mercoledì 26 giugno 2013

BLACK QUEENS, LONELY KING - Tales from Tenochtitlán #1


 


«Voglio farmi un tatuaggio grande, ma prima devo informarmi e farmi fare un preventivo». – Non so perché mi sono lasciata prendere dal gusto della provocazione.

«Chiederò a Brandon: lui conosce uno che è bravo anche a disegnare i visi». – Parlo a ruota libera, osservando la faccia di Phoenix cambiare colore «... E capisci – come dice una mia amica se Ponyo la fai male, poi sembra un uovo al tegamino con gli occhi. O un rospo con la faccia! ». E qui non siamo nella fiaba di Lily e il Principe Ranocchio. Lei sbotta, com’era prevedibile: «Ma perché vuoi rovinare il tuo corpo? Ma perché rifiuti la femminilità?» Lei a sessantenni si è tinta di biondo per scoprire una seconda giovinezza (matite colorate e storie take-away). Io non sono così: per un motivo ignoto, mi urta tutto ciò che ha a che fare con “quelle cose poco igieniche” e con la generale “meccanica dei fluidi”.

Mi sciolgo dal suo passo marziale. «Ok, basta. Chiudiamola qui» M’allontano da sola, lasciando indietro una minuscola figurina interdetta.

Eravamo andate insieme alla festa di un’amica brasiliana. Calore solare nonostante il freddo polare che spazzava i giardini marmorizzati. Un occhio d’argento malato brillava nel cielo di cobalto, invitando Cappuccetto a trasformarsi in Lupo.

Bastano pochi giri di bossa per animare la serata. Il locale si era riempito di gente «Siamo venuti dai cinque continenti! Ora sentiamo una canzone indiana» dice qualcuno nel microfono regalando il classico quarto d’ora di celebrità a tipo che vende rose e cappellini luminosi. S’improvvisa una coreografia bollywoodiana che sfocia in Volare (Oh-oh) e le mulatte si mescolano in cerchio a sontuose principesse africane con i loro abiti vivaci.

Vassoi speziati circolano sui tavoli ed io riempio due piatti di riso e fagioli neri, pollo peruviano e torta di maíz paraguya (che si chiama “zuppa”, ma “zuppa” non è).

Uscendo nella notte buia portavo fieramente le provviste per Cassy come fossero doni sacri, avevo i crampi e le dita viola ma non ho chiesto aiuto; però certe necessità s’impongono «Ci fermiamo un momento da Mc Donald’s, ché devo andare in bagno?»

L’odore di fritto sintetico mi aveva investito, saturandomi i pori. “Mio dio, non posso invidiare questi fighetti con i loro panini di plastica!”. Nella toilette una tipa si stava rifacendo il trucco pescando un lucidalabbra alla fragola da una trousse di Hello Kitty. “Ma dai! Avrà tredici anni!”  Sembrava una bambola in attesa di baci (più giù, ancora più giù!)

Ecco da dov’era partito il primo attacco della mia cortese accompagnatrice: «Dovresti curarti di più», … guardando il mio riflesso pallido nello specchio. «Sto bene così», … fissando il gorgo dello sciacquone in senso orario. Dovrebbero installare dei dispositivi sonori, come in Giappone: certi rumori sono troppo disdicevoli per una signorina! – Ci vorrebbe un coro di uccellini Disney o un brano di musica da camera.  

 

Comunque ora cammino lungo la striscia d’asfalto scuro portando offerte al mio idolo personale e immagino una palla rotolare nello sferisterio per decidere a chi sarà strappato il cuore. Ohi ohi, a quanto pare sono io ad aver pescato la paglietta più corta.

Brucerò sul rogo palpitante.  Bianco come la luna, il mio cappello

Eccomi travestita da dio del Destino.  Come l’amore rosso, il mio mantello

Non posso decidere: sono una prigioniera della Guerra dei Fiori. – Mi ha seguito senza una ragione, come un ragazzo segue un aquilone.

 

Prepara il coltello di ossidiana, sto tornando a casa.
http://youtu.be/wBecFeMzaPA

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