sabato 4 ottobre 2014

DIECISIETE AURELIANOS


 
 
Sono seduta sulla biancheria sparsa dentro il cassetto aperto, mentre Padre Fomanger ripete la filastrocca della Quaresima: “Convertiti e credi nel Vangelo”/ “Ricordati che eri cenere e cenere ritornerai”. I fedeli fanno la fila, segnati come i figli moltiplicati del colonnello fallito. Ognuno incolla l’ostia al palato e nasconde un segreto.

Io
Non riesco a concentrarmi.
 
Stasera mi sono fermata da Cassie, trasgredendo le leggi non scritte che vietano di infrangere la bolla tra pubblico e privato. Ho suonato al campanello del suo ufficio perché lei da un po’ ignora volutamente i miei mille messaggi che dicono “Mi sei mancata”. La porta si apre e l’esordio è come sporcare una pagina bianca: «Sono in ansia» E avrei voluto dire: «Raccontami la fiaba di quando mi amavi; raccontami di quando forse avrei potuto essere felice» Sono rimasta lì, parlando di sciocchezze tra un timbro e l’altro. Aspettavo che mi dicesse: «Ho solo perso il ricettario segreto e ho dimenticato come si preparano le torte alla fragola, ma ho scoperto mille modi per usare i tuoi albumi d’uovo». Sarebbe bastato anche: «Andiamo a fare un giro ché i cinesi sono ancora aperti».

Da mesi devo comprare una cornice per la foto 30x40 che mi ha regalato un artista della galleria e, presa dal turbine orizzontale dei chilometri (Qualcuno a Natale mi darà un contapassi?), l’ho semplicemente arrotolata e abbandonata sul bordo del divano. Visti i legami del tizio con la Royal British Sociaty, penso che quel pezzo di carta lucida valga qualcosa (come se un agente americano girasse con una maglia con scritto “I’m with the CIA”).

Penso. Forse sarebbe bastato un caldo abbraccio per sopravvivere nel più freddo dei reami. Cassie mi dice dei suoi colleghi che impazziscono dietro alla compilazione dei nuovi moduli informatici.

Secoli fa ho chiesto un consiglio professionale a uno di loro ed sono ufficialmente morta in attesa di un responso.

Punto e accapo

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Me la sono cavata guardando i video di Marco Bianchi su YouTube. (Rifletto: “Come posso usare la frutta secca?”) →
Tempo fa, un’amica si era stupita vedendomi bere il mio primo “vero” caffè, grazie alle ricerche sul sito della Starbucks Corporation. Non poteva sapere che quell’americano in tazza grande mi costava cento punture di dolore; e avrebbe dovuto lodarmi come se avesse di fronte un’eroina dall’armatura di cristallo fumante «Ti trovo meglio dell’ultima volta» … Avevo controllato con le dita il mio pallore giallognolo per assicurarmi di essere sempre la stessa.

Magari avrei avuto bisogno di qualcuno che mi dicesse: «Sei bella come una mandorla di Almyros» ma ormai è chiaro che dovevo abbandonare l’ideale della mamma che impasta dolci, la domenica.

Le avventure contro i misteriosi virus mandati dal ministero mi passavano sulla testa senza sfiorare la corteccia cerebrale. Ho deciso di aspettare che lei finisca il lavoro, che l’ultimo foglio sia riempito (click), stampato (click) e vidimato (stomp); poi prenderò la mano per tornare verso casa, come se non ricordassi la strada dentro il buio di novembre, perché lei si  è persa l’indicibile tramonto delle cinque – mentre io ho annusato la trasparenza della luce color malva – e non le resta che un cielo d’un blu oltrenotte con tre lune appese a un filo. L’unica soluzione – la soluzione finale – è muoverci verso il presente, fidandoci alla cieca dl pacciame sul bordo della strada - Cumuli di foglie pronti per il compost autunnale.

E così mi ritrovo di nuovo accoccolata in mezzo ai mucchi caotici eruttati dagli armadi.
Tolgo l’audio della pubblicità. La voce roca e acerba di K copre i transiti intestinali di una soubrette-ventre-piatto (I can't explain just why we lost it from the start /Living without you girl, you'll only break my heart...).
 
 

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