Ho cominciato a guardare l’anime di “Sakamichi no Apollon (Kids on the Slope)” per capire se valesse la pena di comprare il manga di Yuuki Kodama, vincitore del prestigioso premio Shogakukan; inoltre, la versione animata aveva dalla sua altri due assi nella manica: (1) si tratta di una storia breve, che si svolge in soli dodici episodi e (2) alla regia c’è un mostro sacro come Shin Watanabe!
Sin dalle prime puntate ho capito che la risposta alla mia domanda iniziale – almeno per quanto mi riguarda – è “No”, non vale la pena di comprare il fumetto, che sta per essere pubblicato in Italia. E non ne vale la pena non perché sia brutto, anzi è senz’altro un ottimo josei, ma il punto di forza di “Sakamichi no Apollon” è la colonna sonora curata da Yoko Kanno (“Escaflowne”, “Cowboy Beebop”, “Darker than Black” …), e che include pezzi insoliti e coinvolgenti legando i personaggi e sottolineandone le esperienze di vita.
La storia si apre sull’estate del 1966, quando Kaoru Nishimi si trasferisce a casa di suo zio, nel Kyûshû. È sempre stato un ragazzo introverso, che difficilmente legava con i compagni di classe. L’isolamento non è dovuto solo al suo carattere e ai suoi interessi, inconsueti per un adolescente: bisogna ricordare che in Giappone il bullismo è un fenomeno particolarmente diffuso e feroce, a causa del forte senso di coesione che si crea nei gruppi, tanto fra i ragazzi quanto fra gli adulti.
La sua situazione cambia radicalmente quando si avvicina a una sua compagna di classe, Ritsuko Mukae, che gli apre la porta dello scantinato del negozio di vinili gestito da suo padre in cui un gruppetto ragazzi si riunisce per delle jam session. . Così il timido Kaoru stringe amicizia con Junichi Katsuragi, il trombettista, e soprattutto con Sentarô Kawabuchi, il batterista, suo coetaneo.
Il riferimento più vicino per capire lo spirito di questo anime è senz’altro “Nana” ma se in quel caso le citazioni derivavano dal mondo del rock, qui il jazz è protagonista assoluto della vicenda, con rimandi espliciti già a partire dai titoli di ogni episodio: nella miriade di brani che compongono una soundtrack stellare spiccano “Moanin’” di Art Blakey, “Someday my prince will come” di Billy Evans e “My favorite things”, tutte dinamiche e veloci (molto più digeribili delle versioni originali, che ho subito provato ad ascoltare!); tanto accattivanti da rivaleggiare con il nascente brit-pop in stile Beatles proposto da un’altra band della scuola durante il classico festival della cultura.
Mentre il terzetto prova nel seminterrato (con il padre di Ritsuko che ogni tanto si unisce a loro suonando il contrabbasso), le relazioni tra loro si sviluppano in varie direzioni, mostrando la psicologia e le emozioni di ciascuno. Il paragone è ancora con “Nana”: nella celebre opera di Ai Yazawa si notavano chiaramente le sfumature shôjo ai (amore saffico) mentre qui c’è una continua velatura shônen ai (amore gay) che sicuramente farà felice una larga fetta del pubblico femminile appassionata di yaoi. Il rapporto tra Kaoru e Sentarô ha dei connotati che potrebbero in ogni momento scivolare nell’omosessualità ma quest’ambiguità è stemperata alla figura caricaturale di Seiji Matsuoka, un membro del club artistico che, cullando il sogno di diventare una star, forma un gruppo pop, con il gusto fashion per le divise che connotava i Fab Four di “Sergeant Pepper’s” e poi le band più o meno visual di matrice nipponica.
Con l’entrata in scena della bella e raffinata Yurika Fukabori, la situazione evolve come il più classico dei quadrilateri sentimentali con Kaoru innamorato di Ritsuko e Ri’ko infatuata del carattere scostante di Sentarô. A sua volta però, non essendosi accorto del suo interesse, Sentarô ha un vero e proprio colpo di fulmine per Yurika, sedotta dal tormentato Ju-nii.
Da questo punto di vista, quindi, nulla di nuovo, se non fosse per l’accurata introspezione che, mostrando il passato con una serie di flash-back, ci porta a conoscere le vicende personali di ognuno e a capirne le azioni.
Kaoru è geloso di Sen, non solo a causa di Ri’ko, ma anche per l’affetto che lo lega ai suoi fratellini e il calore che si respira nella sua casa, nonostante gli evidenti problemi economici. Tutto questo, infatti, è in apparente contrasto con la freddezza della famiglia dello zio di Kaoru, ricca ma scostante (con la cugina Mariko caratterizzata come la tipica viziata snob), ma si scopre che anche il percussionista ha sofferto la discriminazione dei suoi coetanei, essendo figlio di un soldato americano. La questione è particolarmente interessante nell’ottica antropologica e si riallaccia ancora allo spiccato senso di “unicità” del popolo giapponese, costruito secondo il mito dell’omogeneità etnica e culturale. Il meccanismo di esclusione / inclusione in base alle differenze somatiche è presente anche nei cartoni ambientati ai giorni nostri. Si pensi ad esempio a “Sayonara Zetsubô Sensei”, in cui Kaede, essendo bionda, alta e per metà inglese, si sente vittima dell’ostracismo dei suoi compagni e arriva a sdoppiarsi: da un lato Kaede – la perfetta donna remissiva giapponese – e dall’altro Kaere (che significa anche “Tornatene a casa!”) – spigliata e provocante come un’occidentale stereotipata.
