lunedì 16 novembre 2015

YOU HATE ME


«Tu mi odi. Tu vuoi distruggermi» dice Cassie. Dice D.

E forse dovrei prendere in considerazione questo problema, l’eventualità tragica che ci sia qualcosa di vero. Ma no. Credo sia tutto molto più complesso di così, perché una cosa per essere vera deve essere complicata e sfaccettata di sfumature. Abbiamo litigato ma è stato il logorio del quotidiano e non l’odio a far scattare la rabbia prima della ragione. È stata Mary Ellis e non Liz a governare le parole. E il vicino, che era venuto a trovarmi, ha assistito alla scena. Non sono servite le scuse, non potevano servire perché siamo tutte e due logorate dalla situazione. I micro-sbagli si trasformano in montagne insormontabili. Ogni piccola paranoia economica diventa impossibile da affrontare con lucidità quando lei fa la spesa secondo un criterio non mio. Siamo stanche. Io combatto la noia e lo scoramento con libri e film che finalmente riesco a seguire per intero; lei non dorme quasi. L’accudimento è come quello di una bambina.

«Sei un’egoista» dice D, e anche questo diventa oggettivo: Mary Ellis lo è e contamina tutto con miasmi che non so bloccare, anche se mi sforzo. È difficile, titanico. Quando finirà tutto questo? Non posso fare previsioni, non ho una sfera di cristallo ma sento il dolore e questo basta a farmi fermare il cuore nell’attesa frustrata. Accendo la TV giro ancora una pagina, e poi un’altra. Sono già passati trentuno giorni. Quanti ancora? Uscire è un miraggio e un bel po’ di merende scadono nella dispensa. Non so come regolarmi e l’angoscia mi mangia viva. Non posso pensare né scrivere. Capire come procedere è un arcano che vorrei risolvere. La schiena, i muscoli, il trocantere sono il meno se paragonati al lavorio del cervello, all’idea – sempre presente – che non mi muoverò più, che non avrò un’altra possibilità, un’altra pseudo-normalità al di là di questo abisso. E allora non so: chiederò di nuovo consiglio, anche se è un terreno scivoloso, anche se rischio di peggiorare le cose e poi oggi, proprio oggi che avrei voluto la tranquillità di guardare i miei documentari.

 

E mentre la situazione si normalizza e Cassie torna umana io cerco di non scontrarla e ne parlo con la nuova psicologa. Ha un nome dall’etimologia triste e un cognome che suscita fobie per cui urge trovarle uno pseudonimo per questi racconti. È tonda e liscia. Marisa può andar bene.

Dunque, ne parlo con Marisa e tutto si ridimensiona fino a svanire man mano che assume il senso della normalità.

Pensavo di non potermi aprire, di non potermi fidare perché ero convinta che macchinasse qualcosa di occulto contro di me, ma si è dimostrata tanto gentile, disponibile fino a diventare servizievole, che non posso sospettare di lei. Ogni settimana mi porta un filter coffee preso al mio bar – il bar che mi manca tanto in questi giorni di reclusione – e oggi si è fermata con me ben oltre l’orario dell’appuntamento per aspettare Cassie che era a fare la spesa – una spesa ancora una volta sbagliata ma che tollero per non far scoppiare un’altra bomba ora che l’ondata è finita. Abbiamo guardato insieme Marco Bianchi alla “Prova del Cuoco” (Gnocchi di patate un po’ troppo lunghi da preparare ma si possono modificare) e conversato, più come amiche / conoscenti che come medico / paziente. Ed io ritrovo il dono d’interessare tirando fuori mille argomenti.

Anche da questo – dicono – si vede che sto meglio, anche se stanotte il dolore e la paura mi tormentavano. Ho dovuto prendere una tachipirina, ma per la paura non ci sono medicine.

Mattino: alle 8 mi sono vestita per andare a fare la visita di controllo. Resteremo con il cuore appeso fino a domani ma temo che, per quanto ci siano miglioramenti, il traguardo sia ancora molto lontano e per questo mi dispero: perché volevo davvero andare in biblioteca alla riunione, tra due settimane. È vero che due settimane sono quindici giorni e ho un certo margine di lavoro possibile, ma le scale, la creuza, l’autobus e poi la salita fino in via del Seminario mi sembrano fantascienza. Marisa si offre di accompagnarmi con la macchina «Almeno ti risparmi un po’» È buona o macchiavellica?

 

Cerco di leggere. Leggo disperatamente. L’obiettivo è finire il libro. È sulla guerra nelle Malvine. Una battaglia insensata e dimenticata (“le Malvine ai pinguini!” recitava un cartello scovato in Patagonia da uno scrittore di viaggi). L’obiettivo è di finire il libro ma ci sono continue intromissioni, gente che mi parla e non mi va di essere scortese. Non guarderò Doraemon in TV. Meglio avere tempo per il documentario sull’estetica che danno ogni sera sul canale 50 del digitale terrestre. E poi devo aggiornare questo diario e controllare se sono arrivati nuovi film da vedere prossimamente. Commedie leggere e divertenti che però abbiamo almeno dei buoni attori (sto scoprendo Woody Allen e Ben Stiller, senza che ci sia nulla che li accomuna)

giovedì 5 novembre 2015

I’M THE SPOTLIGHT, NOW


Luisa. Lavora in uno studio con il quale ho collaborato per un progetto su Alice. È anziana ma mi trovo bene con lei e poi ieri sono riuscita a fare conversazione: libri, arte, nuove idee. È un piacere sentirmi di un umore più umano, anche se arrivano giorni di abbandono in cui non viene nessuno a trovarmi e dall’ufficio tutto tace. Che Jane si sia dimenticata di me? L’idea mi terrorizza ma non mi va di richiamarla dato che l’ho sentita solo qualche giorno fa.  E comunque mi ha promesso che sarebbe passata domenica. Mi annoto qualche argomento da condividere ora che ho finito un anime e ne ho iniziato un altro (talmente kitsch da essere interessante. La mia scelta è limitata, adesso che mi è venuta una specie di crisi di rigetto per il giapponese – vorrei capire tutto, dopo gli anni passati a studiare, però non ci riesco e mi innervosisco. Ma conto di tornare gradualmente ai cari vecchi sottotitoli con lo stesso metodo paziente con cui sto aumentando il numero di pagine dei romanzi finché non tornerò ad affrontare anche quelli più lunghi. Il cervello non divaga e oltrepasso le cento pagine al giorno senza problemi, se la storia è coinvolgente.

