venerdì 2 agosto 2013

RAW SNAKE & CHERRY POISON



 
Primavera.

La città finalmente indossa i suoi petali rosa e pare dimenticare lo smog.

Forse non questo non è il Giappone ma potrebbe benissimo sembrare Arles – meglio accontentarsi e gioire di quei quattro pruni coraggiosi in mezzo al cemento e al consumismo del centro.

Le ragazze scoprono le loro curve burrose al primo sole, i ragazzi ridono come tacchini geneticamente modificati, osservando sguaiatamente il passaggio indaffarato degli impiegati in pausa pranzo. Io aspetto di fronte all’ingresso minimale del sushi bar, calcolando mille volte il valore numerico di una mini porzione di gamberi crudi da asporto. È curioso che in giapponese “gambero” e “serpente” siano così simili, con una semplice aspirazione di differenza. Chissà che gusto ha la carne di una vipera viva, battuta con un bastone per scacciare il veleno dal corpo.

 

Ansia.

Ondine e Jane sono in ritardo di due, tre, cinque, sette minuti. Qualche brivido attraversa il cotone della t-shirt con la danza floreale di Snoopy. L’aveva presa l’Io-Erin in un negozio di Omotesandô, grande, immenso, e immensamente caramelloso. Quel posto era come una bolla color zuccherino in mezzo al traffico – due colonne di suv neri che s’incrociavano senza conoscersi. E se dietro ai parabrezza scuri ci fosse stato un affascinante principe dai lunghi capelli neri, cinico e innamorato? Sarebbe stato poco probabile e di sicuro non sarebbe stato per me. Là ero completamente sola: un giocattolo senza padrone, e la maglietta era il mio omaggio alla bellezza delle stagioni.




 

Qui il cielo è lattiginoso e la qualità della luce mi fa venire mal di testa. Cerco gli occhiali scuri nello zaino e sistemo la bandana di Totoro che mi copre i capelli rasati di fresco. Li ha tagliati Ondine con la macchinetta: due tacche, nel bagno dell’ufficio, io con le spalle avvolte nella pellicola trasparente come la vittima di un serial killer; ora, la nuova lunghezza regolata è morbida e setosa contro la stoffa azzurra.  

Otto, nove, tredici minuti … Magari hanno deciso di non venire, visto che fino all’ultimo io sono stata indecisa «Il fatto è che ho paura» «Se hai paura, nessuno ti obbliga» «No, nessuno mi obbliga, anche se, una volta che sono fuori, dovrò pur mangiare qualcosa … Non mi va di passare per una grassona boteriana e poi c’è sempre il rischio che il mio occhio sbagli qualcosa nei pesi e nelle misure … non so cosa prescriva in questi casi il Manuale della Brava Anoressica (di prossima pubblicazione).»

Sul muro bianco del locale spicca un ramo di ciliegio rosso.

Prima che io possa mettermi a piangere – lacrime rotonde, salate – Ondine entra quasi correndo, costringendomi a stiracchiare un sorriso «Siete in ritardo» provo a nascondere il sollievo dietro a un tono scherzoso. È quasi come se la parte più difficile fosse già passata. Jane studia il tabellone del menù. Io infilo il mio kimono leggero e lo stringo con una pashmina viola: il risultato non è ortodosso ma preferisco non essere ligia alla tradizione e continuare a respirare senza costrizioni.  … Quando Erin aveva comprato quello yukata, nella brezza umida di una sera d’agosto, la donna addetta alla bancarella nel tempio aveva avvolta due o tre volte in un nodo stretto-stretto e ritorto, con la forza di un marinaio esperto che fissa una gomena alla bitta. L’aria si era fermata in una gabbia dorata, le costole scricchiolavano. In una danza al contrario, il sangue era tornato a fluire verso le guance, il suono dei tamburi mi penetrava nelle orecchie, ridando energia al cuore … E poi c’era il profumo degli spiedini di polpo … e un uomo che faceva saltare gli spaghetti sulla piastra: somigliava ad Altair, forte e compatto come un gigante buono, un guerriero con un fazzoletto bianchissimo annodato sulla fronte. Erin si era  unita al cerchio magico intorno alla pedana dei percussionisti, muovendo il ventaglio di plastica in figure un po’ rigide – Rito antico per celebrare i morti.

 

Adesso guardo un cuoco samoano alto due metri preparare fagottini di riso e uova di salmone. Sono scarlatte, trasparenti, traslucide … come l’emoglobina in quel vecchio cartone animato didattico. Vorrei poterle assaggiare ancora una volta, vorrei poter essere normale … ma no, mi basta il tè verde bollente che Ondine mi porta dentro a una tazza di carta per commuovermi.

Sedute sul bordo del marciapiede, apriamo le nostre confezioni take-away ed io controllo sul cellulare se la ditta produttrice del mio miracoloso infuso della felicità ha un sito per l’esportazione. Product of Japan by Takaokaya Inc. Los Angeles, California Certo, all’inizio mi stupisco. Immagino le piantine pallide di Camellia Sinensis che ricoprono i verdi campi di Califa, in un clima perennemente estivo, accanto alle coltivazioni di marijuana terapeutica.

«Potremmo comprare insieme il pacco convenienza» 160 bustine da dividere come un legame d’amicizia basato sull’aroma delle foglioline pressate. Ovviamente dovrei controllare le tabelle nutrizionali – ammesso che esistano – ma penso di poterlo fare, penso di potermi concedere i lunghi sorsi cadenzati della pace divina.

 


http://youtu.be/RfEkH2abwRQ
http://youtu.be/cuNUURiF49o
http://youtu.be/Tdvh7CKRozk

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