sabato 27 aprile 2013

LA FORMULA DI BOOGA



«Forse se vado in autobus, ce la faccio …»


Da stamattina, l’allerta meteo lampeggia inutile sui tabelloni della protezione civile, ma la neve è solo acqua fredda che non si ferma sui marciapiedi. « … Ci mancherebbe che nessuno uscisse più di casa per queste quattro gocce!»

«Beh, ma spesso la gente è obbligata ad andare al lavoro. Il tuo impegno non è mica un obbligo!»

Qui sta il problema: dato che io non faccio nulla che si possa esattamente chiamare “lavoro”, tutto lo diventa in maniera automatica, di sicuro inconscia. E così un concetto quasi fisico, per me si applica al costante sforzo intellettuale del mio cervello che macina parole – Immaginate Antonio Banderas che fa girare la ruota di pietra di un neuro-mulino (insieme alla gallina Rosita).

Le mille attività quotidiane si trasformano in un supplizio pianificato.

Valutando sconsolata la temperatura al di là dei doppi vetri del soggiorno, preparo con cura la mia armatura termica: collant, pantaloni felpati e calzettoni da sci infilati nei Doc Martens verd’insetto / maglia a collo alto sotto il maglione di lana; e persino una canottiera rubata a Cassy (quello strato in più che fa la differenza ma ha un’innegabile retrogusto di collegiale puritana).

Calco il cappello fin quasi sugli occhi, stringo il nodo della sciarpa. Il freddo mi brucia le dita anche attraverso i guanti e morde più intenso, dove il rigore del clima e l’avitaminosi mi hanno cotto la pelle.

Incurante del vento comincio a camminare. È così che immagino il nono cerchio dantesco; anzi, nella mia visione c’è anche una Donna delle Nevi dal bianchissimo kimono che tiene i traditori immersi a faccia in giù nel lago. Come avranno fatto i deportati in Siberia a resistere all’inverno? Come saranno sopravvissuti i prigionieri sull’isola di Sakhalin?

Piovono aghi che mi pungono le labbra.

Mi ricordano il rituale per diventare una divinità, inventato da una certa adolescente deviata. Bisognava tagliare il labbro inferiore e poi bere qualcosa di forte, in modo che il bruciore entrasse direttamente nella bocca – non sul palato o sulla lingua, ma proprio dentro, dove la carne è morbida e sensibile. Ora, dall’esterno mi vedo seguire il dogma alla lettera. Io sputavo fiori di fuoco su di un pezzo di carta cercando di rievocare Alissa, bambina addormentata, morta, cento volte Sperduta senza le girandole dei Jizô protettori.

Beh, non ha mai funzionato. Magari le macchie di Rorscharch non disegnavano la figura giusta per compiacere i numi.

I petali di vetro del cielo si sciolgono vorticando nell’aria … Potrei arrivare solo fino alla fermata.

Da mesi non salgo sui mezzi pubblici: un po’ per smaltire carburante in eccesso con il ritmo regolare dei passi, un po’ per non pagare il dazio a un servizio in evidente via d’estinzione.

È uno shock. L’odore di umano non lavato m’invade le cavità nasali con la potenza della putredine e cerco di spostarmi in avanti per sfuggire alla morsa di un misto di sudore, sporcizia e vino.

Timbro e mi siedo accanto alla cabina del conducente, scegliendo il seggiolino rialzato sullo pneumatico. Da piccola era il mio posto preferito perché vibrava sulle buche della strada trasmettendomi un tremore tellurico, ma erano altri tempi e le vetture erano carri armati indistruttibili con gli interi in simil-legno … Mi sistemavo, con i piedi che non toccavano terra, e succhiavo una gelatina di frutta spuntata per magia dalla borsa della nonna … Erano altri tempi …

Tiro fuori un libro dallo zaino. Nella storia, un ragazzino ha appena concluso il suo sciopero della fame contro l’alterigia materna. “E adesso cosa vuoi mangiare? Cosa ti farebbe più piacere?” chiede lo zio Georges. E io cosa risponderei a questa domanda?

Facile: Una mezza marinara. Con casatella, pomodoro e due foglie di basilico fresco.

Un sapore mediterraneo di latte e orto che rievoca un’infanzia di sorrisi e “rosee panettiere”. Da bere? Un’aranciata.

http://youtu.be/dMdWJpDgB1Y

NON FARE L'INDIANO (polpette di pesce e pansotti al burro speziato)


Platessa


Verdure bollite (avanzi vari)

Cumino

Rosmarino

Farina



Pansotti di magro

Burro

Cannella

Chiodi di garofano in polvere

Coriandolo

Aglio



Polpette di pesce:



Far scongelare filetto di platessa

Frullarlo insieme a una parte delle verdure bollite e cumino

Fare delle polpette e passarle nella farina

Cuocere con un po’ d’olio, rosmarino e un’altra spolverata di cumino



Pansotti:



Sciogliere un bel pezzo di burro

Aggiungere cannella, coriandolo e chiodi di garofano in polvere

Tagliare due spicchi d’aglio a rondelle fini

Buttare nella padella i pansotti (tempo di cottura dei p circa 5 minuti: sono pronti quando galleggiano!) e rigirarli bene per farli insaporire in modo omogeneo

NB fare attenzione a non rompere la pasta!

GERMAN SALAD ALLA VENETA


Cavolo verza

Aceto (di vino o balsamico)

Cipolla rossa

Aglio

Patate



Speck o pancetta a fette spesse

Senape in grani

Salsa di senape



Tagliare il cavolo e la cipolla a listarelle e stufarli in un sughino fatto con due cucchiai d’aceto e il resto acqua

Aggiungere aglio intero (che poi si toglie)

Dopo circa 40 minuti, aggiungere patata bollita tagliata a cubetti e fette di speck (o pancetta)

Aggiungere semi di senape

Cuocere altri cinque minuti e poi girare le fette

Lasciare ancora due minuti



Decorare con prugne secche denocciolate

Guarnire la carne con salsa di senape

giovedì 25 aprile 2013

OMURAISU オムライス (omelette al riso)


Uova


Salsa di soia

Ketchup

Burro

Ala nori



Riso

Porro

Insaporente





Riso:

Far saltare con del porro

Aggiungere subito l’acqua, coprendolo bene, e tappare con un coperchio

Alla fine aggiungere un po’ d’aceto (di mele o di riso) e dell’insaporente giapponese per riso (se non lo avete, potete costruirlo: ad esempio con semi di sesamo, pesce essiccato o alghe in polevere)



Per l’omelette si procede come la tamago-yaki:

Sbattere due uova con la salsa di soia, sale e un pizzico di zucchero

Versare nella padella da crêpes imburrata e far bene attenzione che si spanda in modo uniforme



Quando è pronta, mettere il riso al centro e avvolgerla su se stessa

Passare in un piatto appoggiandola sopra a un foglio d’alga lievemente inumidito (basta bagnare la punta delle dita!)

Mettere il ketchup (sopra o dentro, direttamente sul riso)

Avvolgere anche alga.



Contorno:

Indivia belga e cetrioli (ci stanno benissimo anche daikon o ravanelli)

O verdura calda: cavolo verza, asparagi, zucca …



PURÉ DOMINICANO AL FORMAGGIO


Patate


Porro

Formaggio tipo olandese o gruviera

Latte

Burro

Noce moscata (questa è una mia aggiunta personale

Peperone rosso



Pelare le patate grossolanamente, lasciando dei tratti di buccia.

Bollire con un bel pezzo di porro

Schiacciare con la forchetta

Cuocere la crema con il latte, un pezzetto di burro, la noce moscata e il formaggio tagliato a dadini (se vedete che il liquido non basta – le patate assorbono molto! – potete aggiungere dell’acqua

Mescolare bene per un paio di minuti

Consiglio di salare solo alla fine di questa fase (non l’acqua di bollitura delle patate)

Mettere in un piatto e aggiungere sopra del peperone rosso tagliato a dadini (io ho messo anche una manciata di misto surgelato pronto!)

Scaldare per 5 minuti al microonde

Può essere accompagnato da verdure bollite o al vapore

martedì 23 aprile 2013

DIP / RUCK - Make me beautiful




Alcuni scrittori dicono che bisognerebbe tenere un quaderno sul comodino per annotare i sogni prima che evaporino dalla memoria, ma forse sarebbe meglio dimenticare certi incubi troppo vividi, o semplicemente rievocarli quando la brillantezza dei particolari si è smorzata a contatto con la banalità del quotidiano.


