Scena uno: Loudness
war
Il convegno va avanti: come parlare di poesia alla Fiera
dell’Est, con versi urlati sul sottofondo di un brusio costante condito di
Julio Iglesias da balera romagnola, musichette isteriche da giostra e
imbonitori della mercato letterario.
Ognuno cerca di vendere a grida la sua bambolina e il
“simpatico omaggio per i signori giornalisti” è finito in un lampo lasciando la
sala stampa piena solo d’inutili pezzi di carta incomunicanti. Mi consolo con
una visione del corpo del bodyguard all’ingresso, statuario e annoiato. «C’è
ancora uno shopper?», domando pretestuosa, «No, forse ne consegnano altri
domani mattina» risponde un Tyler Durden più vero, meno schizzato. «Sono arrivate
le borse?», potrei chiedere il giorno dopo, «No, mi spiace» direbbe lui con
l’auricolare piantato nell’orecchio e le gambe leggermente divaricate come nei
film. E io mi trovo in un luogo in cui, per una volta, non sono “la
canticchiante e danzante merda del mondo!”
«Hai fatto un’osservazione molto acuta» la console cilena mi
stringe la mano alla fine di una tavola rotonda su Óscar Hahn e l’Anti-poesia. Il profumo dei libri nuovi che mi hanno
regalato è un elisir d’intelligenza.
Scrivo.
In questa confusione,
Sviluppando un naturale tappo nelle orecchie.
Comincio ad avere i crampi alla mano e la matita si
accorcia.
«Scusa, potrei chiederti di temperarla su di un fazzoletto o
in un sacchettino? Ieri ho trovato un sacco di pezzetti e non capivo chi fosse,
poi ti ho visto … Scusa sai, è che devo tenere un po’ pulito …» Seguire i trucioli
come una colonna di formiche lituane, come le formiche tatuate sul braccio di
un ragazzo segnato dalle punture dei paradisi artificiali.
Nel corridoio passa una suora-infermiera marziale: se fosse
un po’ meno teutonica e quadrata, se fosse solo un po’ più sexy, sembrerebbe un
cosplay.
Scena due: Out in the parallel city
Il clima è impazzito: a casa, tre giorni fa, stavo in
t-shirt a prendere il sole e adesso, qui in questa città estranea pare che sia
novembre. La gente resta con l’ombrello aperto sulle scale mobili che
sprofondano nel sottosuolo.
Ormai ho imparato un percorso e mi attengo alle linee della
mia mappa immaginaria. Fieramente barcollo, inseguendo la purezza del vuoto
interiore. Le zebre degli attraversamenti pedonali marcano lo spostamento di un
orizzonte progressivo e sfuggente, come l’oceano azzurro dei grandi
conquistatori (E il blu è il colore originario dell’universo degli indios
mapuche).
La mente è lucida ma procede a scatti vigili: “Svoltare nel
grande viale alberato – Superare il distributore e il bar universitario di
fronte alla facciata minimale di un palazzo – Attraversare dove c’è l’insegna
“Compro orologi” (come se si potesse commerciare il Tempo) – Contare tre
traverse partendo da quella che ho ribattezzato “Via Glucosio” – Cercare
l’insegna rossa di una banca dal nome vagamente ellenico e il negozio di
telefoni (antidiluviano e incongruo nell’era dell’I-Phone).
A casa di Ethel, la presenza-assenza di Sylvia è un
non-detto palpabile. Mi sarebbe piaciuto vederla dalla web-cam materna
orientata su stanze canadesi, ma lei non risponde alla chiamata e mi accontento
delle foto disseminate persino in bagno. Mi lavo in piedi di fronte al
lavandino, passando la spugna su una saponetta al tè verde e cetriolo. Odore
fresco prima di andare a suonare a Ludovico, che vive alla porta accanto. «La
cena è pronta!» La loro cena: risotto al formaggio, frittata e gelato alle
noci, mentre io dissimulo uno yogurt, tanto per mantenere il ruolo della brava
anoressica e non scivolare giù dal piedistallo invisibile.
Per non far scappare il gatto Otello, lui apre uno spiraglio
sulla serena testa di un Buddha indiano circondato da ninnoli di legno ed io
rubo quello scorcio di vita tranquilla, calda e accogliente che trova
un’analogia perfetta nel mini-giardino succulento sistemato sul frigo di Ethel.
Sky urla dallo
schermo in un clangore di spade fantasy che non riesco ad apprezzare e mi
ritiro nella “mia” camera momentanea, dove occhieggiano i led rossi di uno
stereo in disuso e un computer giace morto sulla scrivania, come un vecchio
dinosauro che sarà ancora lì al mio risveglio.
Domani si chiude il Salone, ma ci sarà ancora un incontro
che si preannuncia interessante.
E poi il viaggio: lento,
sferragliante e carico come un’antica carovana del west.
La mattina, faccio colazione guardando La Principessa Zaffiro e dosando sapientemente le mie porzioni di
mele e caffeina assunte sotto varie forme per rilasciare energia nell’arco di
ben ventiquattro ore.
Anche oggi le ragazze all’ingresso del palazzo regaleranno
lattine di coca-cola zero accompagnandole con il solito slogan robotico. La
miscela chimica e l’anidride carbonica alimenteranno il mio cervello per un
po’.
Scena tre: La viajera de las cuatro
estaciones
Il treno riposa sul binario 9 mentre
io riprendo fiato e do un calcio al mio borsone troppo pesante per farlo
passare dalla porta semi-rotta del vagone di seconda classe.
Mi siedo.
Accanto a me un algerino sistema le
stampelle e si toglie il tutore che gli strige un piede. In un impulso
vergognosamente opinabile, penso che la ferita sicuramente puzzi, invece emana
un buon odore di talco. Mi rilasso. Accendo l’mp3 player del telefono. Scelgo
un romanzo pescando nei sacchetti accatastati sul sedile.
Per un attimo alzo gli occhi sul
paesaggio che inizia a scorrere piatto fuori dal finestrino.
Ho voglia di rivedere il mare
abbracciato dalle colline;
Ho voglia di parlare con Cassy a tu
per tu, dopo una settimana di telefonate-fiume cariche di entusiasmo infantile.
Ma so che sarà difficile rientrare
nelle leggi della biologia.
Sospiro.
Sono rassegnata. Arrivata a casa, nel
giro di pochi minuti ripiomberò nel buio della routine dell’ingrasso da
allevamento.
Una ragazzina fa svolazzare le
unghie laccate di un giallo acceso: sembrano farfalle, contro il paesaggio.
Mary Ellis sogghigna riflessa nel vetro. A quanto pare non esistono vie
di mezzo tra l’apsaras fluttuante che sogno di diventare – signora delle acque delle
nubi bianche – e la trombettista
boteriana che sono costretta a essere. http://youtu.be/1Rm-Fu8rBms
Nessun commento:
Posta un commento