martedì 3 aprile 2012

NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI


Ogni bambino dovrebbe conoscere a storia di Enaiatollah Akbari è una di quelle che. Perché il nostro mondo sta cambiando rapidamente e non è più possibile fare una netta distinzione tra un “noi” chiuso e definito e un “loro” generico e barbarico … Non che una separazione definitiva sia mai esistita: le migrazioni e il meticciato sono fenomeni innati nella natura stessa dell’uomo, nomade per vocazione. Oggi i mezzi di comunicazione sembrano affievolire certe differenze e ridurre le distanze e se non ci sono più frontiere ben tracciate, allora non possono esserci nemmeno “stranieri”, ossia persona esterna. Lo spazio si è davvero ristretto? Leggendo il libro di Fabio Geda non si ha quest’impressione. Il viaggio è pieno di fatti e di volti e ha i tempi sono dilatati dell’epica orale: dal Medio Oriente all’Europa, dall’Afghanistan alla Grecia, fino all’Italia; da una realtà all’altra in un arco che man mano si arricchisce di sfumature fino ad abbracciare una visione d’insieme. Enaiat si muove in un sottobosco in cui i poveri, i clandestini, gli estranei sono trattati come immondizia, ma restano sempre piccoli scampoli di serenità; da una valle insanguinata dalla brutalità antica delle rivalità etniche alle cave di pietra iraniane, dai vicoli odorosi di Istanbul all’Atene delle Olimpiadi che, adesso come un tempo, sfavilla grazie alla fatica di migliaia di nuovi schiavi.
La fine dell’avventura, nello Stivale, pare quasi una fiaba ma non cancella le voci lontane, i morti rimasti sulle montagne – uccisi dalla sete nel doppiofondo di un camion, inghiottiti dalla tempesta nel Mediterraneo – e non nasconde la grettezza del sistema burocratico italiano che vuole ad ogni costo allontanare l’Altro, negarlo, rinchiuderlo dietro a solide porte sprangate. Ad accogliere il protagonista non sono le istituzioni, che prevedono la reclusione per chi non ha commesso reati, ma una generosa famiglia comune che non ha dimenticato il valore insostituibilmente universale dell’umanità.

Arrivata all’ultima pagina, avrei tante domande da porre all’autore e al coraggioso ragazzo protagonista. La prima curiosità è di ordine metodologico e forse riguarda il giornalismo in senso generale. Per quanto diversissimo nei tempi, nei modi e nelle circostanze, il viaggio di Enaiatollah mi ricorda le disavventure di Luis Alejandro Velasco, il naufrago intervistato da Gabriel García Márquez dopo che era stato alla deriva per dieci giorni nell’Atlantico. Quanto delle parole riportate nel libro è la fedele trascrizione della testimonianza diretta e quanto è dovuto allo stile dello scrittore di mestiere? García Márquez parlava di “dono” della narrazione; e mi è sembrato di percepire lo stesso potenziale nelle righe poetiche e sincere di “Nel mare ci sono i coccodrilli”, ma qui sorge un problema che l’articolista colombiano non aveva avuto col suo illustre ospite: la lingua. Come lo stesso Geda fa notare a un certo punto, Akbari ha dovuto abbandonare la propria madrelingua e oggi si esprime, socializza, magari addirittura sogna, in italiano. L’Italia è diventata la sua nuova patria, un luogo in cui trovare rifugio e accoglienza … Tornare indietro, all’accento conosciuto nell’infanzia significa semplicemente risvegliare ricordi assopiti e brucianti o, al contrario, è un modo per ritrovare sé stesso e sviluppare una coscienza critica?

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