mercoledì 2 gennaio 2013

KÔHSKU UTA GASSEN - The Red & White Song Battle




TRE … DUE … UNO!!!


L’ulcera di K grida rabbiosa contro gli squallidi trenini di Carlo Conti in diretta da Courmayeur, circondato da starlet in reggiseno e finte brasiliane “cacao meravilhao”.

Disperazione e angoscia dal fondo del suo stomaco.

Tutto l’amore del mondo in quegli occhi così fottutamente blu.



Come as you are /As you were/ As I want you to be.

… Come on baby, light my fire!



«Comunque per conto mio questa non è musica» La critica di Thelma arriva ovattata da dentro il fagotto di flanella di una vestaglia poco cerimoniale.

Stringo la mano di Cassy per non replicare subito con un tono troppo sgarbato. Quando ho acceso il computer percorrendo i perigliosi canali della connessione mobile, lei si è seduta accanto a me seguendo a stento le parole del karaoke che scorrevano sul mio piccolo schermo, sfidando uno Zucchero sempre più etilico e Gigi D’Alessio imbacuccato di pelo catarifrangente.

Sulle note di un rock di fine d’anno, lei è tornata e questa è la nostra personale Kôhaku Uta Gassen, la nostra battaglia canora rossa e bianca per abbattere la bruttezza del mondo.

«I Nirvana e i Doors sono stati fondamentali nella storia della musica perché hanno saputo trasmettere i sentimenti di un’intera generazione»

La risposta alla provocazione non può essere che la compiutezza di un sussidiario e, anche se K non voleva essere considerato un eroe, archivio la vittoria e lo inserisco mentalmente nel mio pantheon mentale.

Intanto provo a immaginare il calore elettrico di un kotatsu e la visita mattutina in un tempio a 9.453 chilometri da qui, dove le luci esplodono in una pioggia di petali di fuoco – i miei desideri legati al filo di un palloncino trasparente…

Ma se i megascreen di Shibuya sono troppo lontani, potremmo almeno salire in macchina e correre a Monte-Carlo per vedere le decorazioni splendenti nei giardini del casinò e le signore in abito da cocktail che scommettono i loro diamanti sul numero tredici, sotto il segno del Serpente Senza Piume. Se fosse solo un sogno, io potrei mangiare polpette lunari di riso e torroncini ricoperti di cioccolato mentre Cassy, con i capelli lunghi e neri scompigliati dal vento, alzerebbe un calice di champagne verso il futuro.

E invece siamo bloccate in una dimensione sbagliata in cui io disseziono con cura millimetrica i tre gamberoni che mi sono concessi dalla freddezza dei numeri, e lei getta un’occhiata distratta alla pornodiva che sculetta in tv nel suo vestitino da cotechino di lamé.



Una preghiera triste mi chiede perché questo luogo così quieto, che era stato un rifugio, oggi porta soltanto malinconia: «Continuo a rivedere i miei genitori seduti in cucina, mia sorella immersa in uno dei suoi noiosi libri di filosofia … Tutto è perduto!» Persino il paesaggio è cambiato: nell’orto, i limoni che d’estate sono di un bel giallo vivo, sembrano vecchi attaccati a una flebo dal letto di un ricovero e sopravvivono all’inverno grazie alla loro buccia dura, livida, arcigna. La fascetta di terreno sotto la strada, punteggiata di sacchetti putridi, si è trasformata in una discarica. I ricordi sono l’unica scintilla nelle pupille spente.

Ascolto Thelma e i suoi amici recitare una litania di acciacchi e penso ai centootto rintocchi delle campane buddhiste. Eccolo, il nuovo anno, sul ponte del Sumida-gawa.

Resisteremo alle tentazioni materiali per raggiungere il paradiso? O magari, più semplicemente, dovremmo arrenderci e assaporare la gioia di un edonismo transitorio? Beh, se questa è la realtà … “Meglio bruciare che spegnersi lentamente”, scrisse una volta un poeta canadese.

“Meglio bruciare che spegnersi lentamente”, scrisse una volta un ragazzo spaventato.

http://youtu.be/wEnwU5UGVYs

http://youtu.be/6O6x_m4zvFs

http://youtu.be/LQ123T3zD2k


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