È la cauta procedura che ho deciso di adottare per raccontare le scene che si agitano ancora sullo schermo platonico del mio cervello a più di ventiquattro ore di distanza dal suono digitale della sveglia.


Questa è la storia goticamente contemporanea di una violenza da cesso.

Non ricordo com’è iniziata.

ESTERNO / NOTTE: Due studentesse con la divisa di un liceo giapponese – il fazzoletto verde annodato sotto l’ampio colletto alla marinara, la gonna a pieghe, i calzettoni lunghi al ginocchio – camminano in un viale alberato.

«Perché non entriamo a bere qualcosa?» deve aver proposto una delle due – bionda e troppo truccata di cajal nero. L’altra esita davanti a un’insegna al neon viola Las Vegas / rosso motel.

Dentro l’atmosfera è fumosa. Il bancone è vecchio, il barista shakera distratto un sospetto mix d’alcolici.

La biondina è sicura di sé; ordina (un daiquiri alla fragola?)

Subito si accosta un uomo. Ho conservato soprattutto il suo aspetto muscoloso, i bicipiti ben scolpiti, scoperti dalla canotta da basket. Ha un’aria crudele da mafioso russo: gli occhi piccoli e una zazzera tinta di platino che ricade in avanti sulla testa rasata.

I soliti convenevoli per attirare le prede.

Poi il set si sposata in un bagno. A essere precisi, non può essere quello del locale: è grande, piastrellato di bianco candeggiato e luminoso. Assurdamente luminoso se si considera ciò che sta per succedere.

Lui minaccia la tipa con un coltello. L’amica trema in un angolo come un coniglio impaurito e ha perso tutto il suo fascino (per il momento, la cancelliamo dalla trama).

La tipa – dicevamo – non cede agli ovvi strattoni animaleschi, però ha già la blusa strappata. «Se non fai la brava, ti scuoio questo tatuaggio!» (Il ramo di fiori di ciliegio che le decora la spalla finisce con un quadrifoglio: simbolo di fortuna e di voglia di volare cantando) «No ti prego! Ci tengo! Farò qualsiasi cosa!» Le lacrime le bagnano il viso trasformato in maschera tragica.

BREAK: Quando si spoglia docilmente, rivela un completo di raso nero / scarlatto troppo sexy per una bimbetta acqua e sapone. Improvvisamente sembra una di quelle barbie omologate dei telefilm americani (potrebbe essere Kimber, la pornostar rifatta ad arte, o una qualsiasi bambolina gonfiata).

Indubbiamente c’è un’aggressione che non vediamo. Poi un suggerimento ancora peggiore, lama alla mano « È un peccato doverti chiedere di usare un così bel culo …» (testuali parole).

Lei pare assuefatta. Inquadratura dello spazio vuoto e disinfettato con sottofondo di eloquenti grugniti. Di nuovo, possiamo solo supporre – Evidentemente la mia immaginazione, priva di esperienza sul campo, non è in grado di riprodurre una dinamica verosimile.

STACCO Il peggio è passato, ossia: la belva se n’è andata abbandonando la vittima sul pavimento al lisoformio.

Lei vomita in un cestino della spazzatura. La schiena scossa. La compagna (magicamente ricomparsa) cerca di sostenerla mentre il secchio si riempie e deborda.

Subito dopo devono averla accompagnata a casa, nella sua camera. Ha indosso un pigiama azzurro e rimane immobile sotto le lenzuola pulite, la trapunta tirata fino al mento, ma entra qualcuno.

Dalle circostanze desumiamo che si tratta di suo padre, anche se per me ha la faccia conosciuta dell’ex fidanzato di Hortensia. Ha scoperto i trucchetti alimentari della sua problematica figlia inappetente brandisce furioso le prove. «Che cazzo sono questi, eh?» «Per favore, non adesso» mormora lei, vinta e stremata. « “Non adess…”?» inizia ad urlare, ma basta un’occhiata al corpo dolorante e agli occhi svuotati per fermarsi e capire.

STACCO (Stavolta estremo e radicale): la biondina è stata rapita dal suo torturatore ed è diventata una lolita di pizzi scurissimi in una villa tetra (l’architettura è un incrocio tra Hitckock e Jane Eyre). Si è abituata – ci si abitua a tutto, in fondo – e non le pesa tanto essere rinchiusa nel ruolo di giocattolo senz’anima.

C’è anche un compare del sovietico: ha la funzione di carceriere apparentemente bonario e di cliente occasionale.

La fedele amica muta adesso è una specie di ancella fuori posto.

I giorni bui scorrono nelle stanze chiuse a chiave. La ragazza si sistema i capelli davanti a una consolle fin de siécle bordata di stucchi dorati. Il mondo è orrendo, lento e sonnolento.

Fino all’omicidio.

C’è un grande giardino circondato da un muro altissimo di mattoni anneriti. Gli alberi hanno tronchi pallidi, di flessuoso legno dolce macchiato di grigio-tortora e anche i fiori sono una nuvola leggera sull’erba. La nostra Victorian Kimber e il suo sorvegliante passeggiano sul sentiero, come una coppia d’innamorati nel cortile di un manicomio, ma chissà perché il cancello di ferro è aperto (o meglio, socchiuso) e lei all’improvviso estrae una specie di mannaia da macellaio e colpisce al braccio, tagliandolo via di netto.

Il tizio ha un’espressione stupita.

Il sangue tinge il prato accarezzato dal vento primaverile.

Lei guarda con disprezzo il cadavere (come mai si muore sempre in posizioni innaturali, quasi ridicole?), poi solleva l’orlo del vestito e corre via, libera.



Quando mi sono svegliata, ogni dettaglio era freschissimo nella mia mente, come se fosse appena finito un film di Tarantino, e – a causa dell’impatto emotivo – non ho realizzato subito che la protagonista di quel massacro ero io. Non sono mai stata figa, non mi sono mai nemmeno avvicinata alla definizione di “carina”, ma il tatuaggio – quello insidiato come merce di scambio per voglie bestiali – è il mio. L’avevo inciso sulla pelle nell’estate di Shibuya, per suggellare un voto fatto agli dei.

Quanto agli inganni … Beh, potrebbero essere una parte plausibile della verità.




http://youtu.be/OFDgHjnCa6Y


sabato 20 aprile 2013

TEXHNOLYZE


Intanto le solite informazioni tecniche: Texhnolyze è una serie di 22 episodi frutti di un’idea della prolifica Chiaki J. Konaka e del designer Yoshitoshi Abe, già creatori di pietre miliari del genere cyberpunk come Serial Experiments Lain.


La storia si svolge nella città sotterranea di Lux, dove la competizione per il potere è talmente violenta che le mutilazioni sono all’ordine del giorno perché tutto si basa sul commercio di protesi artificiali, le texhnolyze che non solo rimpiazzano gli arti mancanti, grazie a una misteriosa sostanza chiamata “rafia” ma creano anche una realtà aumentata, fornendo dati analitici a loro possessori. La popolazione si divide sulla base di questo status symbol: il governo dovrebbe essere nelle mani di una fazione denominata Grabe ma, per via della sua manifesta debolezza, l’ordine viene mantenuto da un’organizzazione parallela, la Organo guidata da Keigo Onishi. Tale situazione rispecchia evidentemente una certa visione del Giappone contemporaneo, in cui la yakuza supplisce alle carenze dello Stato centrale rispondendo in modo rapido ed efficiente alle emergenze: è quanto rilevato dal giornalista Jake Adelstein che, all’indomani della catastrofe del terremoto, dipingeva i 78mila affiliati della mafia nipponica come gangster e filantropi, legati a un proprio rigido codice d’onore (vedi Internazionale del 21 settembre 2011). Onishi è senz’altro un prototipo perfetto di questo punto di vista e la sua caratterizzazione rimanda a gioielli del manga noir come Sanctuary di Shô Fumimura e Ryôichi Ikegami, che svelava le strette connessioni tra criminalità e politica (1990-95). Visto il talento del giovane boss che dice di “sentire la voce della città”, i vecchi membri della famiglia gli sono ostili e tramano alle sue spalle per farlo capitolare sfruttando la condizione d’instabilità generalizzata.


