12 agosto 2011
CLARISSA LA FUNAMBOLA
Ritagliati nella geometria delle gelosie del convento, gli ulivi diradano verso il mare con la loro dolcezza contorta. Onde di brezza verde-argento. Silenzio pieno di suoni. Molti oggi non capiranno la scelta di consacrarsi per sempre alla preghiera muta. Non significa abbandonare il mondo ma diventarne una oarte silente, ferma, attonita e naturale. Come un albero, un raggio di sole o un fiore di buoganville – intensa poesia viola. Nel calore dell’estate che trema azzurra sull’acciottolato della piazzetta della chiesa, diventi granello di sale e trovi il tuo minuscolo spazio. Umilmente.
È una cosa ovvia se sei nata in un paesino incastonato tra le colline, un borgo medievale che sale all’infinito su scale di pietra levigata e tiepida, casette dipinte di fresco di giallo ligure. Qualche volta, da bambina Clarissa era andata a mangiare al ristorante della famiglia Verdibaldi. Stare sulla terrazza era come trovarsi sulla prua di una nave, in una tranquilla rotta conosciuta. E i suoi occhi già si perdevano nello strapiombo scuro, aperto appena da una pennellata blu sull’orizzonte. Civezza è il paese del circo. Immagini allegre dipinte sulle nuove bocchette del gas cittadino. Il prestigiatore che tira fuori un coniglio dal cappello, un magico orientale che levita a mezz’aria con il suo turbante e le babbucce da Genio della Lampada… E un pagliaccio triste che disegna bolle di sapone nel tramonto. La sua canzone d’amore non è forse simile al camminare in un chiostro nascosto, assaggiando il profumo segreto delle rose? Le ore lente passate a misure se stessi regalano una sensazione di lieve stordimento, la leggerezza concentrata di n funambolo che tende con scientifica attenzione un cavo tra le Torri Gemelle.
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