venerdì 8 novembre 2013

PRESS-ATA NELLA SALA DELLE SPIE / LA LUPA


 
Scena uno: Loudness war

Il convegno va avanti: come parlare di poesia alla Fiera dell’Est, con versi urlati sul sottofondo di un brusio costante condito di Julio Iglesias da balera romagnola, musichette isteriche da giostra e imbonitori della mercato letterario.

Ognuno cerca di vendere a grida la sua bambolina e il “simpatico omaggio per i signori giornalisti” è finito in un lampo lasciando la sala stampa piena solo d’inutili pezzi di carta incomunicanti. Mi consolo con una visione del corpo del bodyguard all’ingresso, statuario e annoiato. «C’è ancora uno shopper?», domando pretestuosa, «No, forse ne consegnano altri domani mattina» risponde un Tyler Durden più vero, meno schizzato. «Sono arrivate le borse?», potrei chiedere il giorno dopo, «No, mi spiace» direbbe lui con l’auricolare piantato nell’orecchio e le gambe leggermente divaricate come nei film. E io mi trovo in un luogo in cui, per una volta, non sono “la canticchiante e danzante merda del mondo!”

«Hai fatto un’osservazione molto acuta» la console cilena mi stringe la mano alla fine di una tavola rotonda su Óscar Hahn e l’Anti-poesia. Il profumo dei libri nuovi che mi hanno regalato è un elisir d’intelligenza.

Scrivo.

 In questa confusione,

Sviluppando un naturale tappo nelle orecchie.

Comincio ad avere i crampi alla mano e la matita si accorcia.

«Scusa, potrei chiederti di temperarla su di un fazzoletto o in un sacchettino? Ieri ho trovato un sacco di pezzetti e non capivo chi fosse, poi ti ho visto … Scusa sai, è che devo tenere un po’ pulito …» Seguire i trucioli come una colonna di formiche lituane, come le formiche tatuate sul braccio di un ragazzo segnato dalle punture dei paradisi artificiali.

Nel corridoio passa una suora-infermiera marziale: se fosse un po’ meno teutonica e quadrata, se fosse solo un po’ più sexy, sembrerebbe un cosplay.

 

Scena due: Out in the parallel city

Il clima è impazzito: a casa, tre giorni fa, stavo in t-shirt a prendere il sole e adesso, qui in questa città estranea pare che sia novembre. La gente resta con l’ombrello aperto sulle scale mobili che sprofondano nel sottosuolo.

Ormai ho imparato un percorso e mi attengo alle linee della mia mappa immaginaria. Fieramente barcollo, inseguendo la purezza del vuoto interiore. Le zebre degli attraversamenti pedonali marcano lo spostamento di un orizzonte progressivo e sfuggente, come l’oceano azzurro dei grandi conquistatori (E il blu è il colore originario dell’universo degli indios mapuche).

La mente è lucida ma procede a scatti vigili: “Svoltare nel grande viale alberato – Superare il distributore e il bar universitario di fronte alla facciata minimale di un palazzo – Attraversare dove c’è l’insegna “Compro orologi” (come se si potesse commerciare il Tempo) – Contare tre traverse partendo da quella che ho ribattezzato “Via Glucosio” – Cercare l’insegna rossa di una banca dal nome vagamente ellenico e il negozio di telefoni (antidiluviano e incongruo nell’era dell’I-Phone).

A casa di Ethel, la presenza-assenza di Sylvia è un non-detto palpabile. Mi sarebbe piaciuto vederla dalla web-cam materna orientata su stanze canadesi, ma lei non risponde alla chiamata e mi accontento delle foto disseminate persino in bagno. Mi lavo in piedi di fronte al lavandino, passando la spugna su una saponetta al tè verde e cetriolo. Odore fresco prima di andare a suonare a Ludovico, che vive alla porta accanto. «La cena è pronta!» La loro cena: risotto al formaggio, frittata e gelato alle noci, mentre io dissimulo uno yogurt, tanto per mantenere il ruolo della brava anoressica e non scivolare giù dal piedistallo invisibile.

Per non far scappare il gatto Otello, lui apre uno spiraglio sulla serena testa di un Buddha indiano circondato da ninnoli di legno ed io rubo quello scorcio di vita tranquilla, calda e accogliente che trova un’analogia perfetta nel mini-giardino succulento sistemato sul frigo di Ethel.

 Sky urla dallo schermo in un clangore di spade fantasy che non riesco ad apprezzare e mi ritiro nella “mia” camera momentanea, dove occhieggiano i led rossi di uno stereo in disuso e un computer giace morto sulla scrivania, come un vecchio dinosauro che sarà ancora lì al mio risveglio.

Domani si chiude il Salone, ma ci sarà ancora un incontro che si preannuncia interessante.

 E poi il viaggio: lento, sferragliante e carico come un’antica carovana del west.

 

La mattina, faccio colazione guardando La Principessa Zaffiro e dosando sapientemente le mie porzioni di mele e caffeina assunte sotto varie forme per rilasciare energia nell’arco di ben ventiquattro ore.

Anche oggi le ragazze all’ingresso del palazzo regaleranno lattine di coca-cola zero accompagnandole con il solito slogan robotico. La miscela chimica e l’anidride carbonica alimenteranno il mio cervello per un po’.

 

Scena tre: La viajera de las cuatro estaciones

Il treno riposa sul binario 9 mentre io riprendo fiato e do un calcio al mio borsone troppo pesante per farlo passare dalla porta semi-rotta del vagone di seconda classe.

Mi siedo.

Accanto a me un algerino sistema le stampelle e si toglie il tutore che gli strige un piede. In un impulso vergognosamente opinabile, penso che la ferita sicuramente puzzi, invece emana un buon odore di talco. Mi rilasso. Accendo l’mp3 player del telefono. Scelgo un romanzo pescando nei sacchetti accatastati sul sedile.

Per un attimo alzo gli occhi sul paesaggio che inizia a scorrere piatto fuori dal finestrino.

Ho voglia di rivedere il mare abbracciato dalle colline;

Ho voglia di parlare con Cassy a tu per tu, dopo una settimana di telefonate-fiume cariche di entusiasmo infantile.

Ma so che sarà difficile rientrare nelle leggi della biologia.

Sospiro.

Sono rassegnata. Arrivata a casa, nel giro di pochi minuti ripiomberò nel buio della routine dell’ingrasso da allevamento.

Una ragazzina fa svolazzare le unghie laccate di un giallo acceso: sembrano farfalle, contro il paesaggio.
Mary Ellis sogghigna riflessa nel vetro. A quanto pare non esistono vie di mezzo tra l’apsaras fluttuante che sogno di diventare – signora delle acque delle nubi bianche  – e la trombettista boteriana che sono costretta a essere.
http://youtu.be/1Rm-Fu8rBms