 

Anche la gamba oggi fa meno male, anche se non azzardo previsioni sul se e sul quando potrò in effetti uscire di casa. Spero solo di riuscirci per dicembre, in tempo per Natale, perché l’idea di comprare tutto on line mi pare deprimete, anche se forse sarebbe più vantaggiosa economicamente e in termini di tempo.

Dunque, mi preparo. Faccio esercizio. Cammino avanti e indietro per l’ingresso con il girello (almeno cinque giri di campo) e allungo le gambe. Mi dà fastidio che Cassie si debba sempre precipitare per ogni minima cosa, se non altro perché la vedo stanca e più passano le settimane più la prova si fa ardua, anche se non perde mai il sorriso dolce della madre e mi chiama “Nina” e “Chicca” come quando ero bambina. Stamattina però mi ha detto che sono prepotente perché vorrei imporle il mio orario di colazione alle 5  mentre lei ha puntato la sveglia alle 6. Questione di punti  di vista per cui non vale la pena di litigare (“Non attaccarla! Non attaccarla!”

Ma mi dà davvero fastidio che Cassie sia costretta a badare a me? Non lo so. Forse è questo che mi è mancato durante l’infanzia. Certo, la situazione ora è estrema, sconfortante se vogliamo, e non l’augurerei a nessuno, ma essere al centro dell’attenzione come una bimba piccola non è male, quasi avessi una seconda possibilità  con la quale ripartire e non da zero, ma tenendo come capi saldi i lati buoni della mia vita. Con questo non intendo dire che getterò il quaderno, i conti e la mia anoressia perché non ho la forza, il coraggio e la determinazione per una cosa del genere, ma credo che dopo andrò avanti in modo diverso, con una nuova consapevolezza. Se non altro perché mi sto rendendo conto di quanto sono importanti le quisquiglie che noi diamo per scontate: camminare, uscire, poter comprare ciò che si vuole quando si vuole. Appena sarò fuori mi farò un regalo. Una bambola – come volevasi dimostrare non so proprio crescere! – ispirata al Wonderland. Ho visto la pubblicità della serie e l’ho trovato carina, molto fashion, a dire il vero, anche se un po’ me ne vergogno.

martedì 3 novembre 2015

ANNIE TOO MUCH TIME


Annie, dopo mesi. Parlo, riesco a conversare, finalmente ho libri, film e serie da condividere, anche se in fondo è sempre la stessa conversazione riciclata. Ma è lei ad essere stanca, il viso provato nonostante il correttore che copre un po’ le occhiaie «Non ho un giorno libero da settembre e quando mi prendo mezza mattinata, devo comunque fare i lavori di casa; il mio ragazzo non lo vedo quasi più, solo un’oretta la sera. È come se avessi messo in stand-by la mia vita» «Ti ci vuole una vacanza lontana da tutto» «Mah, forse gennaio e febbraio saranno più tranquilli e potrò andarmi a fare un giro» . Ha amici sparsi per mezza Europa. Io non voglio pianificare niente, lascio cadere e torno a discutere di cose frivole: tutto bene. L’umore sta migliorando nel tentativo di mettere a frutto questo periodo difficile. Non so quando potrò di nuovo uscire normalmente (e la tempistica per i regali di Natale mi preoccupa non poco) ma non voglio fare previsioni perché il quasi no della fisioterapista alla mia speranza di poter andare in biblioteca l’undici novebre mi ha demoralizzata fino alle lacrime. Cassie ha fatto una comparsata ma è subito sparita in camera. Anche lei ha bisogno di riposare. Ora le notti passano (monotone come i giorni) e dormo persino per cinque ore ma mi sveglio comunque per fare pipì almeno due volte, e la devo chiamare, anche se mi dispiace «Mi riaddormento subito se non ci sono problemi» non ne sono tanto sicura ma non posso farne a meno, tutto passa in poco tempo (ormai siamo rodate) e alle 5.30 faccio colazione guardando un documentario di Rai 5. Sto imparando un sacco di cose. Soprattutto mi piacciono i documentari di viaggio e meno quelli sugli animali anche se poi resto sintonizzata per pigrizia e perché a quell’ora non c’è altro in giro. Poi mi disintossico leggendo, scegliendo ogni volta un libro un po’ più lungo. Ero partita dal giorno del trauma che la testa mi andava via in poche pagine, distratta da pensieri e ossessioni varie. Ora sono al traguardo di 320 pagine il prossimo sarà di 370. Storie leggere, coinvolgenti, ironiche. Ammaniti aiuta, poi passerò a Veronesi. Comunque con Cassie va meglio: si occupa di me a trecentosessantacinque gradi e fa anche troppo – povera donna. Lavora solo per mezza giornata e si fa sostituire dalla collega che ormai l’affianca in tutto. È questo quello che volevo? Inconsciamente forse sì. Non che mi sia fatta male apposta o che mi trovi bene in questa condizione, ma sento qualcosa di piacevole, caldo e materno ogni volta che mi porta in cucina o che deve venire a vedere se è tutto apposto. Ho un campanello che posso suonare per evitare di urlare e lei lo sente subito, senza mancare una volta. Per questo cerco di soprassedere sui piccoli incidenti e ripeto come un mantra “Non la attaccare. Non la attaccare”. Per i problemi maggiori ho ancora qualche difficoltà: errori di calcolo per lo più, o di budget. Sto provando a controllare l’impulso alla paranoia economica avendo capito che Cassie è in grado di usare praticamente di tutto dentro alle sue improbabili torte che però vengono utili quando si presentano gli ospiti della domenica, unico giorno in cui la gente non lavora. Di solito sono Sonia e suo marito e siccome sono entrambi golosi ed educati non si tirano indietro di fronte a una fetta di dolce. Io invece ho sempre il mio standard, più per abitudine e per praticità che per altro, anche se trovo varianti interessanti di cui però non sono pronta a parlare apertamente con tutti quanti (la curiosità di Sonia a volte mi mette in imbarazzo). Si fa merenda insieme e si scambiano due chiacchiere sul principale di Flavio e sugli espositori per ciglia finte, sugli ultimi scandali sanremesi e sulla birra artigianale, sui sottobicchieri e sui francobolli falsi che lui disegna per beffare le Poste. Vanno via verso le otto, quando inizia Fazio in tv. Sto cercando di disintossicarmi dalla televisione spazzatura (i telefilm del mattino fanno passare il tempo ma non hanno spessore) e guardo film sul cellulare, anche se lo schermo è piccolo e scomodo e pure venato: almeno a fine giornata mi pare di aver fatto qualcosa di buono, di aver immesso nel cervello un sapere qualsiasi.

martedì 27 ottobre 2015

oggi


Dunque eccomi qua.

