Dalla finestra, sale il fumo alla diossina di un barbecue
estivo (l’odore delle streghe di Salem, l’odore di una pira funebre)
Siamo reduci dall’ennesimo scontro sulle mie necessità
numeriche.
Lei non vuole capire l’abisso e il rigetto;
le occhiaie pesanti e la volontà di andare almeno una volta
al mare,
a vedere le onde increspate di sale bianco e la spiaggia
punteggiata di conchiglie bianche – così aguzze da somigliare a una punizione
per tutti questi peccati.
Da sola, lascio sbocciare nuovi fiori sotto la selva dei
miei braccialetti di plastica; provo a immaginare un occhio cremisi che si apre
quando camminano a piedi nudi su quei
gusci morti – frammenti di stelle rosse, già esplose negli eoni passati.
A luce spenta, fisso la fluorescenza dello schermo.
Devo preparare i bagagli per l’esilio sull’eremo,
trasformandomi in un anacoreta tra i fiori. Cosa si sceglie di portare per
isolarsi completamente dal mondo, dopo che ti sei illuso di poter cambiare le
cose e hai visto il tuo fallimento fiammeggiare come Venere al di sopra delle
foglie di una palma alta due tre metri? Cos’ha preso con sé Napoleone per il
suo ultimo viaggio a Sant’Elena – da vincitore sconfitto? (sospetto che abbia
dimenticato la crema solare). Somiglia al gioco “Cosa porteresti sull’isola
deserta?” … forse un apparecchio che limiti l’azione dei campi magnetici, per
evitare gli sbalzi temporali. Dovrebbe essere un diapason che imita il canto
demoniaco delle sirene, ma mi crederebbero pazza se parlassi apertamente di
Neverland e dicessi a tutti di aver perso la mia ombra, di essere diventata la
mia ombra.
Meglio cercare gli ultimi video e i film da guardare;
impilare i libri ancora da recensire; piegare alla rinfusa i vestiti neri, le
magliette viola (Per partire metterò i pantaloni rosa).
Voglio finire di scrivere il diario degli ultimi giorni,
prima che il tempo si arrugginisca sui suoi assi. Affiderò la mia biografia
alle pagine virtuali del blog, in modo che Scarlet faccia sentire la sua voce
anche fuori da queste quattro mura. Ogni volta che qualcuno visualizzerà un
brano, (anche senza capirlo, o interpretandolo con le sue chiavi personali), io
sarò un po’ meno scissa, almeno per qualche minuto.
Confusa
Ascolto gli sferraglianti assolo di chitarra di un ragazzino
dagli occhi azzurri – due laghi in fiamme.
Penso: “Quel che c’è, c’è. Se mi manca posso sempre
comprarlo.
Posso sempre rubarlo”
In fondo le ultime sentenze della politica confermano che,
se paghi un tot, poi hai diritto a una specie di buono. Puoi dire: “Dato che ho
comprato già dieci t-shirt, posso averne una omaggio”. È così che funziona,
almeno pare.
Per cui devo solo stare attenta a quanti film caricare per due
/ (barra) tre settimane, quante puntate dell’ultima serie medica, quante righe
riuscirò ad assimilare.
Ciò che mi spaventa di più è quello che non potrò fare per
un periodo che mi sembra immenso come un deserto di sale. Ho chiamato un po’ di
amici per vederli “un’ultima volta prima di andar via”; da giorni preparo i
menù calcolando che in paese non troverò più tutti gli ingredienti per le mie
feste di magro (ma ci sarà sempre qualcuno che avrà un appiglio per commentare:
«In fin dei conti mangia», svelando in un colpo solo tutte le bugie che ho
raccontato per funzionare e sopravvivere).
«Vado giù a portare la roba» Cassy lancia a mezz’aria una
frase generica, tanto per farmi capire che la sua amarezza è rientrata nei
ranghi. E sembra il giornalista rassegnato dell’ultimo romanzo che ho letto,
tanto assuefatto alla censura da aver narcotizzato le sue stesse opinioni.
Per calmarmi – per asciugare le lacrime che minacciavano di
farmi affogare – mi ha mostrato i manuali sui quali ha studiato le tabelle,
modulando le regole da infliggermi non sapendo che lo specchio – il pozzo nero
in cui mi specchio – non accetta la razionalità delle sue norme.
Ha abbandonato lì una scusa qualsiasi e se n’è andata senza
sospettare che avrei voluto che mi accompagnasse per strada, in un bar, a bere
un bicchiere d’acqua ghiacciata perché nella Capitale dello Stato – dov’era in
vigore la moratoria – eravamo state bene, finalmente quasi serene, in una
libreria in cui servivamo tè freddo ibernato al momento. E non c’era bisogno di
nascondersi – non troppo – nemmeno davanti al Mago e alle sue donne. Forse
perché a lui piacevo come una bambina con strani interessi da adulta …
Ora mi sento stanca.
Sgranchisco i crampi alle braccia, le ossa tese e piegate
sui tasti del computer;
mi alzo ammassando oggetti d riordinare per rivedere il
ripiano della scrivania prima di decidere cosa escludere dal conto delle
attività possibili.
Passerò qualche giorno con mio fratello Sam, farò gite
fuoriporta contro il cielo verde della campagna, potrei addirittura varcare il
confine, se davvero Jane salirà sul treno per la Francia. Là sulla costa dei
nostri cugini dal giglio dorato, hanno più prodotti asiatici di quanti noi ne
potremmo mai immaginare: scaffali interi
nel settore narrativa, plotoni di fumetti come legioni di samurai corazzati,
file di abiti pieni di volant … e io devo ancora trovare l’abito per la
cerimonia di nozze di un’amica. Da mesi giro intorno ai diversi modelli
disponibili ma non clicco mai sull’icona del carrello: per scrupoli finanziari
o per il gusto aspro dell’attimo sfuggente. Desidero pizzi rosa da principessa,
sbuffi e fiocchi, magari addirittura un piccolo cappellino a cilindro fissato
su un cerchietto color confetto e calze bianche con un nastro di passamaneria.
Mentre la coppia si presenterà all’altare in infradito e jeans, io sogno per me
– quasi fossi io la sposa – farfalle che si alzano in volo al mio passaggio e
un campo di grano percorso dal vento, come in quadro di Andrew Wyeth
http://youtu.be/ikGco5URbNc
.
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