venerdì 19 marzo 2010

RED AMARYLLIS

Diciannove marzo sul calendario. L’aria inizia appena a scaldarsi di sole. Scenderò al supermercato a comprare una Beck’s da stappare sul selciato del Porto Antico, da versare nell’acqua ferma di pesci rovesciati. Vorrei... Vorrei un sogno d’Arizona in cui esistano sogliole volanti con un solo punto di vista, o carpe con un occhio divorato dall’ombra, ma tutto qui si sdoppia e persino le lenti scure dei miei Raiban non servono a schermarmi; troppa luce, limpida di vento. “Un attimo, please: Che Dio crei le nuvole!”
Quasi ora di pranzo per i comuni mortali. Mi arrampico sullo schienale di una panchina e faccio roteare mentalmente una sfera di vetro piena di farfalle. Assurdo? Nel mondo astratto dell’architettura tutto è un gioco equo e sostenibile, puzzle spezzato e ricomposto da L. Nella realtà in cui il telefono squilla all’alba dentro a fili sgualciti di sogno non si può negare nulla. Aspettando la primavera, riempirò la casa di lylium rossi. Macchie ramate sul bianco minimale del mio appartamento vuoto.

Mi ero ritrovata là per caso. Attendevo che loro entrassero nell’ufficio e guardavo fuori. Il mare era diverso, grigio e annoiato, con la consistenza oleosa di un dipinto. La porta si era spalancata e il panorama era scomparso di colpo, totalmente oscurato dai fianchi di Serena. La sua enorme bocca a forma di cuore si muoveva senza faccia: Devi solo venire con noi fino a Manchester. Te la senti, carina? Non mi era chiaro il perché avessero chiamato proprio me, non sapevo nemmeno dove avessero trovato i miei dati...
E poi lui.
Era rimasto in disparte, rannicchiato in un angolo, spettinato e smarrito. Un pigiama azzurro troppo leggero, lo sguardo di paura bianca di chi ha lottato con i fantasmi.
E ha perso.
Certo che ci vengo! Le date del tour erano state decise all’ultimo momento, in gran segreto. Soltanto piccoli club.
(Chris era nella sala bar a bersi una birra).
Lei mi aveva presa per un braccio. Il suo rossetto mi aveva sussurrato: Un pazzo lo ha aggredito e ha ammazzato la madre. Lo vedevo, in fondo alla stanza. C’era chi diceva che fosse morto; forse si era solo rinchiuso per disegnare in pace, ma in fondo le due cose si equivalevano, no? Di sicuro non era più uscito da quel vicolo buio: sempre la stessa scena in loop, come in una bobina difettosa.
Tutto OK, bastava isolarlo dal resto dell’universo, preservare lo spesso strato di bambagia che lo avvolgeva in una rassicurante camera anecoica.
Ma non puoi calcolare al millimetro le mosse delle fan impazzite.
La divisa delle cameriere del hotel aveva un che di porno addosso a quella tizia alta un metro e ottantacinque, una quinta di reggiseno a balconcino che correva squittendo a braccia tese, con propositi peluche-sadomaso. Tette puntiagude da cui avrebbe potuto essere sparato un missile. Il mio compito era quello di proteggerlo, giuro. Anche se il cartellino BODY GUARD attaccato al taschino non mi si addiceva per niente.
Non ci avevo pensato due volte: avevo afferrato lunghi capelli da bambola giapponese, sbattendole la testa contro la parete. Se fosse stato un racconto cyberpunk, a quel punto dalla ferita sarebbero usciti mille cavi scintillanti e non puntini nebulizzati sull’intonaco: biologicamente grumosi, materialmente grigio-scarlatti.
Le mani sulle orecchie, un urlo muto.
Lo avrei abbracciato.
Ma tremava... Tremava come una foglia. E avevo pensato incoerentemente che nel posto in cui sono nata c’è sempre vento e... Silenziosi e veloci. Uomini in unifome sanitario-mormonica avevano portato via la ragazza, sotto sirene intermittenti. (John Smith comes by ambulance) Settimane dopo avevo sentito parlare di prognosi riservata e terapia intensiva. Credo se la sia cavata, alla fine. Chissà come funziona il sistema medico inglese? Beh, comunque quella sembrava il tipo “groupie assicurata contro danni da gang bang”: le mie intemperanze da mamma-tigre dovevano essere parte dei rischi del mestiere.
Ero tornata in Italia senza problemi: solo qualche commento molto poco british sll’aereoporto e qualche ora alla dogana. (Avrei fatto meglio a non mettere gli anfibi e il collare per passare nel metal detector! ) Agenti pallidi e lattiginosi avevano frugato tra la biancheria sporca alla ricerca di qualsiasi sostanza non dichiarata e io mi ero seduta mansuetamente sul tavolino sistema-oggetti, addentando una mela verde-aspro.

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