Per un minuto di vita
breve / unica, a occhi aperti / Per un minuto in cui vedere / nel cervello
piccoli fiori / che danzano come parole sulla bocca di un / muto Alejandra
Pizarnik (scrittrice argentina).
In farmacia spio il cartellone
pubblicitario dell’ennesima pozione miracolosa “completamente naturale”. Leggo
il bugiardino che promette di annullare interi banchetti pantagruelici e
intanto provo a chiedere al commesso se ci sono basi scientifiche che mi
consentano di credere alle magie della Fatina dei Denti. Lui tentenna – gli
occhi azzurri, i capelli cinerini, il camice bianco con la croce cucita sul
taschino: somiglia a un airone avvolto dalla nebbia. Rigiro la scatola tra le
mani. La poso ed esco con una sensazione amara in gola. Devo tornare a casa
prima che Cassy vada a lavorare. Nonostante tutto mi piacerebbe che mi vedesse
indossare la mia nuvoletta di raso cinese da cerimonia.
Lei sta dormendo mentre mi lavo e
calo d’all’alto l’armatura di sette sottogonne, ma i veli emettono un debole
fruscio quando entro in soggiorno e sfioro una pila di libri ancora da leggere.
«Vuoi che ti guardi?» le pupille faticano a trovare un punto concreto, mediando
nell’incertezza sfocata della scena sdoppiata; le sue dita sono un ragno che
tasta il tavolino in cerca degli occhiali.
S’illumina appena decifra le coordinate del mondo. «Sembra proprio una
prima comunione» Non so se esserne felice. Non so se era questo che avevo
immaginato. Per un secondo, la gioia esita agli angoli della mia bocca. «Avresti
preferito che dicessi che sembri una sposa?» «Sì, forse» Sarebbe bello essere
una principessa accompagnata dal Re sulla passeggiata in riva al mare, con le
persone che suonano i clacson delle macchine e lanciano petali profumati (onde
in sottofondo e sale nei capelli).
«Ci vediamo stasera, mamma». Mi stupisco io stessa: di solito
non la metto in questi termini, ma ho bisogno di una carezza, ho bisogno di
trattenerla ancora un po’ in questa bolla d’affetto sottinteso. L’ape-madre mi
concede un momento strappato alla
monotonia della routine quotidiana – “su trajín” direbbe una poetessa di Buenos Aires, con il tintinnio
mutevole di una nobile lingua prestata. «Dai, che la mia sveglia è già suonata
da un pezzo!»
L’ufficio l’aspetta: con i
clienti ipocondriaci e pigri, la scrivania che sa di tabacco e le stampe di
Ligozzi arpionate ai muri.
Io sarò l’attrazione del sit-in
che l’Associazione ha organizzato di fronte alla cattedrale.
Ammiro la forza di Noélia, la presidentessa. Ha la pelle
ambrata che ricorda una mansueta nepenthes carnivora e una vitalità che sgorga
dall’energia di gesti smisurati. Ha un cuore rosso appuntato sul petto e un
occhio nero di trucco per attirare l’attenzione dei passanti. «Troppe donne
vengono uccise, nel silenzio generale!» Protesta con una passione sessantottina
e la morbidezza dell’accento esotico piegata alla veemenza delle sollevazioni.
Presentandosi al microfono, parla
con naturalezza di sua figlia assorbita dalla voracità di una cellula imitativa
(Penso: “La danza dei linfoblasti immaturi avrebbe un che di armonioso, se non
fosse mortale”). Ascoltando gli accordi delle parole, tocco d’istinto le
cicatrici lasciate sui miei polsi dall’indecisione: “Io non sarei stata in
grado di vincere la disperazione dell’assenza”.
Alla fine dell’intervento di
Noélia, mi muovo tra i curiosi per andare a salutarla. È piccola di statura ma
sprizza scintille elettrostatiche, in mezzo a Ife e Gabriela. Una è altera,
scura, bella come una Regina africana nel suo completo nigeriano a motivi
viola; l’altra è appena tornata dal Brasile e ha una grossa rosa di stoffa blu
attaccata al bavero della giacca. Ho l’impressione di sfogliare le
illustrazioni di una leggenda del candomblé. Mi avvicino, spezzando la
perfezione dell’insieme.
«Come stai bene vestita così,
ottima idea!» «È un omaggio a Pippa Bacca …» dal loro silenzio educato capisco
che non hanno colto la citazione. «Era un’artista italiana che è stata
violentata e ammazzata da un uomo, mentre faceva l’autostop in Turchua. La sua
ultima performance itinerante voleva promuovere la pace e la fiducia nel
prossimo» Spiego sorvolando sui dettagli che non riesco ad afferrare nella
memoria (Penso: “A volte la vita dimostra una macabra ironia”). Era partita da
Milano seguendo un’utopia dissestata sull’atlante stradale. Non era mai
riuscita a raggiungere le cupole dorate di Gerusalemme.
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