Infatti, se la Organo controlla le alte sfere, i bassi fondi sono dominati da bande di sbandati, i Racan. L’accento post-apocalittico delle loro piccole comuni, il loro abbigliamento volutamente retrò e persino alcune sequenze – come ad esempio il percorso in moto del loro capo, Shinji –

si rifanno chiaramente ad Akira, fumetto e film di Katsuhiro Ôtomo (1988), fondamentale per l’evoluzione linguaggio del manga contemporaneo. D’altra parte, ci sono altri frammenti che compongono il mosaico dell’immaginario di Texhnolyze. Cerchiamo di svelarsi man mano che ci addentriamo nella trama.

La vicenda si apre con Ichise, un promettente pugile che urta i suoi protettori e per questo viene punito con l’amputazione di un braccio e di una gamba. Monco, inizia a vagare per i vicoli bui finché viene soccorso, ormai privo di coscienza da una dottoressa (Doc), la migliore nel campo della ricerca sulle protesi artificiali. La donna progetta quindi due arti sostitutivi e li impianta sul corpo del ragazzo che però tarderà ad adattarsi ai nuovi stimoli sensoriali forniti dal sistema virtuale. In definitiva lui non può abituarsi perché rappresenta la parte primitiva dell’Uomo, quell’impulso animale che spinge a sopravvivere in qualsiasi condizione. Tale interpretazione simbolica è confermata dal suo comportamento schivo e dal suo quasi totale mutismo: di fronte alle situazioni più disperate e pericolose la sola risposta possibile è quella dettata dall’istinto e anche man mano che la narrazione procede, quando Ichise diventa un membro di Organo sotto l’ala di Onishi, la sua trasformazione è solo superficiale, esteriore. Anche il suo rapporto con Doc è emblematico della sua posizione nello scacchiere di metafore di questo anime: la donna – una bionda procace che trova epigoni in molte scienziate dell’animazione (ultima in ordine cronologico Shion Kanamori, il medico legale di Psycho-Pass [2012]) – diventa una seconda madre per Ichise (“il suo capolavoro”) guidandolo nell’uso corretto delle sue funzioni sconosciute. Ma a questo processo di re-imprinting va aggiunta anche un’attrazione di tipo sessuale che si rifà chiaramente all’archetipo del complesso di Edipo e che genera un ulteriore livello di complessità nella struttura psicologica dei due personaggi, ponendoli a confronto con il mondo esterno.

Per alcuni aspetti, quindi, l’impostazione dell’anime ha qualcosa in comune con il notissimo FullMetal Alchemist (2001-2003 /2003-2010).

Senza svelare qui la vera composizione della “rafia”, si possono riscontrare evidenti analogie tra la sostanza vitale della città e la pietra filosofale degli alchimisti, così come si nota una certa similitudine tra la funzione narrativa di Doc e quella di Winry nell’opera della Arakawa. In Texhnolyze l’approccio è senz’altro più cupo e maturo ma il tema della perdita del ruolo genitoriale è centrale in entrambi i casi: se da un lato l’avventura originava dalla tentata rievocazione di una madre morta come compensazione per un padre immortale ma fisicamente assente e Edward otteneva un nuovo corpo grazie alle cure meccaniche dell’officina Rockbell, adesso ci troviamo di fronte a una versione ombrosa di quello stesso ragazzo – come se si trattasse di un suo avatar disilluso - che non ha mai conosciuto davvero suo padre e trova rifugio nell’organizzazione. L’annullamento del legame parentale in favore di un vincolo elettivo è chiaro anche in altri personaggi del clan, come ad esempio Toyama, un giovane gay che per anni è stato molestato dal padre che anzi non si fa scrupolo di chiedere al figlio l’ennesima prestazione sessuale in cambio di informazioni; ma anche il gruppo coeso dei Racan guidati da Shinji diventa un simulacro di “famiglia, simile alle società senza adulti di molte storie post-apocalittiche. Una simile struttura può reggersi solo sulla presenza di un Super-Ego particolarmente forte che di fatto si ramifica in diversi sotto-prodotti, esattamente come avviene nella nostra società.

Abbiamo detto che Organo non è l’unica entità in campo: per quanto indebolita, Gabe continua ad esistere, relegata sulla collina, dove i suoi membri conducono una vita legata al misticismo e alle profezie, secondo uno schema che riproduce idealmente la suddivisione tra campagna e montagna nella tradizione giapponese: nelle credenze più remote infatti, gli uomini non potevano violare i boschi montani dominati dal dio, il quale scendeva a valle solo in occasioni speciali, ad esempio per annunciare un nuovo raccolto. Nell’anime, in ogni generazione ci deve essere una veggente, capace di prevedere il futuro e d’incarnare la voce della città. Nel presente, la designata è Ran che, proprio come l’antica Cassandra, conosce l’ineluttabile tragedia del futuro immediato e vorrebbe rinunciare alla sua facoltà paranormale. Chiaramente però, lei non può sfuggire al Destino esattamente come la città non può evitare di procedere verso il collasso.


Un altro fronte è costituito dall’Unione, che non ammette la progressiva meccanizzazione dell’uomo e predica la purezza del corpo e la salvezza perseguita anche con mezzi violenti e terroristici. A questa fazione si accosta Yoshii, una persona misteriosa arrivata a Lux dal mondo in superficie;

infine c’è il gruppo denominato La Classe, che vive arroccato in una città chiusa, proibita alla gente comune, i cui cancelli d’accesso ricordano i “corridoi” percorsi dal caccia di Luke Skywalker nell’epica battaglia contro la Morte Nera. Il loro leader è Kano, che agisce come sovrano e demiurgo assoluto creando gli Shapes. Si tratta di esseri umani totalmente robotizzati, ai quali resta solo la testa su un corpo da cyborg.

In questa gerarchizzazione sociale si distinguono gli stadi della ricerca identitaria che caratterizza il Giappone sin dal dopoguerra. Dopo la sconfitta bellica, il robot incarnava la possibilità di rivalsa e l’affermarsi di una nuova estetica che, originando dalla cultura tradizionale e dalla contrapposizione wabi /sabi, guarda a nuove prospettive. Come scrivono Marco Ghilardi in Culture del Giappone contemporaneo (pp. 156-157, Tunué, 2011) e Marco Bertolini in Mangascienza (Tunué, 20111) si prospetta un modello evolutivo che complica il rapporto tra tecnologia e soggetto spostando la dimensione estranea all’interno dell’individuo nel tentativo di avvicinarsi all’immortalità. Ma, come in molte opere di questo genere, presto si scoprono i limiti di tale progetto perché il funzionamento delle protesi artificiali dipende dalla “rafia” e dall’influsso “dell’Obelisco” che si trova al centro della città (e che ne costituisce visivamente lo zenit).

Fallite le trattative, l’ultima possibilità di fermare o rallentare la sollevazione guidata da Kano è di cercare il sostegno del governo del mondo in superficie ma, giunti nella luce dello spazio aperto, scoprono un’incredibile verità che qui non si può rivelare senza guastare il piacere della visione: basti solo dire che si tratta di una condizione che rimanda all’archetipo del mito. La situazione rispecchia per certi versi quella di Lux, riportando ancora una volta alla geopolitica fantastica di FullMetal Alchemist, in cui compare la teocrazia di Reole retta da un santone che diffonde i suoi dogmi via etere grazie alla radio. Tuttavia non è questo il solo elemento da prendere in considerazione: i colori brillanti contrastano nettamente con l’atmosfera claustrofobica del sottosuolo, ma fin dall’inizio del viaggio in un panorama rurale che richiama le periferie deserte di Edward Hopper (o il cammino di Dorothy ne Il Mago di Oz) si avverte qualcosa di stonato e innaturale, confermato dalla decisione di Doc di restare per sempre lì: nella camera d’albergo inondata di sole, il suo sguardo perso oltre la finestra ricalca proprio il dipinto Morning Sun, in si percepisce la quiete di un futuro velato di malinconia.

