sabato 9 luglio 2011

YOMIGAERIZZO IL MIO BLOG dopo un secolo.
Ecco il racconto che ho leto al sarau brasiliano dei Ragazzi Indoratori di Pillole il 18.6


Corsi integrativi

Paula si sveglia ogni mattina alle 7. Fa colazione con due polpette di riso pressato e una tazza di tè d’orzo. Non le dispiace il cibo giapponese, molto simile a quello che si mangiava a Londrina a casa dei nonni ma ancora non si è abituata al pesce. Vive in Giappone da cinque anni. All’inizio non andava a scuola, quasi non usciva, ma in quelle condizioni si sentiva frustrata: non poteva fare nulla a parte restarsene per ore a guardare il soffitto, stesa sul tatami. I programmi televisivi erano incomprensibili e persino i fumetti erano troppo difficili da decifrare. Per tre mesi non aveva frequentato nessuno. I suoi genitori lavoravano tutto il giorno in una fabbrica d’automobili e la sera non avevano molto tempo da dedicarle, così stanchi da non riuscire nemmeno a parlare tra loro. Per un po’ aveva valutato l’idea di andare a lavorare. Aveva letto alcuni annunci appesi nella bacheca dell’agenzia Hello Work e aveva chiesto anche a un’emprenteira gestita da due boliviani, ma non l’avevano assunta perché “era troppo giovane” (anche se lei sapeva di ragazzi di tredici anni che avevano trovato un posto). Così aveva tentato di dare una mano sbrigando le faccende domestiche.
Suo padre si era informato alla una scuola privata brasiliana: voleva che sua figlia crescesse orgogliosa delle sue radici e non dimenticasse il significato del Sete de Setembro. Ma forse sarebbe stato meglio integrarsi, cercare di capire. Certo, il progetto era di restare solo un anno, guadagnare velocemente abbastanza soldi e poi tornare a casa. Alla fine l'aveva iscritta alle medie in un istituto pubblico, ma nessuno aveva protestato troppo né l'aveva davvero sgridata, quando Paula aveva cominciato a collezionare una lunga serie di assenze ingiustificate. I primi tempi, era stato un disastro. I compagni si avvicinavano per chiederle qualcosa, ma lei non capiva quasi niente e li guardava disorientata. Dopo un po’ le era parso di distinguere qualche furtiva occhiata di scherno e qualche risolino trattenuto: non era una bella sensazione. Durante la pausa-pranzo comprava qualcosa alla mensa – perché sua madre spesso dimenticava di prepararle il bentô – oppure si accontentava di un panino o di una merendina del distributore automatico, e se ne stava per un’ora da sola in un angolo della classe, senza poter chiacchierare con nessuno, mentre gli altri formavano dei gruppetti e univano i banchi, o mangiavano all’aperto sul tetto-terrazzo dell’edificio, nella bella stagione.
Le cose erano cambiate quando erano arrivati gli zii dal Brasile. I suoi cugini abitavano lì accanto, altre famiglie sudamericane si erano trasferite richiamate dal passaparola. E alcuni volontari avevano fondato un’associazione per insegnare il giapponese ai bambini degli immigrati. Il corso estivo costava solo mille yen, e Paula aveva cominciato ad andare regolarmente agli incontri il venerdì pomeriggio. Lì tutto era più semplice: s’imparava attraverso i giochi inventati dai coordinatori o utilizzando dei testi facilitati ed era piacevole stare insieme ad altri brasiliani, riposarsi per un po’ dalla fatica di comportarsi “alla giapponese”. Grazie alla proverbiale creatività dei latini, lentamente i ragazzi si erano scavati una piccola nicchia. All’apertura del secondo anno, qualcuno aveva presentato la domanda per fondare un club scolastico lusofono e sorprendentemente tanti ragazzi si erano iscritti, spinti forse dalla curiosità e da una superficiale conoscenza del Brasile. Una volta rotto il ghiaccio, tutto era andato per il meglio: alle due del pomeriggio, dopo aver pulito i locali e le stanze, ci si riuniva soprattutto per studiare la cultura brasiliana, con i giapponesi che imparavano un portoghese musicale. Paula era felice di dare un contributo, le sembrava che quell'esperienza allargasse le sue frontiere culturali. Durante il festival scolastico, la storia di Curupira, difensore della foresta e degli animali, non aveva sfigurato accanto alle leggende shintoiste, che raccontavano di spiriti acquatici e silvestri. Ma presto erano nati dei dissapori. Fango dentro le scarpe da esterno lasciate in ordine dentro all’armadietto.
Aveva pensato che le solite prepotenti l’avessero presa di mira per vis della sua pelle color cioccolato, ma poi aveva scoperto che non era quello il problema (o almeno, non solo quello): un’amica le aveva confidato che c’erano delle persone invidiose del suo carattere estroverso.
Per fortuna da un po’ non succedevano più incidenti spiacevoli. Da quando era stato assunto un mediatore, Paula non era più stata vittima dell’ijime, il bullismo.
Il tempo è passato e Paula si trova ad un bivio decisivo, un passaggio verso l’età adulta, una sorta di palestra fatta di prove e ostacoli. Ad ogni gradino, una barriera da superare e un solo tentativo possibile: chi fallisce l’esame d’ammissione alle superiori è destinato alla catena di montaggio. Ormai il ritorno sembra una chimera e lei stessa non sente più la necessità di rivedere i paesaggi e i volti che popolano i ricordi della sua infanzia. La cosa buffa è che al momento di lasciare il Brasile aveva fatto una scenata, si era opposta, era quasi scappata di casa. Ora non le importa, ha trovato un luogo adatto a lei, un angolo di pace nella frenesia della vita quotidiana in Giappone.

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