In “Sakamichi”, il tema si riallaccia alla specifica ambientazione cronologica: gli anni Sessanta furono un periodo di ripresa per la società ancora traumatizzata dalla sconfitta bellica e l’opposizione al neo-colonialismo statunitense fu molto sentita a tutti i livelli, soprattutto tra gli studenti.
Il versante più propriamente politico è ben rappresentato dalla trasformazione di Junichi da sobrio ragazzo di periferia a universitario impegnato nelle aspre contestazioni della Tôdai. Pochi sanno che nel Sol Levante le agitazioni studentesche furono molto accese e addirittura antecedenti all’ondata europea del ’68. Infatti, le manifestazioni contro il “Trattato di Sicurezza” (che stabiliva la presenza di basi militari americane in Giappone), erano iniziate già nel 1960 con violentissimi scontri di fronte al palazzo della Dieta. Tra il 1967 e il 1968 – quando si svolge la storia dell’anime – le barricate erano arrivate a un punto veramente critico e i leader della sinistra giovanile coniugavano la protesta per i problemi interni al malcontento mondiale dovuto alla guerra in Vietnam. Le stesse tensioni tra adolescenti e istituzioni compaiono in uno dei cammei che compongono la trama di “Hyouka”, piccola perla dello studio Kyotô che ha appassionato il pubblico nella stagione 2012.
Tornando a “Sakamichi”, da alcuni dettagli, si deduce che Ju-nii viene coinvolto quasi per caso dalle cellule contestatarie e, proprio come il protagonista del romanzo “Boku-tte nani?” di Masahiro Mita (1977), in realtà asseconda semplicemente il suo personale bisogno di appartenenza. Anzi, per altri versi l’uso del jazz come strumento di narrazione autobiografica forse ricorda di più il percorso di crescita sociale e individuale di Tarô Watanabe, personaggio di Norwegian Wood e alterego di Haruki Murakami che, travolto dai cambiamenti che avvengono nel suo microcosmo privato, passa indifferente accanto alle lacerazioni collettive.
Mentre Katsuragi risolve così la ricerca identitaria, allontanandosi dai valori dei suoi genitori (solo per poi ricostruire un proprio nucleo famigliare lontano dal paese, insieme a Yurika), Sentarô abbraccia sempre più intensamente la fede cristiana, frequentando la chiesa con Ritsuko e portando sempre con sé un rosario, senza mai rinunciare alla sua batteria.
Anche in questa scelta narrativa c’è qualcosa d’insolito e interessante, dato che in genere l’aspetto religioso nei manga riguarda il buddhismo o lo shintoismo, svestendosi spesso di esoterismo sovrannaturale. Qui invece si mostra una comunità minoritaria (1,2% dei fedeli) che, ancora oggi mantiene alcune tradizioni suggestive come ad esempio il velo bianco indossato dalle donne durante le funzioni.
La scuola e la chiesa si trovano sulla collina e dominano il mare. A causa di questi scenari o forse per via del lavoro del signor Nishimi – comandante di una nave – vengono in mente alcuni film dello Studio Ghibli, da “Ponyo sulla scogliera” al recente “La collina dei papaveri”, con il quale la serie condivide la rivalutazione del passato, anche se nel caso di Gorô Miyazaki, la vicenda si svolge negli anni Cinquanta. Seguendo questo slittamento temporale, un altro possibile termine di confronto è il bellissimo film “Le voci della nostra infanzia” (“Furusato Japan”) di Akio Nishizawa, in cui un gruppo di ragazzi combatte le privazioni di un durissimo dopoguerra grazie alla forza coesiva della musica. Tuttavia, in entrambi i film, i tratti sono più morbidi e infantili e lo stile è simile alla fiaba, mentre in Sakamichi i toni e il segno sono più maturi e spigolosi.
Infine, resta da analizzare una sottotrama che s’intreccia e si perde nel procedere del filone principale. Quando Sentarô la incontra per la prima volta, Yurika fa parte del club di arte e quindi gli chiede di farle da modello per un dipinto a sfondo mitologico. Ecco in parte spiegato il misterioso “Apollo” del titolo originale che si perde nella traduzione inglese e che torna fugacemente anche nel nome del gruppo formato da Sen, Seiji e Maruo per il festival della scuola (“The Apollon”). Il quadro di Yurika ha l’impostazione di un’opera accademica ma le tonalità accese e vivaci di un disegno pop. Il richiamo è ad alcuni spunti artistici che compaiono in altri anime recenti, come per esempio le opere create da Rikako Oryô in “Psycho-Pass”, in cui c’è un costante riferimento alla lettura shakespeariana delle tragedie elleniche. Un simile approccio al mito come parabola descrittiva delle passioni individuali rimanda a “Corri, Melos” (Ashire, Melos), libera trasposizione animata del romanzo di Osamu Dazai all’interno di “Aoi Bungaku Series” (ep. 9-10); e in questo caso combacia anche la delicatezza con cui si sfiora il tema di un rapporto di amicizia maschile.
In definitiva Sakamichi no Apollon è un prodotto di altissimo livello tecnico e professionale, che però lascia straniti se lo si accosta ad altri titoli della scintillante carriera di Shin Watanabe (da Cowboy Beebop a Michiko & Hatchin). Ma probabilmente è solo una questione di gusti!
http://youtu.be/xOf3MVMPGOc
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