Un solo piccolo neo per questo anime maturo, complesso e ben disegnato: nella fase di lotta per il potere all’interno di Organo, ci sono un po’ troppi personaggi, rischiando quindi di far perdere incisività ai singoli.

venerdì 19 aprile 2013

CARLETTI (Home-made Sofficioni)


Fondo di prosciutto cotto


Formaggio spalmabile o stracchino

Latte

Burro

Noce moscata

(farina di riso)

Sfoglia pronta

1 uovo

Pane grattugiato

Cumino





Frullare il prosciutto a dadini e il formaggio

Far sciogliere un pezzo piuttosto grande di burro con la noce moscata

Mettere nel pentolino il composto con un po’ di latte (se vedete che resta troppo liquido aggiungete la farina di riso)

Fare dei tondi sulla sfoglia e sovrapponeteli due a due (questo se usate sfoglia pronta. La ricetta originale non lo diceva perché prevedeva di fare a mano una sfoglia spessa)

Mettere un cucchiaio di ripieno al centro

Ripiegare a mezzaluna e chiudere bene

Passare i fagottini nell’uovo e poi nel pane grattugiato (potete usare quello pronto o grattugiare del pane raffermo)

Far scaldare olio e cumino

Friggere per 8 minuti (4 minuti per parte, girandoli con spatola e forchetta in modo che non si rompano)

N.B. fate attenzione a tenerli distanziati nella padella!

il contorno è di peperoni e funghi :)


M li consiglia anche come accompagnamento per la pasta: se avete fatto troppo ripieno, potete aggiungerci l’uovo avanzato e usarlo come condimento per una pasta tipo carbonara.

Credo che M abbia aggiunto del cavolo e delle olive

BLOODY RICE & SCAMPI PAZZERELLI


Riso


Porro

Cannella

Burro

Vino bianco

Una foglia di insalata di Treviso rossa



Fragole

Yogurt bianco







Far cuocere il riso con tecnica pilaf (dorarlo sul fuoco con burro, porro e cannella e poi infornare coperto di vino e acqua per 20 min)

Frullare delle fragole e lo yogurt e aggiungere il composto al riso (ultimi 5 minuti di cottura).

Aggiungere anche qualche fragola a pezzi e una foglia di trevigiana a pezzi.

Si può decorare con pezzi di fragola (per esempio, tagliandola in quattro) e /o more o mirtilli, ribes …





Scampi

Mazzancolle

Zucchine

Indivia belga

Vino bianco

Pepe



Cuocere sul fornello le zucchine tagliate a rondelle dopo circa 10 minuti buttare gli scampi (sgusciati) e le mazzancolle (con la testa) ancora surgelati in modo che sciogliendosi facciano sugo.

Aggiungere un po’ di vino e un po’ d’acqua.

Pepare

Mettere in forno per 10 minuti aggiungendo anche l’indivia.






sabato 13 aprile 2013

I'M KILLING TIME ON VALENTINE'S



«Ve ne pentirete!» Sbraita Crudelia Demon con la sua pelliccia di dalmata, puntando un dito ossuto contro Tony il tuttofare.


Sono tutti in grande spolvero per il vernissage e di sicuro nessuno ha notato l’assenza di un’etichetta sul muro bianchissimo dello stand. Nessuno, tranne l’interessata, che non sembra disposta a sopportare un simile oltraggio. Il Boss abbozza uno dei suoi migliori sorrisi diplomatici mentre Jane arrossisce fino alla radice dei capelli. Eccola in una delle sue migliori arrabbiature in stile pentola-a-pressione: non potendo dire nulla sul momento, si sfogherà più tardi a tu per tu con le scope nello stanzino. «Accidenti, mi viene proprio voglia di ammazzare qualcuno!» È costretta a indossare una maschera di gentilezza e un tubino di pizzo ma ribolle di rabbia. «Hai due facce. Come Dexter: di giorno ematologo e di notte serial killer che toglie di mezzo i criminali impuniti» «Esatto, dici che si può fare?» Ondine regge lo scherzo, trovando la battuta giusta che stempera gli animi «Eh, per fare tutto in maniera precisa, ti ci vorrebbe un sacco di cellofan. Non so se alla Metro te lo vendono!» Funziona. Scoppiamo a ridere e dimentichiamo le ire funeste delle arpie acriliche.

Anche Ondine naturalmente è bellissima e l’abitino corto, rigorosamente nero, mette in risalto una femminilità che non sospettavo. Osservo il suo profilo pallido, il naso dritto e la curva scolpita dei capelli che profumano di gel alla frutta.

Potrebbe essere una musa. Potrebbe essere un avatar di Sylvia.

Solo ora lo capisco. E mi sento tesa, preda di una sottile inadeguatezza pronta a schiacciarmi.

Sono meschina? Forse, o forse sono solo troppo umana ed empatica.

Poi il mondo mi regala un altro tassello per il mio puzzle incompleto. Tra i quadri concettuali appesi alle pareti, sfilano ragazze strette dentro corsetti cyber-vittoriani, pizzi d’epoca, gorgiere e gioielli di cristallo. Sono magrissime e con i segni della tristezza negli occhi di pietra seleniana. Quella modella bionda è il risultato di ciò che io non sono riuscita a diventare e ancheggia sulle chilometriche zeppe turchesi. Oh, Alissa! Se fossi crescita e sbocciata saresti stata così, ne sono sicura.

Cercando di essere elegante, io avevo scelto un maglione color rame da abbinare con dei ciondoli di terracotta ma il riscaldamento nel Padiglione C è troppo alto e sono costretta a toglierlo subito per evitare di sudare. La termica nera non fa un brutto effetto sulle calze arancioni ma sono fasciata in modo imbarazzante e credo che il disagio mi si legge in faccia mentre allungo il mio biglietto da visita a un meraviglioso uomo-donna corredato di tacchi a spillo e ali d’angelo caduco.

Un tipo con gli occhiali a specchio mi si avvicina deciso. «Sei tu che hai scritto di me sulla rivista?» Tremo.

Ha un ciuccio di plastica viola attaccato alla cerniera della felpa: non può essere cattivo.

«Sei il mio mito! Ma come hai fatto a capire che amo il Teatro dell’Assurdo?» «Non so. Non ricordo … Sai, io ho una memoria molto a breve termine. E poi è come se a te chiedessero perché disegni certe cose, no? Comunque ti lascio il biglietto da visita con i miei contatti.» In realtà, avrei dovuto rispondere “Tu descrivi la vita. È la vita stessa a essere incomprensibile”. Ma non sono abbastanza rapida e brillante. In queste occasioni avrei bisogno di una mano di lucido. O di una pastiglia energizzante.

Sollevata ritorno alla solita modestia scherzosa che il mio capo non approverebbe. Una pittrice interviene nella conversazione «È che lei ha una sensibilità non comune nel leggere le immagini!»

Stanno pettinando il mio Ego come non succedeva da secoli e quando esco, nel freddo della sera, le luci che splendono sul tendone del circo in riva al mare mi ricordano il mio mestiere di funambolo giullare.

Lo sbalzo termico è mostruoso. Tento di chiudere di più la cerniera del piumino, già tirata su al massimo e intanto sintonizzo la radio alla ricerca di un rauco conforto rock che mi aiuti a superare l’infinito rettilineo fascista di mattoncini rossi costellati di coriandoli e di spazzatura. Mi fermo un secondo a sistemare la sciarpa. Ho il tempo di fotografare un flacone vuoto di farmaci che rotola sulla grata di un tombino.

A volte le allucinazioni mostrano la verità ed è necessario appuntarsi i sogni sul quaderno prima che svaniscano con la sveglia dell’alba.

http://youtu.be/jERpzqaHJO8   http://youtu.be/Y5fBdpreJiU

TINA MODOTTI

Tina foto de Edward Weston

Tina Modotti (Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini) nació en un pequeño “borgo” cerca de Udine en 1896. A los 17 años dejó su trabajo en la fábrica texil y salió hacia los Estados Unidos, rumbo Ellis Island y Nueva York, y luego se unió a su padre en San Francisco. Cuando niña, antes de radicarse en Friuli, Tina ya había vivido una experiencia migratoria, porque había crecido en una zona de la Carintia austriaca donde habitaban muchas familias slovenas.


En los EE.UU. tuvo que buscar trabajo como obrera pero se dedicó también al teatro y alcanzó el mundo dorado del cine mudo hollywoodiano, actuando en varias películas, siempre con el papel de la femme fatal (la única cinta que se ha mantenido intacta es Tiger’s Coat de 1920): nunca fue verdaderamente satisfecha de esta posición superficial y pronto dejó la pantalla para entrar en los cìrculos intelectuales de California.

