giovedì 11 ottobre 2012

B-PICTURES

Quando cade la polvere, alcuni la spazzano via con un semplice gesto della mano, altri invece ci finiscono dentro. ZHE CHEN




Ancora e ancora … da una settimana questi piccoli fiori rossi sono l’unico modo per tenermi ancorata e ben salda alla realtà, una via di fuga che mi consente di resistere alla nausea. Si potrebbe chiamare solitudine, forse il DSM la inserirebbe facilmente in una delle sue caselline prestampate. Non importa, per adesso ho solo bisogno di due minuti di bruciore che mi facciano dimenticare, please.

Dopo giorni, la pelle è ulcerata, di un arancione quasi trasparente sul bianco pallido del polso. Alcuni pensaranno a un impulso suicida deviato per errore, ma non è questo.

Cerco un bracciale di borchie da metterci sopra perché il ferro prema sulle croste ancora troppo fragili.

Scelgo quello che mi ha portato Megami da Londra, quand’eravamo bambine … nell’epoca gloriosa in cui per procurarti delle punte super-killer dovevi arrivare almeno fino a Milano e ogni ritrovamento era una conquista da mostrare con un orgoglio accompagnato da mille aneddoti avventurosi. Oggi basta andare in un qualsiasi negozio che vende piercing per sentirsi alternativa in mezzo a una vasta esposizione di spunzoni da tortura.

Il cuoio del cinturino nero è un po’ consumato. Stringo la cinghia fino all’ultimo buco e il freddo del contatto si annulla nel calore della ferita riaperta. Magari dovrei rinunciare a questo martirio da anacoreta e regalarmi il morbido sollievo di una polsiera di spugna (Sapevate che in portoghese “mórbido” significa “morboso”? Assimilate l’informazione e fatela girare nella vostra mente). Quand’è che io e Megami siamo cambiate? Nell’estate dei nostri diciassette anni eravamo state in vacanza insieme– le nostre mani allacciate sul bracciolo del sedile sul pullman, le braccia identiche cariche di cianfrusaglie di plastica erano la promessa di un solo futuro. Poi qualcosa si è rotto sull’asse del tempo e ci siamo ritrovate sbalzate in due mondi paralleli.



Leggins fucsia sotto un vestito un po’ troppo corto, calze coperte di stelline luminose.

Cammino per strada ostentando una sicurezza che non ho più da mesi. Mi fermo di fronte alle vetrine guardando cose che non mi comprerò, solo per spiare il mio riflesso stampato in sovraimpressione in un angolo del vetro. Un maglione verde attira la mia attenzione: è corto e voluminoso e mi fa pensare a Irma la Dolce, la ragazza di quel vecchio film di Billy Wider (da quanto non ridevo di gusto davanti alla tv?), ma la modella della foto ha qualcosa di sbagliato. Ha una pettinatura improbabile, a metà fra Morticia Addams e Marge Simpson, e occhi troppo grandi, anche se le hanno detto di sembrare seducente o aggressiva o non so che altro. La osservo in tutta la banalità di un megaposter pubblicitario. La trovo oscena. Disperata. Mi chiedo perché il mainstream accetti quell’esposizione indecente e poi condanni chi svela segreti scomodi. Ripenso al caso di quella ballerina della Scala licenziata per aver parlato di Anoressia – proprio così, con un’intonazione maiuscola – Ero andata a una conferenza per ascoltare la sua storia ma ora il profilo delicato da Fata Lina si sovrappone a quello di una ragazza seduta per terra in terza fila: pantaloni marroni, i piedi tesi come se stesse provando un esercizio. I capelli color miele raccolti in uno chignon con una retina la facevano risplendere di luce dorata. In un angolo del mio cuore avevo deciso che l’avrei chiamata Tinker Bell e che sarebbe stata la mia Musa del Coraggio.

http://youtu.be/itHZ8P5icSw

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