lunedì 13 ottobre 2014

POETIC MADNESS / ATTACK ON TITAN


Corro sulle mura della Città Impossibile, mentre il cielo si riempie di nuvole grigie. Ok, dopo giorni di primavera bloccata sulle ultime note d’ottobre, l’autunno sembra davvero arrivato, nelle pozzanghere che m’inzaccherano le scarpe, e nella pioggia che mi sommerge le orecchie, mi pare di sentire – lontano, sotto gli spalti medievali – qualcuno che mi grida un insulto gratuito. Evidentemente ci sono persone che non hanno capito la nostra follia e non apprezza la festa di colori che invade le strade per quattro giorni di pura fantasia – Siamo teneri e furiosi come Don Chisciotte innamorato che fa le capriole attendendo la risposta della sua dama immaginaria.

Io non ho un personaggio, se non me stessa (Erin è viva in questo mondo in sospensione narrativa): vestito grigio col cappuccio a quadretti, leggins leopardati fluo e una maglia che brilla al buio – Le facce storte degli spiriti silvestri mandano bagliori verdi nella tempesta.  «Non è ancora carnevale!» urla un ragazzino ignorante con il cappello appena appoggiato sopra al gel, ma io preferisco pensare che sia un eroe dalla spada a forma di chiave che mi dice «Sei bellissima anche così, col cuore quasi fermo. Sei bellissima anche così, con gli occhi vuoti di una bambola rotta»

Sul muraglione, in corrispondenza della discesa centrale c’è un uomo di uno scultore da televendite Potrebbe essere un gigante senza pelle intento ad attraversare la breccia del Wall Sina per divorarci tutti e si potrebbe credere che io abbia l’attrezzatura per il movimento tridimensionale mentre volo sul fango.

E scivolo.

Quando mi rialzo, provo un dolore sordo, come di legno spezzato: devo essermi incrinata un paio di costole sul lato sinistro, ma forse tornerebbero a posto se domani indossassi un corsetto di stecche di balena comprato su un banco di moda vittoriana – un orologio con cammeo sul collo della camicetta bianca.

Sono stordita. Prendo tra le mani un ciondolo di phimo che penzola infortunato dalla catenina: ad Alice manca metà del fiocco tra i capelli;

Ad Alissa manca metà dell’anima.

Ma mi riprendo subito e tento di ricordare qual era la meta. Volevo raggiungere un’epoca azzurra, in cui i giorni erano felici. Cristina D’Avena avrà già iniziato a cantare nell’auditorium stracolmo di fan alla ricerca dell’infanzia perduta (perché in questo mondo non c’è più magia per Johnny).

Mi pulisco la faccia con una salvietta e la scena intorno a me smette di ballare. È colpa mia. A pranzo ho mandato giù solo una lattina di coca cola zero – di quelle grandi, però – e le bolle che mi riempivano la pancia devono essere scoppiate da tempo. Ma ora non importa: il teatro è là in fondo, ai margini della piazza e magari riuscirò a trovare ancora un posto-pavimento. Dopo valuterò un modo per tornare a casa, dato che la “solita” corriera oggi fa servizio ridotto.

 

Alle 19:05 c’è un autobus che mi aspetta alla fine della pensilina numero 5: il nome luminoso sul display è quello ma il tragitto è diverso, lungo e tortuoso.

Ci lasciamo alle spalle le case per inerpicarci sul monte, nel fitto di un bosco scuro à la “Blair Witch Project”. Aspetto che i fari illuminino il cartello bianco della mia destinazione e mi avvicino al conducente che guida come un pazzo, aprendo le porte ancora in corsa. «Scusi … » esito fino alla frenata successiva «… In genere scendo subito un passaggio a livello, dove c’è un distributore e il centro commerciale dell’elettronica …» «Ti posso lasciare lì vicino» Burbero ed essenziale, mi avverte qualche curva più in là e io mi precipito giù afferrando disordinatamente la giacca, lo zaino e la borsa ma, sola sul marciapiede, non so da che parte andare.

All’andata, ho condiviso il viaggio col cugino della mia amica ma adesso lui è rimasto indietro. Ha conosciuto dei tizi che possono regalargli delle “abilità speciali” da nerd o forse dei “punti ferita” e mi ha abbandonato, in barba alla cavalleria e al Dolce Stil Novo.

Respiro a fondo – compatibilmente con lo stridore delle ossa piegate – salgo su un dosso di cemento armato e finalmente, quasi rinfrancata, mi dirigo verso le stelline accese dell’insegna al neon – novella maga in cammino verso un rifugio incerto.

La via che cerco è nel cuore di un reticolo intricato e si distingue solo per la vibrazione fonetica di due vocali ripetute ma nessuno ha idea di dove sia esattamente. E comunque, qui la sera ci sono soltanto Uomini-con-Cane annoiati, ciabattanti e rassegnati che passeggiano in tondo sulla sponda del canale. Le barche bianche sonnecchiano pigre.

Probabilmente all’alba, usciranno a pescare. Qualcuna verrà trasportata col rimorchio sull’autostrada intasata, come in una pubblicità metafisica di un secolo fa.

Ora, gli scafi ondeggiano nel vento – la burrasca si è placata (dopo avermi allagato le scarpe) – e io conto le caselle sul mio calendario virtuale. Ho due giorni di vacanza / lavoro, durante i quali scrivere. Leggere, fare shopping … Non mi va di preoccuparmi di ciò che succederà tornando alla routine quotidiana, non mi va di telefonare a Cassy per raccontarle le mie avventure.

Lei è a Roma e di sicuro si sta divertendo, senza di me. Si è presa una pausa.

Ieri, quando l’ho sentita, la sua voce era fresca, rinata in mezzo alle rovine. Lucidamente leggo il suo miglioramento come un segno evidente della mia colpa.