En una exhibición internacional para la inauguración del Canal de Panamá encontró su futuro esposo, el artista canadiense Roubaix de l’Abrie Richey, apodado “Robo”, y con él Tina se trasladò a Los Ángeles haciéndose deseñadora de moda en el atelier de su marido.



Durante las tertulias en esta casa, Tina conoció a Edward Weston y, a medida que su relación con Robo se desmorronaba, la actración hacía el fotografo seguía aumentando: d’Abrie Richey aceptaba esta situación ambigua y, en efecto, llevaba adelante un amorío homosexual con el periodista mexicano Ricardo Gómez Robelo.

Manos Tina Modotti

Robo salió hacia México para partecipar al clima de renovación cultural que seguía los años sangrientos de la revolución: gracias a las políticas educativas del Ministro José Vasconcelos, los muros de los edificios públicos fueron entregados a los pintores muralistas que dejaron el rifle para tomar el cepillar.

Diego Rivera

Cuando Tina llegó a México para promover una exhibición de las fotos de Edward, su marido ya estaba muerto de viruela.

Weston pareció entusiasta del fermento de la capital federal pero luego perdió su interés para la sociedad y se volvió más introspectivo y minimalista (es famosa su serie de tomas de un excusado). Por lo contrario, Tina abandonó el formalismo estético para observar los campesinos y las mujeres (de un viaje en el estado de Oaxaca sacó su serie “Las mujeres de Tehuantepéc”. Son las mismas comunidades matriarcales retratadas por la fotografa mexicana Gabriela Itubide) y, cuando por fin Edward decidió volver a California, ella se inscribe en el Partido Comunista .





Mujer Graciela Itubide






Excusado de Edward Weston
Así conoció a otro hombre carismático, el disidente político cubano Julio Antonio Mella, que había salido de su isla siendo perseguido por el régimen de Gerardo Machado y que, desde su exilio, estaba organizando una rebelión contra la dictadura. Quizás fue un sicario enviado por el líder militar quién lo mató en 1929, pero la prensa empezó una campaña contra Tina y los demás extranjeros en México. En 1930 Tina fue expulsada del País hacía EE.UU. pero fue obligada a dirigirse en Europa para establecerse en una Berlín fría donde ya se sentían ecos del nazismo. No logrando adaptarse a este nuevo lugar y a las tecnología fotográfica que avanzaba rapidamente, se cerró en un silencio que no quebró ni siquiera cuando Gerda Taro, pareja del reportero Robert Capa le pidió documentar la tragedia de la guerra civil española. Después de una larga temporada en la Rusia stalista, Tina fue enviada al frente con su novio Vittorio Vidali (aliás capitán Carlos Cotreras del Quinto Regimiento) y permaneció en la zona de Barcelona durante todo el conflicto, trabajando de enfermera y traductora para el Socorro Rojo.



Guerra civil española Gerda Taro


Cuando volvió a México bajo el nuevo gobierno del presidente Lázaro Cárdenas (que ofrecía hospidalidad a los refugiados Republicanos), usando un pasaporte falso a nombre de María Sánchez, nadie reconoció a la mujer solar de nueve años antes. A Tina, el dolor la había vuelto intrasigente y opaca. Se negó a ver sus viejos amigos y nunca volvió a buscar su Garflex, que Manuel Álvarez Bravo custodiaba en su casa. Para justificar su portamiento, ella aducía razones ideológicas, dado que la mayoria de los intelectuales mexicano eran partidarios de Trosky,encerrado en una casa-fortaleza de Coyohacán cerca del domicilio de Frida Kalho y Diego Riv
Julio Antonio Mella Tina Modotti
era. Nunca se aclaró si Tina estaba a parte de la parcela contra el sóvietico pero es cierto que conociera a los autores del atentado a su vida (un grupo encabezado por el muralista radical David Alfaro Siqueiros).

Murió en circumstancias misteriosa en 1942 de una “congestión generalizada” que, según afirman algunas tesis, coincide con el modus operandi de la policía stalista, de manera que muchos periodistas pensaron que Vidali fuera el culpable.



Letcuras en italiano



Tina Pino Cacucci

Tina Modotti tra verità e leggenda Christiane Backhausen

Tina Modotti Paolo Cossi (fumetto)

Vita arte e rivoluzione, Lettere a Edward Weston (1922-31), a cura di V. Agostinis





Hélène Elizabeth Louise Amélie Paula Dolores Poniatowska Amor (París, Francia; 19 de mayo de 1932) es una escritora, activista y periodista mexicana cuya obra literaria ha sido distinguida con numerosos premios. Al nacer recibió el titulo de princesa por ser descendiente de Estanislao II, último rey de Polonia.



En 1954 empezó su carrera periodistica y actualmente escribe para La Jornada. El reconoscimiento internacional vino con su libro de testimunio Hasta no verte más Jesús mío (Fino al giorno del giudizio Giunti Editore) que ganó el Premio Mazatlán en 1971, y sobretodo con La noche de Tlateloclo sobre la matanza de estudiantes occurrida el 12 de octubre de 1968 en la Plaza de las Tres Culturas. Poniatowska ha escrito cuentos, novelas, teatro y poesía. Entre las constantes de su obra encontramos la presencia de la mujer y su visión del mundo, la Ciudad de México con su belleza y sus problemas, las luchas sociales, la vida cotidiana, la literatura, la denuncia de injusticias y la crítica social.



venerdì 12 aprile 2013

NERUDA, PINOCHET & LA LADY DI FERRO Jon Lee Anderson

Margaret Thatcher fa visita ad Augusto Pinochet a Wentworth, nel Regno Unito, dove l’ex dittatore era agli arresti domiciliari, nel marzo del 1999. (Afp)


“È curioso”, scrive Jon Lee Anderson sul New Yorker, “che Margaret Thatcher sia morta lo stesso giorno in cui in Cile è stata riesumata la salma del grande poeta Pablo Neruda. Autore di Venti poesie d’amore e una canzone disperata e vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1971, Neruda morì il 23 settembre 1973, dodici giorni dopo il colpo di stato con cui l’esercito cileno spodestò il presidente socialista Salvador Allende e portò il generale Augusto Pinochet al potere”.

Neruda era un amico intimo e sostenitore di Allende. Era malato, ma nei giorni dopo il colpo di stato stava pensando di trasferirsi in Messico. Ai suoi funerali, migliaia di cileni sfilarono per le strade di Santiago, e al cimitero i presenti intonatarono l’Internazionale, nell’unico gesto pubblico di dissenso possibile dopo il colpo di stato. Nel frattempo, gli uomini del regime andavano in giro per la città a bruciare i libri di autori non graditi e a cercare, per uccidere o torturare, i sospetti dissidenti politici.

Un paio d’anni fa l’ex autista di Neruda ha espresso dei sospetti sulla morte del poeta: l’uomo ha raccontato che i dottori avevano fatto un’iniezione a Neruda, in seguito alla quale le sue condizioni di salute erano drasticamente peggiorate. Ci sono anche altri indizi che fanno pensare che il poeta possa essere stato avvelenato, ma bisognerà aspettare i risultati dei medici legali per sapere di più.



Un documentario del regista cileno Patricio Guzmán sul colpo di stato in Cile.

Amicizia di ferro. Ma cosa c’entra Margaret Thatcher con questa storia? L’8 aprile Barack Obama ha omaggiato l’ex premier britannica definendola “un esempio di libertà”. A dire la verità, non lo è stata affatto. Nel 1980, un anno dopo essere andata al potere, Thatcher ha eliminato l’embargo per la fornitura di armi al regime cileno che era stato deciso in precedenza dal governo britannico. Nel 1982, durante la guerra delle Falkland, Pinochet ha aiutato il governo britannico fornendo informazioni di intelligence sull’Argentina. Da quel momento in poi, la relazione tra i due politici è diventata una vera e propria amicizia: ogni anno la famiglia Pinochet si recava a Londra, e il generale e la premier si incontravano spesso per pranzare insieme o bere un bicchierino di whisky.