Oggi un po’meglio di ieri.

Ho camminato poco, per via dei dolori che mi hanno spaccato la schiena per tutto il giorno. Ma spesso è solo la paura del dolore a bloccarci e allora con Cassie provo a mobilizzare le gambe, piegandole su e giù, spostandole sul materassino gonfiabile. Sono rigide ma fanno meno male. La mattinata scorre. Riesco a leggere: anche se sono consapevole che non sarà il libro della mia vita è comunque coinvolgente e questo mi basta per far passare il tempo senza guardare troppa televisione. Soprassedendo sulle serie poliziesche in fotocopia che girano a ripetizione su Giallo e Crime, finisco a guardare Settimo Cielo e Royal Pain ma alle dieci arriva la psicologa con un buon caffè preso al mio bar e tutto si cancella: posso persino parlare del romanzo, di un film che ho visto mantenendo la concentrazione per quasi due ore, del fatto che mi sono addormentata nonostante volessi sentire l’intervista a Francis Ford Coppola (mi sono arrabbiata così tanto da piangere di frustrazione, per poi scoprire che con una connessione decente si può recuperare direttamente dal sito della rai). Lei, la psicologa, è strana burrosa e mi sembrava di perdere fiducia da quando ha fatto strani ragionamenti sull’estromettere Cassie dal team che mi segue. Cosa farei io senza di lei, cioè dove sarei? (impossibile). Ha voluto prendere appunti su una storia clinica che nemmeno io capisco molto a fondo se non per quel che mi arriva in allarmi smozzicati. E allora ho pensato che volesse in qualche modo fregarmi, rinchiudermi in una residenza fiorita e tanti saluti. Ma questo è stato la settimana scorsa, avvolta in una nuvola grigia. Oggi la fisioterapista dice che ce la posso fare per la metà di novembre, anche se le scale e la strada fino alla fermata dell’autobus mi sembrano un compito impossibile. Venti minuti di girello e mi metterei a ululare, colpa della terza frattura e del bacino non ancora saldato.

Controllo le mail: solo una, privata dalla piccola Jane “Non essere negativa” scrive “ Non ti dimenticheremo, perché ti vogliamo bene”. L’ufficio mi pare un luogo lontano anni luce, anche solo per la possibilità di sedermi per tutto il pomeriggio alla tastiera ma prometto a me stessa e agli altri che mi vogliono ascoltare che tornerò, e intanto continuo a lavorare. Se non ci sono testi, li creo cercando artisti su internet col telefonino. Ho voglia di buttare giù una scheda, anche se nessuno me l’ha chiesta:

“Le ultime opere di Carlo Cordua hanno l’aura calma e i toni caldi delle vedute di Bordighera firmate da Monet nell’Ottocento, marine profonde che a volte, nel dinamismo del particolare, sfiorano l’astratto nel gioco di luci e trasparenze restando però su di un piano in cui le onde, il sole e le scogliere assumono lo stesso valore materico impalpabile grazie a una gamma limitata di colori.Pastelli su tela che rendono l’intensità dei tramonti, alberi in mezzo ai campi piegati dal vento, solitari come sentinelle. Sono insieme simbolici e reali, con chiome verdeggianti o puntiformi: reali quanto i sugheri portoghesi di Peixoto o le campagne nelle foto paesaggistiche di Giacomelli, ma anche e soprattutto simbolici perché mai come in questo caso si ergono come tramite tra terra e cielo, diretta rappresentazione lignea dell’uomo. Non a caso le piante, in questi lavori, diventano spesso creature antropomorfe o, quasi in antitesi, personificazioni divine, sinonimo della dicotomia tra logico e illogico.”

Mi fermo qui perché ho esaurito gli argomenti e comunque spingermi oltre non avrebbe molto senso: dev’essere un assaggio per invogliare Jane a dare un’occhiata, niente di più dato che per ora tutto resta nel limbo delle mie idee.

Mi fermo, quindi, anche perché comincio ad essere stanca della posizione e penso di aver buttato fuori abbastanza per un solo giorno. Sono quasi le sette, ora di Doraemon in tv poi, cosa mi aspetta? Un’altra puntata di “Emma” o chiuderò gli occhi per un po’? Non è vero che non sto facendo nulla. Non sono riuscita a dormire prima che Lidia arrivasse perché ho cercato video su YouTube: film e anime ambientati in epoca vittoriana. Qualcosa trovo ma molto è in giapponese ed io non me la sento, non in questo momento almeno. Ho un blocco, come se le mie orecchie rifiutassero di funzionare, per cui mi limito all’italiano e la scelta si assottiglia di molto ma verrà il momento – sono fiduciosa – in cui riuscirò a vincere anche questo ostacolo  

lunedì 19 ottobre 2015

SWEET JANE


Dunque che posso dire? Jane chiede se ho letto qualcosa e io reprimo un’ onda di panico, no di terrore perché non ho nulla da rispondere. Vorrei chiudere gli occhi, non ricordare quanto tempo ho ancora da scontare; vorrei cancellare i discorsi sul tono muscolare e le merende fatte con un ragazza che non conosco.

Jane, così dolce. Devo trovare argomenti di conversazione: manga da commentare o anche solo l’anime che sto guardando in streaming usando il telefonino perché il computer funziona poco e male. Me lo ha portato, il piccolino, dall’ufficio ma ancora non so se potrò usarlo, o quanto meno attaccarlo alla corrente. Ora sì, potrei dire qualcosa di interessante: Clarice Lispector fa sempre bella figura in una libreria almeno quanto un tentativo di Italo Svevo o l’abortito  laboratorio su Calvino al quale forse non avrei nemmeno voluto partecipare ma che, visto che sono bloccata, mi sembra la Mecca irraggiungibile prima di qualsiasi vetta. Il gioco letterario doveva essere un sollievo e invece è una frustrazione, dato che non si procede che per errori e le cose da imparare sarebbero così tante da riempire mille quaderni: non ho la pazienza né l’intenzione, solo la voglia – adesso irrazionale – di scrivere su un artista. Mi basterebbe pescare nel web, guardare su face book, girare su qualche blog sconosciuto e poi dare i nomi alle mie colleghe perché guardino, capiscano, contattino ma il lavoro di ricerca forse non è mio – riprenditi! Di chi dev’essere altrimenti.

