Jack White è rinato molte volte. Originario di Detroit, cresciuto ascoltando gli Stooges e il buon blues, oggi vive a Nashville, la culla del country. È un vero artigiano del rock, che si veste come un divo anni Quaranta, adora i vinili e si dichiara lontano dal mainsteam. Ispirandosi agli artisti afroamericani del primo Novecento, ha saputo rielaborare le radici della musica con un sorprendente eclettismo, passando dal rockabilly swing alla Elvis (I’m shaking)a un soul che sembra citare la magia di Son of a preacer man grazie alla collaborazione con Ruby Amanfu, splendida voce di origine ghanese (Love interrumption). Blunderbuss – primo album solista firmato solo da Jack, che suona chitarra e basso, organo, piano, batteria e persino xilofono! – è tutto ciò che i fan vorrebbero sentire. Come l’antico cannone del titolo, le canzoni di questo disco hanno un’eleganza che promette un’esplosione. Ci sono le atmosfere rarefatte di On and On accanto alla perla quasi classica di Hypocritical Kiss, ma non potevano mancare i pezzi più diretti e immediatamente catchy che riportano alla produzione targata White Stripes, promettendo di farvi saltare sul letto (Sixteen Saltines, primo singolo estratto) o di riportarvi dritti al mondo spagnoleggiante di Icky Thump (I Guess I should go to sleep), per poi entrare prepotentemente nei territori del garage /alternative blues alla Black Keys (Freedom at 21), che lo stesso Mr. White ha collaborato a sdoganare in tempi non sospetti.
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