Jon Lee Anderson racconta anche che nel 1998, quando Pinochet è stato arrestato per ordine del giudice spagnolo Baltasar Garzón, Thatcher ha mostrato la sua solidarietà andandolo a trovare. In quell’occasione, di fronte alle telecamere della tv britannica, ha detto: “So quanto siamo in debito con te, per il tuo aiuto durante la guerra delle Falkland”. Poi ha concluso: “Sei stato tu che hai portato la democrazia in Cile”.

I conti con il passato. Pinochet è morto nel 2006, agli arresti domiciliari e con più di trecento capi d’accusa sulle spalle, dalla violazione di diritti umani alla frode. Fino alla fine, la sua unica difesa è stata un’umiliante dichiarazione di incapacità di intendere e di volere.

Negli anni della transizione alla democrazia, il Cile non ha fatto molto per esorcizzare i suoi demoni, e Pinochet ha continuato a esercitare una forte influenza sul paese. “Anche per questo è importante”, scrive Jon Lee Anderson, “sapere la verità su Neruda. Anche se si accertasse che il poeta è effettivamente morto di cancro, è importante per riaffermare un messaggio agli autocrati di tutto il mondo: le parole di un poeta sopravvivono alle loro, e sopravvivono anche agli elogi ciechi dei loro amici potenti”.



SOPA PARAGAYA (polenta al forno)



Farina di polenta bramata (io però ho usato la taragna)


Formaggio tipo olandese o gruviera

Latte

Parmigiano

Pepe

Cipolla

1 uovo

1 cucchiaio di farina rustica tipo segale, integrale …



Soffriggere la cipolla con olio e un po’ d’acqua

Frullare

Mescolare in una terrina la farina, la crema di cipolla, il latte e l’uovo

Aggiungere una spolverata abbondante di pepe e il parmigiano

Tagliare il formaggio a dadini e incorporare

Versare il composto semiliquido in uno stampo ben coperto dalla carta da forno

Infornare

Dopo una mezzora, aggiungere sopra la farina rustica e una grattata d parmigiano

Tempo di cottura totale 60 minuti a 200-220°

domenica 7 aprile 2013

BACON CHEESEBURGER


Panino al sesamo


Hamburger

Sottiletta

Pancetta

Pomodoro

Peperone rosso

Porro

Verdura a foglia verde

Insaporente “per carni”

Ketchup





Soffriggere il porro e una striscia di peperone tagliata a pezzetti

Cuocere l’hamburger girandolo spesso e bucherellandolo con la forchetta

Salare con sale normale e un pizzico d’insaporente “per carni”

Togliere l’hamburger e far dorare la pancetta



Tagliare in due il panino e scaldarlo al microonde a 750 watt

Mettere le verdure a foglia verde (bollite)sul fondo del panino

Scaldare hamburger e pancetta

Mettere il pomodoro sulle verdure, poi la carne, la sottiletta e la pancetta

Guarnire con ketchup abbondante e chiudere



POLLO CON MOLE PUEBLANO REVISITED (salsa al cioccolato piccante)


Hamburger di pollo


“Insaporente per carni”

Tortilla

Peperone rosso

Peperone verde



Cioccolato fondente

Peperoncino secco

Cipolla

Aglio

Cannella

Chiodi di garofano (meglio se in polvere, ma vanno bene anche quelli normali)

Semi di finocchio

Cumino

(se lo avete, anice stellato)

Salsa di peperoncino

Noci (la ricetta originale prevedeva le mandorle!)

Arachidi

Salsa di pomodoro o pomodoro fresco

Ketchup

(la ricetta originale prevedeva anche l’uvetta)



In un pentolino, far rosolare aglio, cipolla e un pezzetto di peperoncino secco (togliendo la maggior parte dei semi)

Aggiungere noci e arachidi e lasciar tostare

Aggiungere tutte le spezie

Frullare



Cuocere il pomodoro

Spezzettare il cioccolato

Aggiungere una puntina di salsa di peperoncino

Aggiungere il composto di prima

Lasciar freddare



Cuocere hamburger (circa 8 minuti per lato) insieme ai peperoni tagliati a pezzetti (e un po’ di anelli di cipolla, se si vuole)

Salare con “insaporente per carni”

Scaldare la tortilla pronta a 750 watt per uno o due minuti

Disporci sopra pollo, peperoni e salsa


PS: M. assicura che il mole è buonissimo anche con FORMAGGIO SPALMABILE!

Variante con SALSICCIA DI POLLO







venerdì 5 aprile 2013

À PARIS, LA NEIGE EST BLEUE



Il mondo è bianco e il mal di testa non mi dà tregua. Forse è colpa del freddo che sale dal pavimento di marmo riempiendomi tutto il corpo di cristalli algidi. Provo a sdraiarmi sul tappeto del soggiorno, proprio davanti all’unica stufa funzionante. Avvolta in uno scialle nero, isolata dalla sporcizia acariforme annidata nelle trame persiane, sembro la Piccola Fiammiferaia in attesa che qualcuno crivelli di colpi Hans Christian Andersen.


Ma in fondo non si sta male nella dimensione rasoterra.

Potrei comprare addirittura un materassino gonfiabile – di quelli da mare, molto vacanzieri – e sistemarlo lì, in mezzo alle piante rosse di anturio … forse però sarebbe più comodo un bel futon caldo, e magari un kotatsu …

La tormenta era stata annunciata da giorni, con i toni allarmistici di un cataclisma meteorologico che faceva sorridere sotto il sole limpido dei pomeriggi invernali.

Stamattina la città è stata teletrasportata in Siberia.

Guardo fuori mentre le nuvole lattiginose coprono i profili grigi dei tetti.

«Se provi a uscire, prendi mia la giacca pesante» dico a Cassy

«No, metterò la pelliccia. Ma comunque penso che non verrà nessuno in ufficio.»



Anche ventiquattro anni fa nevicava. Parigi era bellissima e trasparente sotto il suo mantello di ghiaccio. Cassy, con la stessa pelliccia di finto castoro, sorrideva argentata calcandosi sulla testa un capello di lana color mattone. Teneva Alissa per mano e l’universo non si era ancora avvitato su se stesso.

La bambina camminava allegra su di un muretto per essere alla stessa altezza della mamma e colmarsi gli occhi e l’anima di meraviglia. La cattedrale si ergeva su di un’isola circondata da un fiume di lapislazzuli e spazzatura. I gargouille lanciavano messaggi al cielo e le loro espressioni distorte preconizzavano la scomparsa della principessina dai boccoli biondi che beveva latte alla fragola e cacao nella luce gotica delle vetrate.

Tutto aveva la magia di un parco giochi inaspettato, un nuovo palcoscenico sul quale provare passi di danza e storie dell’orrore.

Perché l’Imperatrice ha dimenticato la sua Barbie preferita sulla moquette blu di una stanza d’albergo? Era bellissima, insostituibile, con il cappotto rosso e i fuseaux a fiori provenzali disegnati da un grande stilista. I capelli ovviamente erano biondi e aveva gli occhi contornati da un trucco un po’ vistoso ma elegante – così diverso da quello volgare delle bambole di adesso! – Quella era la protagonista dei complicati intrecci d’amore e morte, che portavano in scena un solitario dongiovanni con i pantaloni trattenuti da una spilla a forma di mela. Com’è possibile che nessuno si fosse accorto che una cosa così importante rimasta sotto il letto quando avevano rifatto le valigie per partire?

A rifletterci bene, che fine hanno fatto tutti i giocattoli di Alissa? Se ora li ritrovassi – dentro un sacchetto umido, in cantina – recupererei almeno Ken e indosserei il suo fermaglio d’onice stellato. Poi cercherei anche i vecchio occhiali con la montatura dei Puffi, lasciati in un eterno nascondino in una scatola di calze infantili. So per certo a lei piacevano. E che li odiava perché non erano abbastanza regali, specie se si appiccicava un brutto cerotto sulla lente sinistra. M’illudo che, armata di questi oggetti fatati, riuscirei a ricordare le parole dell’incantesimo e ricomporre il passaggio tra le infinite possibilità quantistiche, scenderei per strada ed entrerei in un bar aperto nonostante la bufera e ordinerei una cioccolata guarnita di sciroppo, da portar via in un grosso bicchiere di carta. Poi, di nuovo sul marciapiede, tirerei fuori la lingua per sentire il sapore gelato dei fiocchi sulla lingua. Sarà vero che ognuno è diverso?

