mercoledì 4 marzo 2015

MAD MEN


 La lezione di giapponese è rinviata di una settimana. In caffè bevuto poco prima (piccola droga quasi quotidiana) fa il suo effetto, tutta la tensione accumulata nei nervi viene rilasciata e mi scalda come l’elettricità che passa rossa nelle resistenze di una stufa. Improvvisamente, il mondo fuori è bello in un modo che non avevo mai notato e qualsiasi cosa, nelle vetrine, merita l’attenzione del mio occhio fotografico ma … Nonostante il largo anticipo del calendario, in un secondo il cervello è investito da una valanga di dati e impulsi che corrispondono all’ansia del regalo natalizio: da un lato i nomi degli amici, dall’altro la lista di oggetti che mi piacerebbe ricevere. Continuo ad aggiungere o togliere voci all’elenco, sposto crocette, appunto indirizzi: un angioletto qui, una candela là, un pigiama rosa e soffice che sarebbe bello mettere proprio la mattina del 25 dicembre. Manca ancora un mese. Peccato che da Tiger siano già finiti i kigurumi a forma di pinguino.

E all’improvviso il black-out, buio e minaccioso. i neuroni non si connettono e il mio centro di gravità perde spessore.

Mi devo fermare in mezzo alla strada, sedermi per non cadere. Sotto le luci intermittenti dei festoni tiro fuori un libricino di racconti, “ Sono sempre stato prigioniero dei miei personaggi immaginari” confessa lo scrittore dell’Ohio; e io spetto che il fresco della sera ristabilisca la giusta temperatura corporea, fino a quando le dita s’irrigidiscono contro le pagine e comincio ad avvertire il pietrisco puntuto attraverso i pantaloni (Ricordo di aver sentito Goofey usare quella parola – “puntuto” – toccando le punte delle frecce che lo inseguivano in Il Principe e il Povero).


Mi rimetto in cammino, mentre le lampadine si spengono lentamente e il vento mi taglia in due il naso.

Tutto concorre al circo degli orrori.

Una donna procede con un passo saltellante da cavalletta, il collo piegato come se fosse spezzato: ha un paraorecchie di lana peruviana sporco e strappato e continua a ripetere una filastrocca senza parole. Accelero per non guardare, ma mi pare di sentire qualcuno che mi chiama. Mi volto e una banda di ragazzetti con i cappellini appoggiati sulla cima delle loro architetture di gel inizia a ridere. Uno dice «Ehi, signorina»; un altro rincara con un’oscenità che voglio solo cancellare. Lunedì 25 novembre: mobilitazione internazionale contro la violenza di genere. I numeri sono impressionati. E a me sembra di sprofondare per così poco? Davvero basta un commento sprezzante? Credo di essere troppo sensibile, o forse sono i famosi “giovani d’oggi” a essere diventati anaffettivi, talmente tecnologici da aver dimenticato l’umanità. In ogni caso il panorama sempre più scuro non aiuta e poco oltre, sulla rampa che porta alla palestra polisportiva comunale, il solito consesso di barboni mette insieme tutte le gradazioni di disperazione e di lerciume. Hanno comprato solo dei cartoni di vino, ma hanno già la pelle conciata e l’accento malfermo. Mi vergogno di aver paura di loro ma sto quasi correndo verso il verde sempre acceso della farmacia, con i pupazzi da riscaldare esposti in bella mostra sopra a una pioggia di stelle argentate.

Provo a non pensare alla casa vuota che mi aspetta: almeno io ho un guscio in cui rifugiarmi, anche se perché da un po’ Cassie ha smesso di telefonarmi dopo il lavoro, come se quelle parole di fine-giornata fossero troppo gravose. E sono arrivate le bugie palesi, quando ho scoperto quantità raddoppiate nel mio piatto e la fiducia è crollata definitivamente.

Quindi …. Quindi il calderone è esploso e ho perso persino l’ultimo appiglio. Faccio mille sforzi per tenere salda la barra del comando.

Intanto tento di fermare il caleidoscopio che mi ruota nella testa, giro la chiave nella serratura, poso la borsa sul pavimento e m’infilo nel letto con una grossa tazza di tè caldo. Ho intenzione di rilassarmi un po’ prima di dedicarmi alla verdura da pulire e bollire; e non importa se gli allestimenti che lei mi preparava erano più scenografici … Anzi sì, importa. Ma devo abbandonare il mito della mamma chioccia che cucina biscotti e torte paradiso. Mi sento stupida con il mio desiderio di dolci, procrastinato da mesi senza sapere che in realtà avrei potuto concedermi il lusso fin da subito. Come in una partita a poker con me stessa, ora la mossa tocca a me.

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