Vinco l’ultima serratura e schiaccio l’interruttore per ritrovare il corridoio, la mia camera e la cucina silenziosa. Sul tavolo c’è un biglietto: “Torniamo tardi (faccina triste). Cenate pure senza di noi”.

Non so spiegarlo, ma ci resto un po’ male: avevo risparmiato lo spazio necessario a mangiare un hamburger di seitan che Liv, da buona fata vegana, aveva preso apposta per me, dopo aver analizzato coscienziosamente le tabelle sul retro di tutte le scatole del supermercato biologico: non poteva sospettare che persino il minimo sindacale mi avrebbe causato problemi e io, per riconoscenza, volevo mostrarle quanto sono brava a giocare d’equilibrismo.

Pazienza.

Ingoio a vuoto un rivolo d’amarezza, strappo un pezzo di carta da forno e cuocio la fettina per cinque minuti, provando a ignorare i resti sporchi di colazione che il Cugino IT deve aver lasciato in giro stamattina.

Metto a bollire uno zucchino e faccio zapping tra il nevischio dei canali.

23.36 Le palpebre sono pesanti, la testa ciondola disarticolata.

Spengo i led luminosi e mi avvio verso la mia stanza, sotto un piumone di Willie Coyote.

Domani la sveglia del cellulare suonerà alle 7.30 e sarò di nuovo pronta a catapultarmi nella confusione assurda dell’amore visuale che trasforma i connotati di un intero borgo, sovvertendo le regole della festa e riempiendo ogni via di rumori e di corpi effimeri.   



http://youtu.be/DwLV52Ut048

sabato 4 ottobre 2014

DIECISIETE AURELIANOS


 
 
Sono seduta sulla biancheria sparsa dentro il cassetto aperto, mentre Padre Fomanger ripete la filastrocca della Quaresima: “Convertiti e credi nel Vangelo”/ “Ricordati che eri cenere e cenere ritornerai”. I fedeli fanno la fila, segnati come i figli moltiplicati del colonnello fallito. Ognuno incolla l’ostia al palato e nasconde un segreto.

Io
Non riesco a concentrarmi.
 
Stasera mi sono fermata da Cassie, trasgredendo le leggi non scritte che vietano di infrangere la bolla tra pubblico e privato. Ho suonato al campanello del suo ufficio perché lei da un po’ ignora volutamente i miei mille messaggi che dicono “Mi sei mancata”. La porta si apre e l’esordio è come sporcare una pagina bianca: «Sono in ansia» E avrei voluto dire: «Raccontami la fiaba di quando mi amavi; raccontami di quando forse avrei potuto essere felice» Sono rimasta lì, parlando di sciocchezze tra un timbro e l’altro. Aspettavo che mi dicesse: «Ho solo perso il ricettario segreto e ho dimenticato come si preparano le torte alla fragola, ma ho scoperto mille modi per usare i tuoi albumi d’uovo». Sarebbe bastato anche: «Andiamo a fare un giro ché i cinesi sono ancora aperti».

Da mesi devo comprare una cornice per la foto 30x40 che mi ha regalato un artista della galleria e, presa dal turbine orizzontale dei chilometri (Qualcuno a Natale mi darà un contapassi?), l’ho semplicemente arrotolata e abbandonata sul bordo del divano. Visti i legami del tizio con la Royal British Sociaty, penso che quel pezzo di carta lucida valga qualcosa (come se un agente americano girasse con una maglia con scritto “I’m with the CIA”).

Penso. Forse sarebbe bastato un caldo abbraccio per sopravvivere nel più freddo dei reami. Cassie mi dice dei suoi colleghi che impazziscono dietro alla compilazione dei nuovi moduli informatici.

Secoli fa ho chiesto un consiglio professionale a uno di loro ed sono ufficialmente morta in attesa di un responso.

Punto e accapo

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Me la sono cavata guardando i video di Marco Bianchi su YouTube. (Rifletto: “Come posso usare la frutta secca?”) →
Tempo fa, un’amica si era stupita vedendomi bere il mio primo “vero” caffè, grazie alle ricerche sul sito della Starbucks Corporation. Non poteva sapere che quell’americano in tazza grande mi costava cento punture di dolore; e avrebbe dovuto lodarmi come se avesse di fronte un’eroina dall’armatura di cristallo fumante «Ti trovo meglio dell’ultima volta» … Avevo controllato con le dita il mio pallore giallognolo per assicurarmi di essere sempre la stessa.

Magari avrei avuto bisogno di qualcuno che mi dicesse: «Sei bella come una mandorla di Almyros» ma ormai è chiaro che dovevo abbandonare l’ideale della mamma che impasta dolci, la domenica.

Le avventure contro i misteriosi virus mandati dal ministero mi passavano sulla testa senza sfiorare la corteccia cerebrale. Ho deciso di aspettare che lei finisca il lavoro, che l’ultimo foglio sia riempito (click), stampato (click) e vidimato (stomp); poi prenderò la mano per tornare verso casa, come se non ricordassi la strada dentro il buio di novembre, perché lei si  è persa l’indicibile tramonto delle cinque – mentre io ho annusato la trasparenza della luce color malva – e non le resta che un cielo d’un blu oltrenotte con tre lune appese a un filo. L’unica soluzione – la soluzione finale – è muoverci verso il presente, fidandoci alla cieca dl pacciame sul bordo della strada - Cumuli di foglie pronti per il compost autunnale.

E così mi ritrovo di nuovo accoccolata in mezzo ai mucchi caotici eruttati dagli armadi.
Tolgo l’audio della pubblicità. La voce roca e acerba di K copre i transiti intestinali di una soubrette-ventre-piatto (I can't explain just why we lost it from the start /Living without you girl, you'll only break my heart...).