. Non quello marginale e disperato che gli adulti temevano tanto ma quello controllato e rassicurante della famiglia. Mi hanno riferito che sta bene e che si è addirittura sposato ma non ha rinnegato il passato, la musica e l’arte di restare in equilibrio sul filo del Destino.

http://www.youtube.com/watch?v=QKjSTugOAAA