mercoledì 16 luglio 2014

LOTUS GUN


Non sono mai stata così male in vita mia.

Mentre sullo schermo Kim Ki-Duk costruisce una pistola per vendicarsi d»i chi l'ha tradito abbandonandolo e poi progetta il proprio suicidio con un filo di nylon, io penso alla vecchia carabina napoleonica del mio bisnonno e al rumore che farebbe il proiettile attraversandomi il cervello – Ready! Action!

Facile.

Un colpo nel pogo ha deviato l'assetto del mio scheletro, che ora si sta sbriciolando come da previsioni. I pensieri sono neri. Catrame.

La linea verticale di un tronco divide in due un cielo di un azzurro esasperante. Lampi di sole e un mare di lapislazzuli michelangioleschi che comunque non mi appartengono.

Una persona che secoli fa ha smesso di essere Cassy evita qualsiasi contatto emotivo, strappa via qualsiasi distrazione «Sei in pausa?» Da giorni sono chiusa in questa stanza aspettando una proposta “divertente”, ma lei non parla. O non riceve risposta.

Solo ieri sera, dopo aver acceso la radio sul programma rock della notte, ho sentito un rumore sommesso in cucina e, dopo una breve apprensione, ho capito che lei era sintonizzata sulla stessa stazione e stava canticchiando la canzone che anch'io stavo ascoltando, con l'inglese inventato tipico della sua generazione.

Ma poi la commozione e la giovinezza sono svaporate nel nuovo mattino pieno di grilli. Ultimamente mi rivolge solo domande apprensive: “Come stai?” si alterna a “Sei stanca?” , ma oggi c'è una novità, un ordine quasi perentorio: «Va'  a chiedere un limone alla vicina». Come se comunque non la vedessimo tutti i giorni, un'anima inquieta piena di ansie che entrano in conflitto con le mie producendo scintille d'insofferenza.

 Quella donna è la new entry della mia segregazione. «Che palle!»  «Hai detto “Che palle!”?» ... Se provassi a ignorare che ho solo trent’anni e sostituissi la parola “tristezza” con “quiete”, magari le cose andrebbero meglio, il buco nel petto si rimarginerebbe e io potrei respirare. In fondo i due termini sono quasi sinonimi, nel mio dizionario.

Mi sfilo gli auricolari. Poso il rasoio.

Ho del sangue che mi cola su una mano.

Potrebbe essere un elemento interessante per la curiosità pettegola della gente?  “Io mi faccio gli affari miei ma ...”; “Hai visto quella? Di sicuro è malata o una tossica, te lo dicevo io!” A volte esco di casa con un foulard avvolto intorno alla testa, per alimentare le leggende

Camminando lungo la curva che mi separa dalla casetta affianco alla nostra, rivolgo i palmi in basso, chiamando a testimonianza la terra e l'asfalto, come un Buddha post-moderno (che rotola giù da una scarpata).

Quando torno indietro (rabbuiata e senza limone – rubato da qualche mano invidiosa, perché si sa che l'albero sul confine è sempre più giallo), il reticolo di rughe di D è concentrato nella preparazione di un piatto di gamberoni. Le teste sono ammucchiate da un lato. Musi lunghi che mi fissano malinconici come chansonnier francesi, con lo sguardo lucido e senza sclera. ... L'attrice del film coreano che stavo guardando aveva occhi simili: due stelle d'antracite brillante. «A quanto pare niente salsina per stasera» annuncio sbattendo la porta della mia cella in sala.

Quello era stato il “salotto buono”, o così doveva essere prima che mia nonna si ammalasse e gli ospiti si diradassero come i suoi capelli grigi. Da quel momento era diventato il logoro teatro di una separazione famigliare, con mia zia curva sui suoi tomi di filosofia a covare risentimento e una ragazzina vivace – destinata a essere mia madre – che nascondeva i fumetti sotto i libri di testo. Durante la guerra, la libreria a muro era stata una dispensa segreta dove stivare le provviste all'insaputa dei soldati ma ora c'erano solo file di volumi inutilizzati, romanzi estivi e raccolte di filastrocche infantili. Le ciotole piene di conchiglie sono coperte da uno strato di polvere e, se ne avvicinassi una all'orecchio, non sentirei più il rumore delle onde che ormai sono troppo remote. Nemmeno io ricordo il suono della risacca, eppure c'è stato un tempo in cui mi piaceva andare alla spiaggia nelle mattine torride d'agosto, entrare in acqua e spiare il fondo, “fare la stella marina” trattenendo il respiro, con le braccia e le gambe allargate e poi tornare sulla sabbia, stendermi sull'asciugamano e leggere qualche pagina senza l'ossessione del lavoro da sbrigare. Già, “ossessione”... da un po' D non fa che spiarmi amareggiata «Devi farti aiutare! Stai davvero peggiorando, conosco qualcuno che potrebbe ...» La fermo sempre a questo punto perché so che nominerà Violante e la mia presunta debolezza, so che dirà che mi invento cose assurde per accusarla. Non voglio sentirmi di nuovo oltraggiata e umiliata. Vorrei solo che lei mi capisse ... ma adesso non conta più, almeno non nell'immediato. Stiamo per partire. Questo significa che non vedrò più l'orizzonte punteggiato di vele e non soffrirò più come un bambino povero in una pasticceria di lusso. È finita e forse, dopo le liti e i pianti, sarò io a riprendere il controllo della carta dei menù. Il mio corpo deformato potrebbe addirittura tornare a posto ... In fondo nulla è perduto: vivo in una città sulla costa e basta una mezz'oretta di treno per avere una piccola baia fatta di scogli, tranquilla e pulita. Quest'anno la bella stagione è cominciata in ritardo e sembra che durerà ancora per un paio di settimane.

Seduta di fronte allo schermo immobile, con le cuffie inserite nell'apposito foro, immagino un settembre mite e i ciottoli levigati che rotolano a riva sotto i miei piedi.

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