E poi dice, Jane, se ho aggiornato i miei racconti. No, se anche lo facessi, se avessi voglia di qualcosa che non di sbricioli e non si sciolga come un gelato al sole, cercherei di mettere insieme parole ma, qualsiasi cosa io scriva, si avvita su se stessa senza un costrutto e quindi posso solo ripeterle «Oh Jane, sei così dolce!» Si è truccata per venire, un lieve lucida labbra e un po’ d’ombretto chiaro, un dolcevita verde e i jeans. Mi piace la sua giacca, anche se a me il marrone non sta bene, anzi mi piace proprio per questo, perché è addosso a lei e non a un’altra e vorrei accoglierla bene, anche se speravo che mi avesse portato la Nemirosky da leggere – ma ci sarei riuscita? – Devo andare avanti con le pagine, impormi un ritmo se non voglio sprofondare. Pesino le serie mi creano problemi, ma è solo questione di ricreare una routine diversa, magari comprare una chiavetta da 16 GB e spararmi tutto Grey’s Anatomy con buona pace dei miei neuroni scintillanti: una puntata, due. Sto guardando un sacco di documentari sulla Rai. Penso sia giusto pagate il canone in bolletta, basta che diventi effettivamente meno caro.

Vorrei alzarmi, andare in cucina, bere, mangiare, leggere ancora un po’ prima che arrivi la fisioterapista. Gli esercizio mi stancano, no mi scoraggiano anche se poi ci sono progressi e tra qualche giorno  avrò un girello per muovermi in casa. Uscire? Le conferenze? Non sono nemmeno sicura che riuscirei a prendere appunti mantenendo la concentrazione, dato che sarebbero comunque in un’ora “da bar”. Oh quanto mi manca il bar! Il tempo fermo dopo il lavoro, una vacanza premio che mi coccola con un caffè.

  

lunedì 17 agosto 2015

LIKE A VIDEOGAME


 
“Che c’è? Parla invece di schiaffeggiarti” Alzo le spalle “Va proprio male oggi” sono scoppiata a piangere al telefono con la dietista. Non so che fare e mi sembra di ragionare con nuvole di vapore invisibile (gonfia come un gyouza). L’osservatrice garantisce proporzioni matematiche entro sera, ma come ci arriverò io, alla sera? Non ho appigli se non Cassie che, troppo facilmente, diventa D e parla di un 38 impossibile e spaventoso.

 

Ho dormito fin verso le 5.

Sono riuscita a vedere più di mezz’ora di film senza distrarmi (Questo lo devo scrivere tra le cose positive. Non posso permettere che la barriera crolli) Seguo il programma. Mi sento rinfrescata dopo la doccia e scenderò a invitare la vicina per domani, o forse sto solo cercando sostegno. Oggi dovrebbe passare Tyler, ma sul tardi: verso le sei (Non penso prima) Prendo un appunto  – Controllare Chruncyroll per avere dei buoni argomenti, essere brillante, non scivolare di tono. Oggi sono caduta di nuovo inciampando nelle stampelle che erano per terra, ironico vero?

Ho  dormito fin verso le 5,

ma mi sento stremata, svuotata ancora e ancora, come se qualcuno mi scavasse dentro con un cucchiaio appuntito – Un suono sordo e affilato.

 

Guardo fuori. Vorrei uscire. Aspetto mercoledì e la macchina di Dick come la benedizione del sole sulla pelle. Intanto mi siederò sul poggiolo a prendere un po’ d’aria. Le caviglie torneranno normali quando riprenderò a camminare, dicono. Settembre. Intanto tra due giorni andrò a comprare un regalo per Megami. Il 29 è il suo compleanno e io la vedrò il 25, dato che lei è in festa solo il martedì. “Porta male festeggiare prima” mi raccomanda Cassie, ma tanto noi non partiamo più per il Paese perché Phillys ha paura di prendere il treno (Ridicolo!) quindi poi non avremmo un minimo di autonomia dovendo dipendere dall’auto di suo marito e dai suoi dispetti – Capace di dire che il motore non funziona solo per non farcela usare! – e allora tanto vale rimanere qui. Almeno ho un po’ di compagnia, chiedendo a destra e a manca. Potrei persino farmi portare al mare se volessi, ma il tempo si è rotto, come si suol dire e io sono tornata alla manica lunga per cui sì, potrei andare fino alla Boca, ma solo per passeggiare e farmi massaggiare i piedi dalle onde e certo mi piacerebbe ma non per la cosa in sé quanto per l’idea da cartolina di me in quel paesaggio (Roba da selfie).Vorrei avere la capacità di rilassarmi senza fare niente, immersa nel puro reale OZIO (quello romano da triclivio /chaise longue si tradurrebbe in due ore di sano lettino da spiaggia).

Da qualche parte urlano “Vuoi chiudere quella bocca???” e i cani abbaiano dal piano di sotto. Pensavo fosse un videogioco, ma dev’essere la vita vera. C’è poca differenza. Seguo uno schema, imparo i trucchi per sparare ai mostri. A fine serata, salvo la partita e poi il giorno dopo ricomincio.

 

 Cassie mi carezza la testa “Scendo in cantina” sono di nuovo triste perché Tyler non è venuto  ma fare due chiacchiere della porta accanto con Hortensia mi risolleva un pochino Mentre lei parla al telefono con Rose, io ho una voglia terribile di allungare la mano e spegnermi la sigaretta sul polso, solo per provare un po’ di sollievo. Nemmeno Virginie è in casa. Sprofondo di nuovo nel vuoto. Ok respiriamo e andiamo a fare gli esercizi mentre un dvd si registra dentro il pc. Per ogni evenienza: se partiamo oppure no.

venerdì 14 agosto 2015

THE IDEA OF AN ANT


OGGI  la gamba mi tira un po’. La destra, non quella fratturata. Sono gonfia come un’acino d’uva e metto tonico all’uva: è ironico quanto essere comodi su una sedia comoda o bagnarsi  di pioggia nel giorno del proprio matrimonio … Easy on an easy chair …

Umore altalenante. Un po’ depressa anche se sono riuscita a leggere bene per più di mezz’ora, ho fatto gli esercizi e guardato giapponese e un pezzo di film con Frances McDormand. Deve essere l’effetto spesa: tanta roba nuova nel frigo. TROPPA?  Cassie è felice di essere uscita da sola fino alla bottega. È evidente che vorrebbe andare in Riviera ma io non so cosa rispondere alla sua gioia scodinzolante – la danza della felicità di Snoopy – Devo vedere se i file funzionano sul netbook, selezionare libri non troppo pesanti pensando se non sia il caso di rinviare ancora il progetto con l’Atelier per mancanza di energie cerebrali. Valuto l’idea di stare reclusa in un posto che non è mio solo per farla contenta… potrei vedere mio fratello, stare da lui un paio di giorni …

