Una donna con un largo cappello di paglia rosso entra in
ufficio, ostentando pretese di nobiltà dietro gli occhiali scuri. «Uscite un
attimo» Jane diventa spietata come Miss Minchin, la sua voce è come il ferro
d’inverno. Accampate sulle scale di marmo, io e Ondine sappiamo che è solo
l’ennesima artista venuta a piangere miseria su un assegno scoperto. Siamo due
cuccioli senza famiglia.
Ho lasciato del lavoro a metà a lampeggiare orfano sullo
schermo del computer: “Voglio una scheda in cui poter citare Russell Drysdale …
Cioè, qualcuno ha mai sospettato che ci fossero dei pittori addirittura in
AUSTRALIA?” Qualche volta mi capita di
pensare in maiuscole ma non mi piace essere costretta a proseguire un compito
senza fine, impossibile quanto la tela di Penelope. Quando rientriamo provo a
ribellarmi al mio triste destino di astratte macchie d’umido trasformate in
quadri.
«Sei fortunata! Tu riesci a scrivere un testo in un’ora; e
poi pensa che a settembre ci sarà un vero catalogo d’arte con il tuo nome
stampato sopra!» «…» Mi hanno insegnato la politica della non-reazione. «Io
vorrei essere te, anzi mi farei la plastica per essere Scarlet, la Tessitrice
di Storie» La mia smorfia è amara «Non ti conviene».
Lei non sa che per essere me bisogna convivere con una folla
di eteronimi che sgomitano, gridano,
piangono, ridono. Per essere me bisogna accettare tutto il
pacchetto. Se vivessi in un Paese Incantato, avrei un cilindro matto con dentro
un portale dimensionale per andare in tutti i reami esistenti e invisibili e
trovare oggetti rari. Ma sono qui, bloccata per sempre e Alissa – la
principessa perfetta sulla quale ricadevano tutte le aspirazioni – sembra
morta, congelata dal Sortilegio di Cent’Anni di Solitudine.
Forse dovrei spiegare, fare un esempio, perché Jane desista
dal suo folle progetto chirurgico.
Ieri ho proposto a Cassy di fare un viaggio insieme. Come
una bambina felice che non pensa alle conseguenze sillabavo mete desiderabili
contando sulle dita e a ogni nuovo punto sulla carta geografica mi scindevo un
po’ di più. Erin parlava con il suo sorriso di fiori: «Sarebbe bello andare a
Kyôto e poi puntare verso sud. A Okinawa la sabbia è bianca e fine. E poi lì
c’era una popolazione diversa da quella delle isole principali: i monumenti
sono molto interessanti e c’è persino un festival folkloristico in agosto». L’eccitazione cresceva e modificava i miei
gesti e facendo intervenire Malva Marina, la bambina abbandonata dal
poeta-marinaio: «Il Messico sì che sarebbe bello! L’altra volta, due eoni fa,
con il tour organizzato abbiamo visto solo un assaggio della capitale ma sono
sicura che ci sarebbero migliaia di posti da visitare: la cattedrale, il Museo
dell’Antropologia, la casa di Diego & Frida (e quella di Trotskij lì vicino)
… e poi le opere dei muralisti … »
L’espressione di mia madre si è incrinata fino a far
comparire le rughe di D: «Ti sei dimenticata che sei Mary Ellis? Non possiamo
andare da nessuna parte portandoci dietro una cosa del genere. Sarebbe
difficile in Italia, figurarsi all’estero!» Il mio sguardo si è spento subito
(mi pare di essere una bambola rotta), ho chinato la testa e sono tornata Liz,
la Silente. In questa forma, il nome è simile a quello di una sirena muta, che
si esprime modulando in gola i suoi suoni armonici … Ma dovreste sentirla
suonare l’organo con le sue dita celestiali coperte di squame. Persino gli
artigli da arpia dei suoi piedi posticci non fanno paura. Bando alla tristezza:
in fondo è un povero mostro costretto a nuotare in cerchio nella fontana della
chiesa!
Potrei raccontare questo a Jane, ma forse lei non capirebbe.
Potrei dirle che non importa quanto sia tardi: arrivando in una casa buia, i
giri della serratura bruciano come coltellate, e che aprendo la porta sembra
quasi che la sera ti entri dentro. Ma non basterebbe a chiarire il motivo
dell’odio di D. Sono stata io a crearla dal vuoto, plasmando un fantasma con le
mie e le sue paranoie, le mie e le sue sofferenze. Non potevo aspettarmi nulla
di diverso. Raccolgo i resti dell’amore perduto e tiro avanti.
Sospiro. Alzo le spalle (inutile lamentarsi).
Fisso la finestra nera del pc. Muovo il mouse e il documento
ricompare splendente. Le mani ricominciano a correre sulla tastiera. Lentamente
mi riempio gli occhi delle lettere che si allineano sulle righe. Se conoscessi
la formula giusta, le parole si materializzerebbero in spirali azzurre capaci
di attaccare i nemici, costruire barriere e curare ferite.
http://youtu.be/5ZaZaWcdtbY
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