Non sono mai
stata così male in vita mia.
Mentre sullo
schermo Kim Ki-Duk costruisce una pistola per vendicarsi d»i chi l'ha tradito
abbandonandolo e poi progetta il proprio suicidio con un filo di nylon, io
penso alla vecchia carabina napoleonica del mio bisnonno e al rumore che
farebbe il proiettile attraversandomi il cervello – Ready! Action!
Facile.
Un colpo nel
pogo ha deviato l'assetto del mio scheletro, che ora si sta sbriciolando come
da previsioni. I pensieri sono neri. Catrame.
La linea
verticale di un tronco divide in due un cielo di un azzurro esasperante. Lampi
di sole e un mare di lapislazzuli michelangioleschi che comunque non mi
appartengono.
Una persona che
secoli fa ha smesso di essere Cassy evita qualsiasi contatto emotivo, strappa
via qualsiasi distrazione «Sei in pausa?» Da giorni sono chiusa in questa
stanza aspettando una proposta “divertente”, ma lei non parla. O non riceve
risposta.
Solo ieri sera,
dopo aver acceso la radio sul programma rock della notte, ho sentito un rumore
sommesso in cucina e, dopo una breve apprensione, ho capito che lei era
sintonizzata sulla stessa stazione e stava canticchiando la canzone che anch'io
stavo ascoltando, con l'inglese inventato tipico della sua generazione.
Ma poi la commozione
e la giovinezza sono svaporate nel nuovo mattino pieno di grilli. Ultimamente
mi rivolge solo domande apprensive: “Come stai?” si alterna a “Sei
stanca?” , ma oggi c'è una novità, un ordine quasi perentorio: «Va' a chiedere un limone alla vicina». Come se
comunque non la vedessimo tutti i giorni, un'anima inquieta piena di ansie che
entrano in conflitto con le mie producendo scintille d'insofferenza.
Quella donna è la new entry della mia
segregazione. «Che palle!» «Hai detto
“Che palle!”?» ... Se provassi a ignorare che ho solo trent’anni e sostituissi
la parola “tristezza” con “quiete”, magari le cose andrebbero meglio, il buco
nel petto si rimarginerebbe e io potrei respirare. In fondo i due termini sono
quasi sinonimi, nel mio dizionario.
Mi sfilo gli
auricolari. Poso il rasoio.
Ho del sangue
che mi cola su una mano.
Potrebbe essere
un elemento interessante per la curiosità pettegola della gente? – “Io mi faccio gli affari miei ma ...”;
“Hai visto quella? Di sicuro è malata o una tossica, te lo dicevo io!” A
volte esco di casa con un foulard avvolto intorno alla testa, per alimentare le
leggende
Camminando
lungo la curva che mi separa dalla casetta affianco alla nostra, rivolgo i
palmi in basso, chiamando a testimonianza la terra e l'asfalto, come un Buddha
post-moderno (che rotola giù da una scarpata).
Quando torno
indietro (rabbuiata e senza limone – rubato da qualche mano invidiosa, perché
si sa che l'albero sul confine è sempre più giallo), il reticolo di rughe di D
è concentrato nella preparazione di un piatto di gamberoni. Le teste sono
ammucchiate da un lato. Musi lunghi che mi fissano malinconici come chansonnier
francesi, con lo sguardo lucido e senza sclera. ... L'attrice del film coreano
che stavo guardando aveva occhi simili: due stelle d'antracite brillante. «A quanto pare niente salsina per stasera» annuncio sbattendo la porta della mia
cella in sala.
Quello era
stato il “salotto buono”, o così doveva essere prima che mia nonna si ammalasse
e gli ospiti si diradassero come i suoi capelli grigi. Da quel momento era
diventato il logoro teatro di una separazione famigliare, con mia zia curva sui
suoi tomi di filosofia a covare risentimento e una ragazzina vivace – destinata
a essere mia madre – che nascondeva i fumetti sotto i libri di testo. Durante
la guerra, la libreria a muro era stata una dispensa segreta dove stivare le
provviste all'insaputa dei soldati ma ora c'erano solo file di volumi
inutilizzati, romanzi estivi e raccolte di filastrocche infantili. Le ciotole
piene di conchiglie sono coperte da uno strato di polvere e, se ne avvicinassi
una all'orecchio, non sentirei più il rumore delle onde che ormai sono troppo
remote. Nemmeno io ricordo il suono della risacca, eppure c'è stato un tempo in
cui mi piaceva andare alla spiaggia nelle mattine torride d'agosto, entrare in
acqua e spiare il fondo, “fare la stella marina” trattenendo il respiro, con le
braccia e le gambe allargate e poi tornare sulla sabbia, stendermi
sull'asciugamano e leggere qualche pagina senza l'ossessione del lavoro da
sbrigare. Già, “ossessione”... da un po' D non fa che spiarmi amareggiata «Devi farti
aiutare! Stai davvero peggiorando, conosco qualcuno che potrebbe ...» La fermo
sempre a questo punto perché so che nominerà Violante e la mia presunta debolezza,
so che dirà che mi invento cose assurde per accusarla. Non voglio sentirmi di
nuovo oltraggiata e umiliata. Vorrei solo che lei mi capisse ... ma adesso non
conta più, almeno non nell'immediato. Stiamo per partire. Questo significa che
non vedrò più l'orizzonte punteggiato di vele e non soffrirò più come un
bambino povero in una pasticceria di lusso. È finita e forse, dopo le liti e i
pianti, sarò io a riprendere il controllo della carta dei menù. Il mio corpo
deformato potrebbe addirittura tornare a posto ... In fondo nulla è perduto:
vivo in una città sulla costa e basta una mezz'oretta di treno per avere una
piccola baia fatta di scogli, tranquilla e pulita. Quest'anno la bella stagione
è cominciata in ritardo e sembra che durerà ancora per un paio di settimane.
Seduta di fronte allo schermo immobile, con le cuffie inserite
nell'apposito foro, immagino un settembre mite e i ciottoli levigati che
rotolano a riva sotto i miei piedi.
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