Primavera.
La città finalmente indossa i suoi petali rosa e pare
dimenticare lo smog.
Forse non questo non è il Giappone ma potrebbe benissimo
sembrare Arles – meglio accontentarsi e gioire di quei quattro pruni coraggiosi
in mezzo al cemento e al consumismo del centro.
Le ragazze scoprono le loro curve burrose al primo sole, i
ragazzi ridono come tacchini geneticamente modificati, osservando sguaiatamente
il passaggio indaffarato degli impiegati in pausa pranzo. Io aspetto di fronte
all’ingresso minimale del sushi bar, calcolando mille volte il valore numerico
di una mini porzione di gamberi crudi da asporto. È curioso che in giapponese
“gambero” e “serpente” siano così simili, con una semplice aspirazione di differenza.
Chissà che gusto ha la carne di una vipera viva, battuta con un bastone per
scacciare il veleno dal corpo.
Ansia.
Ondine e Jane sono in ritardo di due, tre, cinque, sette
minuti. Qualche brivido attraversa il cotone della t-shirt con la danza floreale
di Snoopy. L’aveva presa l’Io-Erin in un negozio di Omotesandô, grande, immenso,
e immensamente caramelloso. Quel posto era come una bolla color zuccherino in
mezzo al traffico – due colonne di suv neri che s’incrociavano senza
conoscersi. E se dietro ai parabrezza scuri ci fosse stato un affascinante
principe dai lunghi capelli neri, cinico e innamorato? Sarebbe stato poco
probabile e di sicuro non sarebbe stato per me. Là ero completamente sola: un
giocattolo senza padrone, e la maglietta era il mio omaggio alla bellezza delle
stagioni.
Qui il cielo è lattiginoso e la qualità della luce mi fa
venire mal di testa. Cerco gli occhiali scuri nello zaino e sistemo la bandana
di Totoro che mi copre i capelli rasati di fresco. Li ha tagliati Ondine con la
macchinetta: due tacche, nel bagno dell’ufficio, io con le spalle avvolte nella
pellicola trasparente come la vittima di un serial killer; ora, la nuova
lunghezza regolata è morbida e setosa contro la stoffa azzurra.
Otto, nove, tredici minuti … Magari hanno deciso di non
venire, visto che fino all’ultimo io sono stata indecisa «Il fatto è che ho
paura» «Se hai paura, nessuno ti obbliga» «No, nessuno mi obbliga, anche se,
una volta che sono fuori, dovrò pur mangiare qualcosa … Non mi va di passare
per una grassona boteriana e poi c’è sempre il rischio che il mio occhio sbagli
qualcosa nei pesi e nelle misure … non so cosa prescriva in questi casi il Manuale
della Brava Anoressica (di
prossima pubblicazione).»
Sul muro bianco del
locale spicca un ramo di ciliegio rosso.
Prima che io possa
mettermi a piangere – lacrime rotonde, salate – Ondine entra quasi correndo,
costringendomi a stiracchiare un sorriso «Siete in ritardo» provo a nascondere
il sollievo dietro a un tono scherzoso. È quasi come se la parte più difficile
fosse già passata. Jane studia il tabellone del menù. Io infilo il mio kimono
leggero e lo stringo con una pashmina viola: il risultato non è ortodosso ma
preferisco non essere ligia alla tradizione e continuare a respirare senza
costrizioni. … Quando Erin aveva comprato
quello yukata, nella brezza umida di una sera d’agosto, la donna addetta alla
bancarella nel tempio aveva avvolta due o tre volte in un nodo stretto-stretto
e ritorto, con la forza di un marinaio esperto che fissa una gomena alla bitta.
L’aria si era fermata in una gabbia dorata, le costole scricchiolavano. In una
danza al contrario, il sangue era tornato a fluire verso le guance, il suono
dei tamburi mi penetrava nelle orecchie, ridando energia al cuore … E poi c’era
il profumo degli spiedini di polpo … e un uomo che faceva saltare gli spaghetti
sulla piastra: somigliava ad Altair, forte e compatto come un gigante buono, un
guerriero con un fazzoletto bianchissimo annodato sulla fronte. Erin si era unita al cerchio magico intorno alla pedana
dei percussionisti, muovendo il ventaglio di plastica in figure un po’ rigide –
Rito antico per celebrare i morti.
Adesso guardo un
cuoco samoano alto due metri preparare fagottini di riso e uova di salmone.
Sono scarlatte, trasparenti, traslucide … come l’emoglobina in quel vecchio
cartone animato didattico. Vorrei poterle assaggiare ancora una volta, vorrei
poter essere normale … ma no, mi basta il tè verde bollente che Ondine mi porta
dentro a una tazza di carta per commuovermi.
Sedute sul bordo
del marciapiede, apriamo le nostre confezioni take-away ed io controllo sul
cellulare se la ditta produttrice del mio miracoloso infuso della felicità ha
un sito per l’esportazione. Product of Japan by Takaokaya Inc. Los Angeles, California
Certo, all’inizio mi stupisco. Immagino le piantine pallide di Camellia
Sinensis che ricoprono i verdi campi di Califa, in un clima perennemente
estivo, accanto alle coltivazioni di marijuana terapeutica.
«Potremmo comprare
insieme il pacco convenienza» 160 bustine da dividere come un legame d’amicizia
basato sull’aroma delle foglioline pressate. Ovviamente dovrei controllare le
tabelle nutrizionali – ammesso che esistano – ma penso di poterlo fare, penso
di potermi concedere i lunghi sorsi cadenzati della pace divina.
http://youtu.be/RfEkH2abwRQ
http://youtu.be/cuNUURiF49o
http://youtu.be/Tdvh7CKRozk
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