martedì 25 dicembre 2012

MAWARU PENGUIN-XMAS




L’orologio sullo schermo segna già le 5:00 p.m. – “KYUU!” disse il Pinguino Numero Uno, sbriciolandosi in schegge di cristallo lucente.


Accendo una candela al lampone. Una lama anestetizza la tristezza di un’apocalisse mancata – “KYUU!” disse il Pinguino Numero Due. Vorrei che qualcuno mi avesse trovato salvandomi dall’oblio.

Sorseggio un tè caldo e nero nella nera solitudine intermittente delle lampadine sull’albero – “KYUU!” disse la piccola Numero Tre, tricottando la sciarpa rosa del Destino.

Annullo il dolore con il rumore di una compilation poco natalizia. – “KYUU! KYUU!” disse Esmeralda, la numero quattro, preparando una biglia esplosiva per cancellarmi la memoria.



Poi miracolosamente il campanello gira trillando, appena udibile tra le onde distorte «Questa sarebbe una canzone d’amore perfetta!» Meg è sulla soglia illuminata.

È un susseguirsi di baci e abbracci e applausi.

Improvvisamente sono circondata di gente e per un attimo non sento il vuoto. Quel vuoto illegittimo, che aspetta in un angolo pronto a strisciare fuori invadendomi.

Nuovi amici, nuovi visi e discorsi animati; ma non ci sono le facce note, il conforto di sapere che il passato esiste ancora, relegato in un cassetto, e che non ha portato solo sofferenza.

Nemmeno Josh è venuto (nome di risacca e voce di fumo).

Eppure ieri sera mi era parso che indicasse proprio me, mentre cantava le antiche canzoni grunge del nostro paleolitico musicale.

Eppure gli avevo anche ricordato l’appuntamento.

Il mio telefono resta in silenzio. Nessun avviso di messaggio in arrivo.

Lascio che una Wiston Light si consumi a metà nel posacenere e apro la porta per fare gli auguri alla foto di K appesa al battente in versione Santa Claus.

Norman e Momoka stanno salendo le scale in una nuvola di tulle e jabots e riempiono la serata della gioia delle visite inaspettate, fluttuando dagli anime da consigliare alle tesi sull’esistenzialismo. Persino il ragazzo di Megami sembra preso come Socrate nell’agorà ateniese, e si accalora parlando del valore filosofico dei fughi, che diventano velenosi se finiscono sotto zero. Di solito LockE è una persona più schiva ma l’effetto folla dello “ultimo shopping” e qualche bicchierino di grappa, sciolgono la lingua e le inibizioni. È piacevole buttar lì una frase ogni tanto e farsi scorrere addosso le parole, ma gli spettri sono sempre pronti a colpire.

«Ti vedo meglio. Due anni fa eri davvero troppo magra!» “Che significa?” “Ti prego Brandon, fermati qui, non aggiungere altro”. D’accordo forse un po’ di tempo fa non avrei resistito a un party per nove ore consecutive, forse non sarei riuscita a sorridere con la costanza di una Monnalisa cyberpunk, ma non so quanto valgono la libertà e tutto il futuro che mi sono giocata.

«Devi fregartene degli specchi e romperli tutti!» Gabriela mi stringe forte contro il suo petto che profuma di cucina e fiori di stoffa. Poi ricomincia a parlare in portoghese con un bimbetto di undici mesi (l’ospite più giovane che abbia mai avuto) – è una cantilena dolce, pioggia armoniosa sul tetto.



Passo leggera tra i tavoli imbanditi. – “Cosa succederebbe se mangiassi un tramezzino vegetale?” “In fondo non contiene grassi animali …” “Cosa succederebbe se …” . – “KYUU! Mi rivolgo a te che non otterrai mai niente dalla vita” disse la Bambina Anatroccolo travestita da Principessa dei Girasoli, sussurrando nella mia testa.

Avrei desiderato un principe che spezzasse le sbarre della mia gabbia d’argento morto. Se questo fosse stato un mondo perfetto, mi avrebbe scelto infilandomi al dito un gettone di plastica da luna park, e io mi sarei addormentata, innocentemente aggrappata al suo collo e sarei partita con lui su di uno splendente cavallo da giostra, appoggiata alle finiture dorate, al bianco vintage del dorso di legno – monotono dondolio di un organetto francese sulla storia che si sfilaccia in petali cremisi.

Visualizzo la mia bestiolina-guida e scivolo. “KY-UUUUUUUUUUUUUUUUUUU!”



Mi scuoto e sono sempre davanti a un buffet estraneo. Azzardo una piroetta visuale per individuare Cassy, persa in un crocchio di donne armate di spumante e convenevoli.

Anch’io adesso sono capace d’indossare una corazza e di calarmi nel ruolo della padrona di casa. Volteggio e afferro il capo di una conversazione sciolta. Posso addirittura pensare che sto bene. E, in effetti, sto bene perché ogni gesto d’attenzione chiude un buco dell’anima, ma qualcosa si strappa in profondità e lascia vedere un oceano oleoso di errori.

“I Love You All”

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