Andiamo, non andiamo questo è il dilemma. Almeno qui ho trovato una routine per quanto noiosa a volte … lee decisioni mi sfibrano perché ciascuna ha i suoi pro e i suoi contro: se al Paesello avessi i mezzi tecnici che ho a Città Immobile sarebbe l’ideale ma così non è e mi arrovello avvitandomi come una mosca impazzita.Depressione /Allegria a fasi alterne di un minuto ciascuna

 

Penso alle formiche. Mentre bevo il mate seduta in cucina, seguo una doppia colonna che s’interseca sulla gamba centrale del tavolo. Da dove vengono, dove vanno? Sono pazienti. Hanno un'ombra? (pare di no, ma sta piovendo e il sole è sparito) Quanti occhi hanno e quante zampe? provo a contarle. Cassie bambina le strappava lasciandole monche e disperate, vittime di un Mengele in erba.

Ricordo un libro illustrato lituano incentrato sulle formiche e un manga in cui il protagonista aveva delle formiche tatuate e che forse gli si muovevano sulla pelle (o quella era la lucertola di “Natsume degli spiriti”?). E poi Dalí il nero contro l’oro dello sfondo, l’oro delle spighe... In ogni caso posso dire che sono animaletti curiosi, prudenti, che nel loro piccolo s’icazzano e fanno una vita davvero dura con la paura di essere schiacciati.

mercoledì 12 agosto 2015

ALLEN & THE RED GLOBE


Condannata ancora e ancora.

Sopporto.

BIGFOOT

Condannata ancora e ancora.

Sono gonfia come una mongolfiera.

Sono un pupazzo di pezza.

Rotto.

Un batrace col corpo a palla.

Devo accettare di non piacermi ma … ho fatto tutto questo per arrivare a una nuova vergogna? Cause discrasiche. In serata avrò il cardiologo a domicilio per togliersi il dubbio che non sia un problema cardiaco. “Gli diremo di essere il meno invadente possibile ma devi subire anche l’umiliazione dell’elettrocardiogramma”.

Gocce omeopatiche per ridurre le circonferenze venose. Gocce omeopatiche per dormire. Gocce artificiali per non impazzire.

Mi trasportano in ambulanza. Ultima sacca: rifiuterò qualsiasi altra cosa perché lo stress è troppo doloroso e, se devo uscire, che sia per qualcosa di piacevole come un caffè o di necessario come il check per il nuovo tatuaggio. I ragazzi mi mancano quanto un’abitudine quotidiana che di colpo sparisce; la bozza è indispensabile per sapere come sarà la mia pelle a settembre. Una tela da dipingere con gli aghi e l’inchiostro azzurro. E tuttavia … “è impossibile fermarsi contromano in via XXXX e persino il parcheggio accanto alla centrale atomica pare troppo lontano per le preoccupazioni materne di Cassie. O per la cattiveria livida di D. voglio accusarla di essere falsa. Mary Ellis tenta di uscire e di gridare ma non ho intenzione di permetterglielo. Prenderò per buono ogni piccolo rimedio contro questa nuova maledizione.

Il braccio rosso di Allen, le mie gambe enormi

Voglio andare a casa, sentirmi AMATA, SODDISFATTA, poter parlare senza che mi si chiudano gli occhi.

Violet ha accettato di essere così: problemi di tiroide, le hanno detto … e ha un marito, e un cane. Io resisterò. Stringerò i denti, non guarderò più giù (Donna senza caviglie).riuscirò ad essere brillante anche oggi, a non lasciarmi trascinare dall’onda nera? Passerà Annie con il pane appena sfornato e forse – forse – una sorpresa perché il suo cuore è grande e dolcissimo. Le amiche di Cassie invece vanno prese con precauzione, elaborando evitamenti per non scontrarsi col muro della normalità.

Phoenix non me le manda a dire, lei è troppo diretta e non sa fare la spesa “Una melanzana vale l’altra” “No, a me piacciono solo quelle lunghe o quelle mini” Le Bonus-zane come quelle di Doraemon. Il gioco di parole giapponese è intraducibile ma io m’impegno in ogni cosa che faccio e credo di aver diritto a un premio: una vacanza che sia vacanza vera, vacanza da me stessa. Su un’isola campana, in Portogallo o a New York, a questo punto non conta. Anche la Riviera andrebbe bene, per vedere mio fratello prima della Fiera.  Mi accontenterei di oggetti, dato che non ho avuto nemmeno kil regalo di compleanno o quello di onomastico, dato che è il primo anno che il 14 agosto non vedrò i fuochi pirotecnicamente deludenti sparati sul porto. Ogni anno sul terrazzo faceva freddo ma questa è l’estate più calda del secolo e io sono bloccata.

 

“Fatele una fiala di ferro” ordina il primario Stranamore appena tornato da Rodi, bronzeo come un bronzo di Riace, con i ricci ben scolpiti dalla lacca, il camice svolazzante e un codazzo di specializzande come nei telefilm. Le cartelle sui letti. Il peso lievita insieme ai liquidi.

Aggiungo punti esclamativi e sottraggo numeri dal quaderno.

Certo sì, imbroglio ma voglio armonia nel piatto e un’imbronciata serenità.

 

 

Chiedo a Tyler se verrà a trovarmi. Ogni giorno un diversivo: un po’ di lettura / scrivere / guardare / compagnia / scrivere così si arriva al tramonto.

