sabato 20 aprile 2013

TEXHNOLYZE


Intanto le solite informazioni tecniche: Texhnolyze è una serie di 22 episodi frutti di un’idea della prolifica Chiaki J. Konaka e del designer Yoshitoshi Abe, già creatori di pietre miliari del genere cyberpunk come Serial Experiments Lain.


La storia si svolge nella città sotterranea di Lux, dove la competizione per il potere è talmente violenta che le mutilazioni sono all’ordine del giorno perché tutto si basa sul commercio di protesi artificiali, le texhnolyze che non solo rimpiazzano gli arti mancanti, grazie a una misteriosa sostanza chiamata “rafia” ma creano anche una realtà aumentata, fornendo dati analitici a loro possessori. La popolazione si divide sulla base di questo status symbol: il governo dovrebbe essere nelle mani di una fazione denominata Grabe ma, per via della sua manifesta debolezza, l’ordine viene mantenuto da un’organizzazione parallela, la Organo guidata da Keigo Onishi. Tale situazione rispecchia evidentemente una certa visione del Giappone contemporaneo, in cui la yakuza supplisce alle carenze dello Stato centrale rispondendo in modo rapido ed efficiente alle emergenze: è quanto rilevato dal giornalista Jake Adelstein che, all’indomani della catastrofe del terremoto, dipingeva i 78mila affiliati della mafia nipponica come gangster e filantropi, legati a un proprio rigido codice d’onore (vedi Internazionale del 21 settembre 2011). Onishi è senz’altro un prototipo perfetto di questo punto di vista e la sua caratterizzazione rimanda a gioielli del manga noir come Sanctuary di Shô Fumimura e Ryôichi Ikegami, che svelava le strette connessioni tra criminalità e politica (1990-95). Visto il talento del giovane boss che dice di “sentire la voce della città”, i vecchi membri della famiglia gli sono ostili e tramano alle sue spalle per farlo capitolare sfruttando la condizione d’instabilità generalizzata.


Infatti, se la Organo controlla le alte sfere, i bassi fondi sono dominati da bande di sbandati, i Racan. L’accento post-apocalittico delle loro piccole comuni, il loro abbigliamento volutamente retrò e persino alcune sequenze – come ad esempio il percorso in moto del loro capo, Shinji –

si rifanno chiaramente ad Akira, fumetto e film di Katsuhiro Ôtomo (1988), fondamentale per l’evoluzione linguaggio del manga contemporaneo. D’altra parte, ci sono altri frammenti che compongono il mosaico dell’immaginario di Texhnolyze. Cerchiamo di svelarsi man mano che ci addentriamo nella trama.

La vicenda si apre con Ichise, un promettente pugile che urta i suoi protettori e per questo viene punito con l’amputazione di un braccio e di una gamba. Monco, inizia a vagare per i vicoli bui finché viene soccorso, ormai privo di coscienza da una dottoressa (Doc), la migliore nel campo della ricerca sulle protesi artificiali. La donna progetta quindi due arti sostitutivi e li impianta sul corpo del ragazzo che però tarderà ad adattarsi ai nuovi stimoli sensoriali forniti dal sistema virtuale. In definitiva lui non può abituarsi perché rappresenta la parte primitiva dell’Uomo, quell’impulso animale che spinge a sopravvivere in qualsiasi condizione. Tale interpretazione simbolica è confermata dal suo comportamento schivo e dal suo quasi totale mutismo: di fronte alle situazioni più disperate e pericolose la sola risposta possibile è quella dettata dall’istinto e anche man mano che la narrazione procede, quando Ichise diventa un membro di Organo sotto l’ala di Onishi, la sua trasformazione è solo superficiale, esteriore. Anche il suo rapporto con Doc è emblematico della sua posizione nello scacchiere di metafore di questo anime: la donna – una bionda procace che trova epigoni in molte scienziate dell’animazione (ultima in ordine cronologico Shion Kanamori, il medico legale di Psycho-Pass [2012]) – diventa una seconda madre per Ichise (“il suo capolavoro”) guidandolo nell’uso corretto delle sue funzioni sconosciute. Ma a questo processo di re-imprinting va aggiunta anche un’attrazione di tipo sessuale che si rifà chiaramente all’archetipo del complesso di Edipo e che genera un ulteriore livello di complessità nella struttura psicologica dei due personaggi, ponendoli a confronto con il mondo esterno.

Per alcuni aspetti, quindi, l’impostazione dell’anime ha qualcosa in comune con il notissimo FullMetal Alchemist (2001-2003 /2003-2010).

