lunedì 7 ottobre 2013

MORTI E NON-MORTI DI LAMPEDUSA


Lampedusa (Pelagie AG)
Certe storie fanno temporaneamente dimenticare le stupide ansie per gli incastri impossibili del palinsesto televisivo.
Kebrat che si risveglia, viva, in una fila di 195 cadaveri strappati al mare - "morti clandestini", direbbe qualcuno - potrebbe diventare il simbolo di tutte le tragedie annunciate, destinate a ripetersi nell'indifferenza generale. Adesso si parla di modificare la legge Bossi-Fini che stigmatizza i migranti e persegue i soccorritori invece degli scafisti; si propone il premio Nobel per la Pace agli abitanti di Lampedusa, ma le contraddizioni saltano agli occhi perché, spenti i riflettori dell’informazione televisiva, il CIE sovraffollato, l’isola e tutto il bacino territoriale a essa collegato vengono abbandonati, dimenticando che si potrebbe trarre persino un beneficio turistico e culturale da un gestione sostenibile della situazione. Si tirano in ballo progetti di cooperazione euro-mediterranea e programmi educativi che favoriscano l’integrazione (quando si dovrebbe cominciare a considerare l’idea dell’interazione e cancellare la “E” di “espulsione” dalle sigle): tutte utopie difficilissime da realizzare, se non altro perché servirebbero fondi decennali o addirittura ventennali, senza contare che gran parte del disagio socio-economico dei Paesi subsahariani è causato da una serie di fattori messi in moto dagli interessi occidentali. La lettura ingenua di Roberto Fico, depurata dagli slogan a cinque stelle (che sembrano frutto di un nuovo tipo di gregge), ha ragione su un punto: la posta in gioco è molto alta e le lobby delle armi e del petrolio non sono di certo pronte a cedere il passo. È necessario allora pensare a un intervento diretto e concreto. Fabio Fazio suggeriva di fare la “scelta coraggiosa” dello jus solis, sul modello della cittadinanza americana, ma c’è chi dagli Stati Uniti vorrebbe prendere un altro esempio e blindare ancora di più le frontiere, magari con un bel muro, sentinelle armate e barriere elettrificate. Alcuni tremano davanti “all’invasione dei barbari”, altri provano a invocare l’aiuto dell’Europa, mettendo nel cassetto l’anti-europeismo che avevano sbandierato fino a ieri perché, dicono le statistiche, l’Italia nella maggior parte dei casi è solo una tappa, una terra di passaggio verso altre nazioni più ricche e attraenti. A quale percentuale è arrivata da noi la disoccupazione tra i giovani? 40% o siamo già al 50? È probabile che l’eldorado sognato dai più poveri sia altrove: in Francia o magari in Germania ma ora la troika che comanda a Bruxelles è impegnata in un’aspra guerra monetaria che taglia fuori i deboli in nome di quei “finanziorami” virtuali dei quali parlava Appadurai negli anni Novanta e che adesso determinano la vita quotidiana di milioni di persone.  

Qualcuno ricorda gli accordi firmati dall’allora premier Silvio Berlusconi – oggi condannato e forse decaduto (?) – e il presidente libico Gheddafi, improvvisamente bollato come dittatore pochi mesi dopo? Controlli severi nei porti di partenze, carceri in mezzo al deserto e deportazioni forzate che si trasformavano in carovane della disperazione.

Qualcuno ricorda gli scandali degli sbarchi seguiti alle Primavere Arabe, le persone ammassate in uno spazio angusto con uno o due bagni a disposizione? Non mi riferisco alle condizioni disumane del viaggio né alla maniera terribile in cui tanta gente ha trovato la morte al posto della speranza. Sto parlando della realtà di un luogo che dovrebbe essere d'accoglienza e invece è di detenzione, un luogo che esprime tutto il rifiuto di una cultura dominante che si arrocca nel mito dell'omogeneità. Sul barcone del naufragio si sono sviluppate le fiamme, i corpi sono stati avvolti dal fuoco prima che le strutture fatiscenti cedessero … L’immagine rosseggiante e atroce di un uomo trasformato in una torcia riporta a un altro contesto, apparentemente lontano ma non così dissimile: quello delle acciaierie TyssenKrupp di Torino. Dopo cinque anni di processo è stata pronunciata la condanna definitiva per l’amministratore delegato e per gli altri responsabili della dramma costato la vita a sette operai, ma i soldi del risarcimento sono una goccia per un colosso multinazionale e sicuramente nemmeno la prigione può sanare l’ingiustizia di fondo, perché nella realtà le morti sul lavoro e le morti per il lavoro non si fermano e nei primi sei mesi del 2013 ci sono state già 700 (contando anche gli incidenti in itinere). Argomenti distanti ma accomunati dallo stesso abisso di silenzio.

Al di là del clamore mediatico del momento, una domanda s'insinua inquietante: NESSUN MEDICO CONTROLLAVA L'EFFETTIVO DECESSO DELLE PERSONE RECUPERATE NEL VENTRE DEL RELITTO? E se quella ragazza non avesse aperto gli occhi in tempo?

 Domenica. Prima serata. Massimo Gramellini racconta la notizia della “resurrezione” di una donna africana con il suo solito tono sentimentale, come se fosse la favola della buonanotte. Solo mia madre, forse in veste di medico, coglie la fretta nascosta nelle parole e s’indigna ancora di più, non tanto per i fatti, stavolta, quanto per il messaggio che passa sottotesto, quasi inascoltato. Ho l’impressione che gran parte dell’informazione oggi funzioni in questo modo: si ammorbidiscono i contorni zuccherando la pillola come se si parlasse con dei bambini. In effetti, da secoli la comunicazione di massa si base sull’iper-semplificazione ma la rapidità degli scambi a tutti i livelli ha esasperato gli stilemi dell’oralità. Tutto deve essere divulgativo e accattivante per sperare di catturare l’attenzione di un pubblico annoiato; e quindi l’abilità sta nel far passare il contenuto informativo sostanzioso sotto forma di affabulazione da piazza, in cui però l’analisi critica perde spessore. Il rischio di banalizzazione è dietro l’angolo e il continuo surfing tra gli stimoli rende la conoscenza sempre più superficiale.

http://youtu.be/L3z4pun9rAo

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