I negozi saranno chiusi sabato. È ferragosto. “Vai tu a cercare frutta e verdura” il frigo quasi vuoto” “No. È mercoledì. Ci vado domani pomeriggio” detesto soggiacere alle logiche da paesino, è come essere rinchiusa in un piccolo mondo antico fatto di regole e ore d’aria.

sabato 8 agosto 2015

LILLY PASCAL


 
Non riesco a dormire

Lilly è arrivata prima del previsto e Serendity mi chiama proprio quando sto per scivolare nel mondo di Orfeo. Partirà per tre settimane e non so come passerò i pomeriggi vuoti e le mattine, suddividendole in mini-porzioni di lavoro in multi-tasking, uno schizzo. Mi ri-appassiono ai fumetti

 

Sto,

con un panno bagnato in testa contro il dolore che portail caldo; o la mancanza di riposo. Riuscirrò a vedere Downton Abbey alla TV stasera, fare gli esercizi, scrivere… Scrivere … sento che è importante per me in questo momento, più che leggere disordinatamente cose leggere, senza troppo spessore: light novel e manga aretrati. L’ultimo Yakumo non era male. Parte di un universo mixed media che sviscero solo in parte mentre di là c’è Lilly che parla di orchidee selvatiche e di tendini lesionati. Non è belllo che io sia così vincolata all’aspetto fisico di una persona. Non sempre lo supero, non sempre riesco a parlare scavando fino al lato intellettivo ma se mi fermo son perduta, dato che non voglio essere egoista o tanto superficiale da giocarmi un’amicizia solo per qualche chilo di troppo. Sono circondata da donne burrose, donne Botticelli, donne Botero, donne Goya. Non siamo obbligati a ricercare la perfezione che non esiste e, tra l’altro, la mia idea di perfezione sarebbe alquanto opinabile in qualsiasi modo la si volesse analizzare

 

Sto,

in silenzio

perché i gradi centigradi risvegliano D che diventa peggio di una Fräu nazista. Trovo le risposte nei Placebo perché voglio negare che sia avvenuto il disastro ma devo stare attenta cocentrarmi, passare mezz’ora a esercitarmi nella camminata (Bastoni / Piede / Piede) e tirar’nnanzi  - come si dice a Napoli. E penso al figlio di Walter White che vive con le stampelle e una paresi cerebrale, ma lui esce accidenti. ESCE!

Io subisco la vessazione di un borbottio continuo “Alzi la radio apposta per non sentirmi!”
“Sì” voglio essere serafica per ridurre l’impatto. Il dolore sarà meno intenso se il sole non brucia.”Sei pessima” “Sì” ammetto persino il mio limite ultimo. Alla fine

La mordo

E butto le stampelle.”Stai ferma, BESTIA!”; E allora i spengp e gioco a stare ferma immobile

Piango senza lacrime ma è come se avessi singhiozzato tutto il giorno.

La tartaruga porta-incenso ha un lato del mudo un po’ annerito.
 
 

 
 
 

mercoledì 5 agosto 2015

3 TAME HIROSHIMA


“Porta avanti i bastoni e la gamba malata. Hop! / Saltello, come soldatini a protezione. “ La fata della fisioterapia è una donna solare coi vestiti ben abbinati, tutto sul verde e con una collana di palma e una farfalla tatuata sul piede. I capelli corti, biondi. Certo avrò paura se mi scosta il bikini ma basta fermarla, basta dire di no. Mi insegna esercizi di mobilità del muscolo. Qual è il collegamento tra il gesto e l’intimità, il tatto e il sesso? Da piccola Alissa è stata manipolata; e ha cominciato ad avvizzire come una pianta con troppe cure, frettolose, sbagliate. È per questo che poi ho rifiutato anche un abbozzo di relazione che poteva interessarmi, che poteva farmi crescere come persona e come donna? Prima che la donna retrocedesse dentro Liz per scomparire. Musica che mi dia il tempo. I Dir En Grey su YouTube come una reunion che non ricordo perché non c’ero; perché si sta parlando di due momenti talmente lontani che la linea si è spezzata.

Mattina psicoanalitica quanto Woody Allen: mi estraneo. La prossima volta posso parlare stando al di fuori? Io e Iris; prima, prima: io e Sylvia in fase embrionale. Adesso dico: “Vi avrei amate, Principesse”

Chiamerò la fata anche domani – una fata massiccia davvero protettiva, non la fragile campanellino ma una delle Madrine della Bella Addormentata - solo per passare il tempo o un pomeriggio migliore; sento più ricezione in entrata e in uscita. Recupero ore di sonno, da tanto non dormivo così, fino alle 5 per poi lavorare meglio in mattinata. Domani … devo ancora fare le sacche, impormi una disciplina per non impazzire con ragionamenti numerici che mi lasciano svuotata e triste. Non ho più voglia di inseguire conti speciali. Giorno dopo giorno è troppo faticoso. Seitan + …? Accettando un aumento di peso che ha altre ragioni: un edema da gonfiore, la caduta e l’immobilità; passo dal letto alla scrivania e mi fa un po’ male la schiena. Non posso vivere così ma moggi sto giocando a suddividere il tempo – un’ora mezz’ora – venti minuti – Forse finirò un film e poi domani farò una mini-recensione. Ci sono anche le incombenze in cucina: completare usando il burro di cocco e impiattare.

Stasera vedrò un documentario su Hiroshima la mia passione, un centro socio-culturale a Torino. Anche quest’anno mi perderò i Tame Impala qui in città. La fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo recita il motto

https://youtu.be/FowxcBBzaGs
https://youtu.be/wycjnCCgUes

lunedì 3 agosto 2015

BLOG DIARY 1



“Perché non colori?” dice Hortesia “ Così ti scarichi”.

Per me questo equivale a colorare, anche se picchiare sui tasti crea errori dove non dovrebbero essercene, Cosa posso fare per riempire il tempo?, piccoli moduli di venti minuti.

Il film non mi è piaciuto, se non per qualche trovata alla Kubrick.

La sensazione che morirò qui, tra le pile di manga non letti come quelle raccoglitrici compulsive. Ricordate la balia fotografa? Impossibile che avesse letto tutti i giornali che accumulava in casa. Li collezionava forse per le forme, la successione di parole e di immagini. Faccio ben attenzione a non sbagliare e penso già al prossimo paragrafo:

La moda new romantic e l’essere bionda.

Due cose intimamente connesse, come il valutare i rischi del girare per casa senza tutore.

Sono rotta. Una bambola rotta. Un manichino immobile, una pianta in un vaso.

Affidare le parole solo a Facebook perché non ne resti traccia. “Perché non colori?” dice Hortensia. Non è propriamente la mia dimensione; io scrivo file di testo: per ora serpenti di pensieri che si mordono la coda, astratti e ripetitivi: sfoghi in POLLOCK-style. Sbatto le parole sul foglio elettronico (Qualcuno vuole leggerle?) Forse Cassie è tornata per non lasciarmi cadere “Dai guardiamo insieme la fine del film”, ma la concentrazione plana via come il vento che diventa brezza.

“Troppa carne al fuoco” dico io. Ho voglia di buttare tutto e di vivere nel Vuoto.

La moda new romantic e l’essere bionda: PARAGRAFO DUE.

