mercoledì 26 febbraio 2014

THE HAT TRICK


Una donna con un largo cappello di paglia rosso entra in ufficio, ostentando pretese di nobiltà dietro gli occhiali scuri. «Uscite un attimo» Jane diventa spietata come Miss Minchin, la sua voce è come il ferro d’inverno. Accampate sulle scale di marmo, io e Ondine sappiamo che è solo l’ennesima artista venuta a piangere miseria su un assegno scoperto. Siamo due cuccioli senza famiglia.
Ho lasciato del lavoro a metà a lampeggiare orfano sullo schermo del computer: “Voglio una scheda in cui poter citare Russell Drysdale … Cioè, qualcuno ha mai sospettato che ci fossero dei pittori addirittura in AUSTRALIA?”  Qualche volta mi capita di pensare in maiuscole ma non mi piace essere costretta a proseguire un compito senza fine, impossibile quanto la tela di Penelope. Quando rientriamo provo a ribellarmi al mio triste destino di astratte macchie d’umido trasformate in quadri.
«Sei fortunata! Tu riesci a scrivere un testo in un’ora; e poi pensa che a settembre ci sarà un vero catalogo d’arte con il tuo nome stampato sopra!» «…» Mi hanno insegnato la politica della non-reazione. «Io vorrei essere te, anzi mi farei la plastica per essere Scarlet, la Tessitrice di Storie» La mia smorfia è amara «Non ti conviene».
Lei non sa che per essere me bisogna convivere con una folla di eteronimi che sgomitano, gridano,
piangono, ridono. Per essere me bisogna accettare tutto il pacchetto. Se vivessi in un Paese Incantato, avrei un cilindro matto con dentro un portale dimensionale per andare in tutti i reami esistenti e invisibili e trovare oggetti rari. Ma sono qui, bloccata per sempre e Alissa – la principessa perfetta sulla quale ricadevano tutte le aspirazioni – sembra morta, congelata dal Sortilegio di Cent’Anni di Solitudine.

Forse dovrei spiegare, fare un esempio, perché Jane desista dal suo folle progetto chirurgico.
Ieri ho proposto a Cassy di fare un viaggio insieme. Come una bambina felice che non pensa alle conseguenze sillabavo mete desiderabili contando sulle dita e a ogni nuovo punto sulla carta geografica mi scindevo un po’ di più. Erin parlava con il suo sorriso di fiori: «Sarebbe bello andare a Kyôto e poi puntare verso sud. A Okinawa la sabbia è bianca e fine. E poi lì c’era una popolazione diversa da quella delle isole principali: i monumenti sono molto interessanti e c’è persino un festival folkloristico in agosto».  L’eccitazione cresceva e modificava i miei gesti e facendo intervenire Malva Marina, la bambina abbandonata dal poeta-marinaio: «Il Messico sì che sarebbe bello! L’altra volta, due eoni fa, con il tour organizzato abbiamo visto solo un assaggio della capitale ma sono sicura che ci sarebbero migliaia di posti da visitare: la cattedrale, il Museo dell’Antropologia, la casa di Diego & Frida (e quella di Trotskij lì vicino) … e poi le opere dei muralisti … » 
L’espressione di mia madre si è incrinata fino a far comparire le rughe di D: «Ti sei dimenticata che sei Mary Ellis? Non possiamo andare da nessuna parte portandoci dietro una cosa del genere. Sarebbe difficile in Italia, figurarsi all’estero!» Il mio sguardo si è spento subito (mi pare di essere una bambola rotta), ho chinato la testa e sono tornata Liz, la Silente. In questa forma, il nome è simile a quello di una sirena muta, che si esprime modulando in gola i suoi suoni armonici … Ma dovreste sentirla suonare l’organo con le sue dita celestiali coperte di squame. Persino gli artigli da arpia dei suoi piedi posticci non fanno paura. Bando alla tristezza: in fondo è un povero mostro costretto a nuotare in cerchio nella fontana della chiesa!

Potrei raccontare questo a Jane, ma forse lei non capirebbe. Potrei dirle che non importa quanto sia tardi: arrivando in una casa buia, i giri della serratura bruciano come coltellate, e che aprendo la porta sembra quasi che la sera ti entri dentro. Ma non basterebbe a chiarire il motivo dell’odio di D. Sono stata io a crearla dal vuoto, plasmando un fantasma con le mie e le sue paranoie, le mie e le sue sofferenze. Non potevo aspettarmi nulla di diverso. Raccolgo i resti dell’amore perduto e tiro avanti.

Sospiro. Alzo le spalle (inutile lamentarsi).

Fisso la finestra nera del pc. Muovo il mouse e il documento ricompare splendente. Le mani ricominciano a correre sulla tastiera. Lentamente mi riempio gli occhi delle lettere che si allineano sulle righe. Se conoscessi la formula giusta, le parole si materializzerebbero in spirali azzurre capaci di attaccare i nemici, costruire barriere e curare ferite. 

http://youtu.be/5ZaZaWcdtbY

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