Mi chiamo Aurora. Vivo dentro una teca di vetro, come un pesc [ … E guardo il mondo da un oblò. Mi annoio un po' ...]
Ogni giorno invento piccole commissioni da sbrigare nel quartiere. Mezz’ora d’aria e d’igiene mentale.
Se finisco presto, rimango qualche minuto appoggiata a un muro e spio il viavai di persone indaffarate e la fila di macchine che sale verso la collina. Chiudo gli occhi. I raggi del sole mi sfiorano. Ancora una volta è come fare snorkeling senza maschera: le palpebre arricciate per non far passare il sale, i sensi rallentati dalla resistenza del peso specifico.
Da un po’, tutto è diventato un lavoro da suddividere in tappe che richiedono una miracolosa consapevolezza zen.
Per lavare i piatti bisogna infilarsi i guanti, schizzare una dose di detersivo verde-acido nella vaschetta di plastica da riempire d’acqua calda, prendere la spugnetta e usarla prima dal lato abrasivo e poi da quello morbido …
Per camminare: Attivare i muscoli delle gambe; Mettere un piede davanti all’altro; Calibrare il respiro contraendo e rilassando i polmoni; Dosare il ritmo in modo che il cuore continui a battere al suo posto, nella cassa toracica.
Ieri mi sarebbe piaciuto arrivare fino alla zona del vecchio mercato, accanto alla caserma. I banchi fatiscenti sono stati abbattuti e al loro posto hanno costruito un minuscolo spazio di porfido con graziose panchine finto-liberty. Pensavo di andare lì, alla fine della strada e sedermi a leggere un libro – l’ennesimo capitolo di un’avventura di pirati – ma si stava facendo sempre più tardi …
Nessun commento:
Posta un commento