Desiderio di essere una principessa dorata … perché non succede nulla di male alle Principesse “Dov’è suo padre” mi chiedono al Pronto Soccorso e omettono il punto interrogativo come se la sua assenza fosse già di per sé affermativa. “È morto. È morto. È morto”un mantra e tutto è improvvisamente serio, psichiatrico se mi portano via. Grido “Ho preso due chili!” So che a strillare corro dei rischi; peggio che a camminare libera sulla frattura delle mie ossa fragili. (Accidenti, se resto in casa ancora un po’ la follia mi mangerà il cervello) una pagina di diario al giorno. Vi voglio raccontare le sfumature come si fa coi pastelli: Sono una bimba acrilica, acquerellata, per questo credo che il new romantic c’entri qualcosa – Perché Christina e il prato di Wyeth sonoi punti di riferimento; specchi dell’ansia perché le case restano comunque distanti. Pagherei per vedere l’originale (di che colore è davvero il campo?).

E ora? Lettura-Riposo-Cena … e poi ALLEN-IN-TV. Mi piace Woody: Sottile umorismo ebreo.

 

 

domenica 2 agosto 2015

LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI


 


“La foresta dei pugnali volanti”  di Zhiang Yimou è una coreografia in cui domina il verde, in accordo con le tinte della foresta o in opposizione al rosso complementare del sangue o al giallo che si ritrova nei campi fioriti al volgere delle stagioni fino al bianco dell’inverno.  La saturazione è al massimo e di certo l’estetica viene dalla pittura o ancora di più dalla tecnica di riempimento grafico dell’animazione (certe scene tra i bambù ricordano le passeggiate di “Mushishi” o il bosco di “Mononoke Hime”).  A questo si aggiunge il movimento che nelle arti marziali cinesi (wuxia) è accentuato e si avvicina alla danza come nella capoeira brasiliana, e il sonoro, sin dall’inizio la grazia nel canto e nel ballo sono componenti fondamentali della struttura narrativa con la mirabile scena dell’eco riprodotto sui tamburi grazie allo spostamento delle stoffe. Dunque, bellissimi anche i costumi che devono riprendere i colori naturali e trovare una corrispondenza nell’esuberanza dei paesaggi o degli interni decorati. Qui gli abiti sono firmati da Emi Wada, spcializzata in film corali come “Ran” o “Tabu – Gohatto” e capace di rendere le atmosfere immaginifiche di Kurosawa (“Sogni”). La compenetrazione tra uomo e Natura è data anche dai campi lunghi e dalle inquadrature allargate che inseriscono i protagonisti in un contesto paesaggistico ampio. Anno 859 sotto la dinastia Tang . Chi è il successore del capo dell’alleanza dei Pugnali volanti?  È una girandola di nomi e di visi celati dai cappelli e dai travestimenti. Fino alla fine non è chiara la parte dei singoli personaggi della vicenda che così anche nella trama, è ricca e coinvolgente fino alla conclusione tragica, con il classico triangolo amoroso tra Jin, Leo e Mei, che noi occidentali ritroviamo nell’”Otello” ma che è la base di innumerevoli racconti. Jin è come il vento giocoso. Lo si potrebbe paragonare alla figura del Jinn (con due N!) come se si trattasse di un trickster tra due mondi, quello dei ribelli e quello della milizia imperiale, ossia tra il nuovo e il vecchio o ancora tra la libertà e l’istituzione.
 

mercoledì 4 marzo 2015

MAD MEN


 La lezione di giapponese è rinviata di una settimana. In caffè bevuto poco prima (piccola droga quasi quotidiana) fa il suo effetto, tutta la tensione accumulata nei nervi viene rilasciata e mi scalda come l’elettricità che passa rossa nelle resistenze di una stufa. Improvvisamente, il mondo fuori è bello in un modo che non avevo mai notato e qualsiasi cosa, nelle vetrine, merita l’attenzione del mio occhio fotografico ma … Nonostante il largo anticipo del calendario, in un secondo il cervello è investito da una valanga di dati e impulsi che corrispondono all’ansia del regalo natalizio: da un lato i nomi degli amici, dall’altro la lista di oggetti che mi piacerebbe ricevere. Continuo ad aggiungere o togliere voci all’elenco, sposto crocette, appunto indirizzi: un angioletto qui, una candela là, un pigiama rosa e soffice che sarebbe bello mettere proprio la mattina del 25 dicembre. Manca ancora un mese. Peccato che da Tiger siano già finiti i kigurumi a forma di pinguino.

E all’improvviso il black-out, buio e minaccioso. i neuroni non si connettono e il mio centro di gravità perde spessore.

Mi devo fermare in mezzo alla strada, sedermi per non cadere. Sotto le luci intermittenti dei festoni tiro fuori un libricino di racconti, “ Sono sempre stato prigioniero dei miei personaggi immaginari” confessa lo scrittore dell’Ohio; e io spetto che il fresco della sera ristabilisca la giusta temperatura corporea, fino a quando le dita s’irrigidiscono contro le pagine e comincio ad avvertire il pietrisco puntuto attraverso i pantaloni (Ricordo di aver sentito Goofey usare quella parola – “puntuto” – toccando le punte delle frecce che lo inseguivano in Il Principe e il Povero).


Mi rimetto in cammino, mentre le lampadine si spengono lentamente e il vento mi taglia in due il naso.

Tutto concorre al circo degli orrori.

Una donna procede con un passo saltellante da cavalletta, il collo piegato come se fosse spezzato: ha un paraorecchie di lana peruviana sporco e strappato e continua a ripetere una filastrocca senza parole. Accelero per non guardare, ma mi pare di sentire qualcuno che mi chiama. Mi volto e una banda di ragazzetti con i cappellini appoggiati sulla cima delle loro architetture di gel inizia a ridere. Uno dice «Ehi, signorina»; un altro rincara con un’oscenità che voglio solo cancellare. Lunedì 25 novembre: mobilitazione internazionale contro la violenza di genere. I numeri sono impressionati. E a me sembra di sprofondare per così poco? Davvero basta un commento sprezzante? Credo di essere troppo sensibile, o forse sono i famosi “giovani d’oggi” a essere diventati anaffettivi, talmente tecnologici da aver dimenticato l’umanità. In ogni caso il panorama sempre più scuro non aiuta e poco oltre, sulla rampa che porta alla palestra polisportiva comunale, il solito consesso di barboni mette insieme tutte le gradazioni di disperazione e di lerciume. Hanno comprato solo dei cartoni di vino, ma hanno già la pelle conciata e l’accento malfermo. Mi vergogno di aver paura di loro ma sto quasi correndo verso il verde sempre acceso della farmacia, con i pupazzi da riscaldare esposti in bella mostra sopra a una pioggia di stelle argentate.