Ma un profeta ieratico, dalla Finestra aperta di Media Player, mi urla addosso: “What is lost can’t never be saved” – Elettricità distorta genera ragnatele di fili viola.

OK, allora con la forza del pensiero potrei chiedere almeno una vita tranquilla d’ora in poi … È come accontentarsi di una magione di campagna dopo che ti hanno promesso un regno … È una foto di Alice Liddell da donna.



http://youtu.be/IZ8_dswW-18

giovedì 4 aprile 2013

GHOST HOUND





Partiamo da alcune informazioni tecniche (Guido Tavasso, Storia dell’Animazione giapponese, p. 469): Ghost Hound è una serie realizzata con la collaborazione di Masamune Shirow per celebrare i vent’anni di attività della Production LG.

La trama dell’anime, sceneggiato da Chiaki J. Konaka (Hellsing, RanXephon) diretto da Ryûtarô Nakamura, è l’adattamento di un soggetto scritto da Shirow già nel 1987 ma ci sono grandi cambiamenti rispetto al character design iniziale, infatti si è scelto di abbassare l’età dei protagonisti per un risultato finale (opera di Mariko Oka) più semplice e infantile ma sempre molto realistico, forse vicino alla trasposizione animata di Monster (manga di Naoki Urasawa . Si ricompone così il team che aveva lavorato su pietre miliari come Serial Experiments Lain (1998) e le tematiche sono in un certo vicine a questo piccolo cult. Tarô, Makoto e Masayuki sono liceali che hanno vissuto un indelebile trauma privato e, forse proprio per questo motivo, entrano in contatto con il “Mondo Nascosto” attraverso una proiezione extracorporea delle loro coscienze.

 Tali entità spirituali si evolvono man mano che i tre acquisiscono esperienza e anche le loro capacità aumentano gradualmente: da esseri fetali si trasformano in adulti e diventano in grado di utilizzare particolari poteri di attacco e difesa, come se si trovassero in un videogioco. Si deve quindi rilevare una fusione dell’animazione tradizionale con una grafica 3d volutamente grezza e l’approfondimento del problema tecnologico già presentato in Persona – Trinity Soul, un progetto multimediale del 2008. Persino la terminologia nei due anime è simile ma mentre quest’ultimo sfocia in una storia di mecha, Ghost Hound si sofferma in modo dettagliato sugli aspetti neurologici della percezione. Qual è il confine tra realtà quotidiana e sogno? Quali sono le potenzialità del cervello umano? Nella letteratura, moltissimi autori hanno esplorato questo campo: si va da Calderón de la Barca a Lewis Carroll; e i riferimenti agli intrecci narrativi compaiono in maniera esplicita anche in questo anime quando nel panorama mentale di Tarô compare una sorta di guida che si autodefinisce Snark, ripescando uno dei personaggi meno noti di Charles Dodgson. Si tratta di una creatura di fumo evanescente in cui solo le labbra sono in evidenza, una bocca grande e sensuale come quella di Louis Amstrong che quindi si rifà senz’altro anche al contesto musicale e in effetti qui la colonna sonora ha un’importanza di primo piano ed è molto curata, come avveniva in Astral Project, manga di Garon Tsuchiya e Shuji Takeya del 2004 in cui l’ascolto di un brano jazz generava lo stato di trance.

Gli autori hanno classificato Shinrei-gari come bildungroman dell’orrore, intenzionalmente ispirato a Twin Peaks di David Lynch e al racconto Stand by Me di Stephen King, ma i piani di lettura sono così ricchi che è difficile etichettare questa serie.

Rispettando i canoni classici dell’avventura per ragazzi (penso ovviamente al Wonderland o a Totoro ma si potrebbero citare numerosissimi altri esempi), qui si parla di un mondo psichico / onirico quasi del tutto sconosciuto per la scienza, al quale i bambini hanno accesso privilegiato. Ma, nell’era dell’informatizzazione, non si tratta più solo di un paese delle meraviglie quanto di uno spazio parallelo, popolato da insiemi d’impulsi elettrici. In questo G H somiglia a Dennô Coil: anche qui l’universo magico di Miyazaki è stato trasportato in un contesto tecnologico e persino la rappresentazione di alcuni spiriti /dati è simile ai Null illegali che si materializzano fuoriuscendo dalla nebbia, esseri completamente neri e filiformi che agiscono come se fossero zombie. Nella “realtà aumentata” non è più possibile credere nella sola magia o alle credenze di tipo religioso. Per questo in G H il punto di vista dei bambini non è innocente e incantato come vorrebbero gli stilemi della fiaba tradizionale e i dogmi s’incontrano con i due lati della scienza: da una parte le discipline umanistiche e dall’altro la ricerca materialistica.

Si diceva che i bambini non sono più creature pure e illuse: Tarô è stato vittima di un rapimento durante il quale sua sorella è morta; Makoto è il figlio di un uomo che, forse perché implicato nel crimine, si è tolto la vita mentre la madre si è allontanata lasciando un grande vuoto affettivo; Masayuki si sente responsabile del suicidio di un suo compagno.

C’è poi anche Miyako, una bambina che dice di essere posseduta da un dio (e per questa ragione viene designata come somma sacerdotessa di una setta), ma che in realtà soffre di un disturbo della personalità che la spinge a interiorizzare fino all’eccesso gli studi del padre. In lei, Tarô rivede sua sorella Mizuka. Forse per il mio percorso personale, ho trovato molto interessante la figura di Takahito Komagusu, ex antropologo diventato responsabile di un tempio scintoista: il suo punto di vista collega la prospettiva totalmente astratta della fede (impersonata dal manicheismo della nonna di Makoto e dalla sua “assistente”) a quella fredda delle analisi neuro scientifiche, portate avanti dallo psichiatra Atsushi Hirata, incaricato del consultorio scolastico e mandato ad indagare sull’incidenza dei fenomeni di OBE (Out of Body Experience) nella cittadina, e dalla dottoressa Reika Ôtori, implicata in una serie di esperimenti sulla creazione della vita artificiale. Non solo il signor Komagusu alleggerisce il tono serio degli argomenti da lui stesso citati grazie a un carattere lieve e sempre scherzoso, ma rappresenta quella parte del mondo adulto che è ancora in grado di avvicinarsi all’infanzia: per mantenere l’esempio riportato poco fa, l’ex professore ha la stessa funzione discorsiva di Tatsuo Kusakabe, padre delle due bambine di Tonari no Totoro ( Miyazaki,1988) mentre il momento dell’incontro di tra lui e Tarô nella coscienza dell’uomo in stato di coma richiama il dialogo tra Lain e il creatore del progetto KIDS. In questo passaggio sono è stata ripresa buona parte dell’iconografia che generalmente identifica lo “studioso” circondato dai suoi libri → Mi viene in mente anche la diga /libreria che argina un grande fiume in un quadro di Jacek Yerka e che potrebbe essere posta in parallelo non solo con la coscienza addormentata del signor Komagusu, ma – più in generale – con l’intero panorama della cittadina sulla quale incombono le acque di una chiusa.


Ogni visione dei fatti è ben documentata, partendo da nozioni reali – sindromi cerebrali, sintomi medici, testi storici e leggende del folclore nipponico – senza diventare noiosamente complessa ma restano sempre alcuni spiragli di permeabilità che non consentono di prendere una posizione netta. Ciascun personaggio ha un lato oscuro e coltiva i propri dubbi personali cercando una soluzione e evolvendo nel corso della storia – e, in questo senso, si potrebbe tentare un paragone grafico-narrativo con L’Attacco dei Giganti, un manga fantasy di grande successo nel quale pare che gli umani possano trasformarsi in giganti che, perdendo quasi del tutto l’uso della coscienza moralizzata, attaccano le città uccidendone e divorandone gli abitanti (gli sviluppi della trama sono ancora in fieri e il fumetto si appresta a diventare anche un anime che andrà in onda da aprile).

La vicenda si dipana a poco a poco, non solo attraverso i protagonisti ma anche con la partecipazione di tanti comprimari ben sviluppati e dalla psicologia complessa.