Senza svelare qui la vera composizione della “rafia”, si possono riscontrare evidenti analogie tra la sostanza vitale della città e la pietra filosofale degli alchimisti, così come si nota una certa similitudine tra la funzione narrativa di Doc e quella di Winry nell’opera della Arakawa. In Texhnolyze l’approccio è senz’altro più cupo e maturo ma il tema della perdita del ruolo genitoriale è centrale in entrambi i casi: se da un lato l’avventura originava dalla tentata rievocazione di una madre morta come compensazione per un padre immortale ma fisicamente assente e Edward otteneva un nuovo corpo grazie alle cure meccaniche dell’officina Rockbell, adesso ci troviamo di fronte a una versione ombrosa di quello stesso ragazzo – come se si trattasse di un suo avatar disilluso - che non ha mai conosciuto davvero suo padre e trova rifugio nell’organizzazione. L’annullamento del legame parentale in favore di un vincolo elettivo è chiaro anche in altri personaggi del clan, come ad esempio Toyama, un giovane gay che per anni è stato molestato dal padre che anzi non si fa scrupolo di chiedere al figlio l’ennesima prestazione sessuale in cambio di informazioni; ma anche il gruppo coeso dei Racan guidati da Shinji diventa un simulacro di “famiglia, simile alle società senza adulti di molte storie post-apocalittiche. Una simile struttura può reggersi solo sulla presenza di un Super-Ego particolarmente forte che di fatto si ramifica in diversi sotto-prodotti, esattamente come avviene nella nostra società.

Abbiamo detto che Organo non è l’unica entità in campo: per quanto indebolita, Gabe continua ad esistere, relegata sulla collina, dove i suoi membri conducono una vita legata al misticismo e alle profezie, secondo uno schema che riproduce idealmente la suddivisione tra campagna e montagna nella tradizione giapponese: nelle credenze più remote infatti, gli uomini non potevano violare i boschi montani dominati dal dio, il quale scendeva a valle solo in occasioni speciali, ad esempio per annunciare un nuovo raccolto. Nell’anime, in ogni generazione ci deve essere una veggente, capace di prevedere il futuro e d’incarnare la voce della città. Nel presente, la designata è Ran che, proprio come l’antica Cassandra, conosce l’ineluttabile tragedia del futuro immediato e vorrebbe rinunciare alla sua facoltà paranormale. Chiaramente però, lei non può sfuggire al Destino esattamente come la città non può evitare di procedere verso il collasso.


Un altro fronte è costituito dall’Unione, che non ammette la progressiva meccanizzazione dell’uomo e predica la purezza del corpo e la salvezza perseguita anche con mezzi violenti e terroristici. A questa fazione si accosta Yoshii, una persona misteriosa arrivata a Lux dal mondo in superficie;

infine c’è il gruppo denominato La Classe, che vive arroccato in una città chiusa, proibita alla gente comune, i cui cancelli d’accesso ricordano i “corridoi” percorsi dal caccia di Luke Skywalker nell’epica battaglia contro la Morte Nera. Il loro leader è Kano, che agisce come sovrano e demiurgo assoluto creando gli Shapes. Si tratta di esseri umani totalmente robotizzati, ai quali resta solo la testa su un corpo da cyborg.

In questa gerarchizzazione sociale si distinguono gli stadi della ricerca identitaria che caratterizza il Giappone sin dal dopoguerra. Dopo la sconfitta bellica, il robot incarnava la possibilità di rivalsa e l’affermarsi di una nuova estetica che, originando dalla cultura tradizionale e dalla contrapposizione wabi /sabi, guarda a nuove prospettive. Come scrivono Marco Ghilardi in Culture del Giappone contemporaneo (pp. 156-157, Tunué, 2011) e Marco Bertolini in Mangascienza (Tunué, 20111) si prospetta un modello evolutivo che complica il rapporto tra tecnologia e soggetto spostando la dimensione estranea all’interno dell’individuo nel tentativo di avvicinarsi all’immortalità. Ma, come in molte opere di questo genere, presto si scoprono i limiti di tale progetto perché il funzionamento delle protesi artificiali dipende dalla “rafia” e dall’influsso “dell’Obelisco” che si trova al centro della città (e che ne costituisce visivamente lo zenit).

Fallite le trattative, l’ultima possibilità di fermare o rallentare la sollevazione guidata da Kano è di cercare il sostegno del governo del mondo in superficie ma, giunti nella luce dello spazio aperto, scoprono un’incredibile verità che qui non si può rivelare senza guastare il piacere della visione: basti solo dire che si tratta di una condizione che rimanda all’archetipo del mito. La situazione rispecchia per certi versi quella di Lux, riportando ancora una volta alla geopolitica fantastica di FullMetal Alchemist, in cui compare la teocrazia di Reole retta da un santone che diffonde i suoi dogmi via etere grazie alla radio. Tuttavia non è questo il solo elemento da prendere in considerazione: i colori brillanti contrastano nettamente con l’atmosfera claustrofobica del sottosuolo, ma fin dall’inizio del viaggio in un panorama rurale che richiama le periferie deserte di Edward Hopper (o il cammino di Dorothy ne Il Mago di Oz) si avverte qualcosa di stonato e innaturale, confermato dalla decisione di Doc di restare per sempre lì: nella camera d’albergo inondata di sole, il suo sguardo perso oltre la finestra ricalca proprio il dipinto Morning Sun, in si percepisce la quiete di un futuro velato di malinconia.

Un solo piccolo neo per questo anime maturo, complesso e ben disegnato: nella fase di lotta per il potere all’interno di Organo, ci sono un po’ troppi personaggi, rischiando quindi di far perdere incisività ai singoli.

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