Provo a non pensare alla casa vuota che mi aspetta: almeno io ho un guscio in cui rifugiarmi, anche se perché da un po’ Cassie ha smesso di telefonarmi dopo il lavoro, come se quelle parole di fine-giornata fossero troppo gravose. E sono arrivate le bugie palesi, quando ho scoperto quantità raddoppiate nel mio piatto e la fiducia è crollata definitivamente.

Quindi …. Quindi il calderone è esploso e ho perso persino l’ultimo appiglio. Faccio mille sforzi per tenere salda la barra del comando.

Intanto tento di fermare il caleidoscopio che mi ruota nella testa, giro la chiave nella serratura, poso la borsa sul pavimento e m’infilo nel letto con una grossa tazza di tè caldo. Ho intenzione di rilassarmi un po’ prima di dedicarmi alla verdura da pulire e bollire; e non importa se gli allestimenti che lei mi preparava erano più scenografici … Anzi sì, importa. Ma devo abbandonare il mito della mamma chioccia che cucina biscotti e torte paradiso. Mi sento stupida con il mio desiderio di dolci, procrastinato da mesi senza sapere che in realtà avrei potuto concedermi il lusso fin da subito. Come in una partita a poker con me stessa, ora la mossa tocca a me.

lunedì 19 gennaio 2015

THE HONEY PRINCESS WITH HER YELLOW SUNFLOWERS


Dov’è finito il miele, ora che la Principessa vorrebbe aver ritrovato un po’ del suo coraggio?

Ne avevo un po’, in confezioni monoporzione sigillate, ma dev’essere sparito secoli fa, inghiottito dai blocchi di zucchero bruno che ogni tanto Cassy scioglie sul fuoco … E poi, anche se lo avessi scovato sul fondo dell’armadio, sarebbe stato troppo antico (incrostato e alterato come resina fossile).

Inutilizzabile.

Eppure quel vuoto nella dispensa mi ferisce. Mi pare qualcosa d’innaturale, come fissare il display del cellulare, scoprire che sono già le 11.18 e che in casa non c’è nessuno, pur essendo sabato.

«Domani ho un appuntamento in ufficio». Quando Cassie me l’ha detto ieri sera, ero già mezza addormenta davanti a un documentario sull’assassinio di JFK (La testa che esplode come un papavero in Dealey Plaza, Jackie con il suo tailleur rosa che si sporge sul cofano della macchina a raccogliere un frammento del cranio del marito. Oswald e le mille teorie del complotto)

 

E quindi adesso sono qui, sola. Anche se avrei bisogno di dolcezza. Anche se sono malata.

Da un paio di giorni covo l’influenza, ma ho tentato di addomesticare i bacilli per non perdere il ritmo delle cose da fare in giro – fuori – con il termometro che comincia a scendere, gli autobus fermi nelle rimesse e la città che così è un po’ più spettrale.

I cortei sono l’unico movimento che anima le strade e i telegiornali nazionali mostrano i fumogeni rossi che confondono i volti, ma tutto sembra lontano, irreale.

Non che m’interessino le vertenze sindacali che naufragano con regolare faccia tosta, nella Sala Chiamata del Porto. Da quasi due anni non uso i mezzi pubblici per una sorta di protesta contro il sistema: biglietti sempre più cari e bus sempre più radi e malandati. E poi, ovviamente, c’è la convinzione che “camminare non può che farmi bene”, dato che continuo a cercare un modo per venir a patti con me stessa.

 

Ho la testa pesante e calda e i passi sono di piombo mentre mi dirigo verso la cucina per preparare un mate e riscaldare ancora il fido Gatto Ciliegia (contro il grande freddo). A volte si è chiamato anche Gatto Polenta, in omaggio a certi stufati alla vicentina ma oggi – con le pupille nere e il collo floscio – esce dal forno con un odore invernale che non lascia dubbi e mi sembra diventato il mio solo alleato, col corpo marrone, bruciacchiato(potrebbe essere il protagonista di un adagio popolare).

C’è un pacchetto di sigarette sul tavolo e i fornelli sono sporchi. Trattengo un moto di fastidio. Cassy mi ama – chiunque potrebbe testimoniarlo – ma a volte è sciatta, come se si fosse lasciata andare o non le fosse mai importato.

Controllo di nuovo le provviste ammassate in disordine sui ripiani dimenticati: in realtà credo che non avrei usato il miele, anche se lo avessi avuto. Probabilmente la paura mi avrebbe bloccato ancora.

Da poco ho scoperto la gioia infantile di una vera torta, grazie ai consigli di Annie, le chiare d’uovo dentro a un cartone da litro e persino gli usi terapeutici dell’olio di girasole,misurato con mano tremante sulla bilancia elettronica (Lo agito un po’ prima di versarlo, lo peso con cura millimetrica, rimetto la bottiglia in frigo. E ogni volta rivedo Erin persa in un campo di fiori giganteschi; Gialli quanto un dipinto di Van Gogh; Improbabili, appena dietro i sentieri del parco di Hibiya.)

Mi sono concessa anche un pizzico di stevia, tanto per sentire un soffice sapore domenicale sulla lingua. Ho scattato una foto e ho quasi pianto, sentendomi finalmente libera di gustare un piatto quasi normale, come se mi fossi comportata bene e ci fosse qualcosa da festeggiare.

 

Il mondo ondeggia e va in pezzi. A ci sono delle giornate piacevoli, con lievi folate di gratificazione (che durano tre minuti prima di dissolversi): qualcuno apprezza un pezzo che ho scritto e mi paga un coffee in un bicchiere di carta rosa; un artista della galleria vorrebbe farmi un regalo; la mia collega mi abbraccia, mi solleva e mi fa ruotare come un piccolo koala poi mi mette giù, e ha le guance rosse e gli occhi accesi.

«Che bello il tuo ciondolo!» Indica un pupazzetto che mi pende al collo. 

L’avevo comprato alla fiera di Lucca e ne avevo preso uno simile anche per Megami, la mia migliore amica.

Che sta per andarsene con un equipaggio di pirati indonesiani.

 

Sono felice per lei ma il senso d’abbandono si agita feroce nel mio cuore ogni volta che l’idea so affaccia alla mia mente e che provo a distrarmi.