Si comincia gettando uno sguardo – lo sguardo dall’alto di chi sta sognando fuori dal proprio corpo – sulla famiglia di Tarô: con la loro attività di distillatori di sake, Ryûya Komori e la sua aiutante Kei Yakushi, sono il simbolo della tradizione artigiana che sopravvive in un ambiente in continua modernizzazione. La madre del ragazzo, non riuscendo a riprendersi dal trauma della morte della figlia maggiore vive chiusa nel suo mondo personale, pensando di poter in qualche modo comunicare con Mizuka. A questa figura triste e defilata si contrappongono altri modelli materni e femminili presenti nella serie: la madre di Makoto, profondamente segnata dalla lontananza del figlio, che si è risposata dopo la disgrazia avvenuta undici anni prima è la raffigurazione tragica dei sentimenti, portati a un eccesso teatrale (con un epilogo tipico delle opere classiche del kabuki); e la madre di Miyako, divorziata da Takahito e che compare solo come intermediaria politica quando la bambina finisce sotto il controllo della potente setta Ôgami, legata all’elite; infine c’è da considerare Reika Ôtori, la ricercatrice dei laboratori Japan Bio-Tech: una donna che sa sfruttare il suo potere di seduzione per manipolare il suo capo (padre di Masayuki Nakajima) e portare avanti il proprio progetto ma, nonostante la sua apparente freddezza calcolatrice, comincia a provare affetto (o forse compassione) per il ragazzino, vittima di una situazione famigliare alienante – con il papà assorbito dal lavoro e la sorella completamente lobotomizzata dalla realtà virtuale dei videogiochi. Anche la “donna in carriera” prova dei sentimenti e inizia a dubitare della propria correttezza, ma si tratta comunque di un tipo di amore opposto rispetto a quello assoluto, platonico e devoto della malinconica Kei, innamorata del nuovo marito della madre di Makoto. Il comportamento privato e professionale della Ôtori riconduce più che altro alla dimensione strettamente cyberpunk di questo anime. Non ci sono robot o alieni e nemmeno spiriti nel senso consueto del termine: Masamune Shirow porta avanti una riflessione più complessa sulla bioetica e sulle frontiere della morale contemporanea. Si aprono così scenari diversi che ricordano altre opere incentrate sul tema degli esperimenti genetici con la complessità dei film di Satoshi Kon e un design minimalista degno di capolavori del genere, come Ergo Proxy o Dogs – Bullets & Carnage di Shirow Miwa (ad esempio, l’assistente dell’istituto somiglia molto a Badou!), in aperto contrasto con i toni generalmente scuri dell’anime e con la pienezza di alcune scene piene di “spettri”.

http://www.anime-sub.com/watch/category/ghost-hound

http://en.wikipedia.org/wiki/Ghost_Hound




Sindromi e riferimenti medici



CHARLES BONNET SYNDROME: r Sindrome di Charles Bonnet in campo medico, si intende un disordine complesso caratterizzato da allucinazioni che si possono verificare soprattutto in persone con malattie a livello psichiatrico. Deve il suo nome al naturalista ginevrino Charles Bonnet che la descrisse nel 1760. La causa di tale stato allucinatorio è riferita ad una profonda diminuzione della vista dovuta alla degenerazione della macula o ad un'anomalia della corteccia occipitale. La persona sotto tali allucinazioni riferisce di osservare persone minuscole, ferme o in movimento, simili a dei fantasmi.

PENFIELD: (homunculus) applicando stimolatori elettrici al lobo temporale è possibile ricreare nel cervello la sensazione della musica e vivide esperienze del passato del paziente.

Il medico canadese PERSINGER utilizza lo stesso metodo d’indagine per studiare il fenomeno delle esperienze extra-corporee (O.B.E).

AMIGDALA: controlla le emozioni

IPPOCAMPO: memoria a breve termine Se c’è un danno all’i, il soggetto non ricorda i fatti avvenuti cinque minuti prima;

Se invece il danno fosse alla via che collega l’a all’apparato ottico, il soggetto sperimenta illusione maniacale. Ad es. credendo nei replicanti, come avviene nella CAPGRAS SYNDROME.

COTARD SYNDROME: illusione maniacale di essere già morti. Coinvolgendo anche l’olfatto, il soggetto pensa di puzzare di putrefazione (però, vedi Pennac).

L.T.P (Long term potentiation): aumento della “forza” delle sinapsi (che collegano i neuroni tra loro) mediante stimolazione elettrica esterna

La MLT è distribuita sulla rete di connessioni delle sinapsi

MEG: magnetoencefalogramma tecnica che traduce in immagine i campi elettrici prodotti dall’attività cerebrale

TFT Thought Field Therapy studiata da Roger J. CALLAHAN che ipotizzò che la vera essenza della paura non fosse da cercare nell’amigdala ma che si manifestasse sotto forma di energia al di fuori del cervello, stimolate da un agente esterno. Secondo SHELDRADRAKE “Come le immagini televisive non esistono dentro il televisore, i ricordi non esistono nel cervello”. I trattamenti per la paura basati sul concetto di TFT variano molto da caso a caso ma danno risultati in poco tempo.

MPD: (Multiple Personality Desorder) (ora noto come DID, Dissociative Identity Disorder) è un disturbo dissociativo che, se visto da un’altra prospettiva, può essere considerato come una possessione sciamanica. Gilling suggerisce una distinzione tra “ego” (stati che, pur essendo tra loro permeabili, possiedono un’unità complessiva) e “alter” (personalità staccate, che possiedono una loro storia biografica ed entrano in gioco nel DID); Nijehius distingue invece tra personalità usate nella vita quotidiana e personalità che rispondono a situazioni d’emergenza.

SINCRONIA: Per Jung, è l’interazione tra le diverse forme di coscienza e l’aspetto materiale della realtà che noi percepiamo. L’intero universo esiste dentro di noi, anche se riusciamo a coglierne solo una minima parte. La memoria non è situata in una singola parte del cervello, ma è un codice che pervade ogni parte.

DEMENZA DEI CORPI DI LEWY malattia strettamente imparentata con Alzheimer e Parkinson, con le quali condivide alcuni aspetti anatomopatologici. È caratterizzata da forti allucinazioni, indistinguibili dalla realtà.



Riferimenti culturali



YUURYAKU-TENNOU fu il 21° imperatore del Giappone. Si pensa che abbia governato il Paese nella seconda metà del V secolo (b. 418- d. 479). Nel Kojiki, l’imperatore incontra nella xzona di Katsuragi ( nella prefettura di Nara) il dio Hitogoto-nushi e gli offre i suoi vestiti. Tuttavia nel Nihon Shoki, che è stato scritto successivamente, la storia è raccontata in modo diverso: si dice che l’Imperatore e il Signore di Una Sola Parola amassero cacciare insieme ma, secondo la Storia Imperiale scritta in epoca Heian, Y lo dichiarò non gradito e lo esiliò a Tousa. Al tempo del Nihon Ryouki – una raccolta di leggende tradizionali – H era stato degradato fino a diventare servitore del monaco Ennou ma mentì, dicendo alla Corte che E stava tramando una ribellione e, scoperto l’inganno, fu esiliato a Izuma.

HITOGOTO-NUSHI è un dio che fa ciò che lui dice essere vero, che si tratti di una cosa buona o cattiva. Probabilmente si tratta di un dio locale venerato prima che fosse stabilita la Corte imperiale.

Nella zona di Katsuragi si trova un tempio in onore di H, nel territorio chiamato Collina defli Tsuchigumo (Ragni di terra). Questi erano una popolazione che per lungo tempo si oppose al potere centrale. Si pensava che T fossero discendenti della Gente del Cielo, che risiedeva nei mari a nord del Kyuushu.

KOTODAMA: potere mistico contenuto nelle parole.

SAKANAGI逆凪I: effetti collaterali di una formula magica che possono ritorcersi contro colui che l’ha pronunciata

SANIWA “colui che giudica un dio” In alcune pratiche come placare l’anima o ... un “giudice” e un ricevente / contenitore agiscono alla pari. In questi casi il giudice controlla che effettivamente un dio sia disceso nel contenitore, possedendolo.

KO-SHINTÔ: corrente fondamentalista nata nel 19esimo secolo che tentò d’imporre lo shintoismo come unica religione del Giappone, sradicando il buddismo.

MONOIMI: sacerdotesse che servono una miko intenta a richiamare un dio.