domenica 14 agosto 2011

12 agosto 2011

CLARISSA LA FUNAMBOLA

Ritagliati nella geometria delle gelosie del convento, gli ulivi diradano verso il mare con la loro dolcezza contorta. Onde di brezza verde-argento. Silenzio pieno di suoni. Molti oggi non capiranno la scelta di consacrarsi per sempre alla preghiera muta. Non significa abbandonare il mondo ma diventarne una oarte silente, ferma, attonita e naturale. Come un albero, un raggio di sole o un fiore di buoganville – intensa poesia viola. Nel calore dell’estate che trema azzurra sull’acciottolato della piazzetta della chiesa, diventi granello di sale e trovi il tuo minuscolo spazio. Umilmente.
È una cosa ovvia se sei nata in un paesino incastonato tra le colline, un borgo medievale che sale all’infinito su scale di pietra levigata e tiepida, casette dipinte di fresco di giallo ligure. Qualche volta, da bambina Clarissa era andata a mangiare al ristorante della famiglia Verdibaldi. Stare sulla terrazza era come trovarsi sulla prua di una nave, in una tranquilla rotta conosciuta. E i suoi occhi già si perdevano nello strapiombo scuro, aperto appena da una pennellata blu sull’orizzonte. Civezza è il paese del circo. Immagini allegre dipinte sulle nuove bocchette del gas cittadino. Il prestigiatore che tira fuori un coniglio dal cappello, un magico orientale che levita a mezz’aria con il suo turbante e le babbucce da Genio della Lampada… E un pagliaccio triste che disegna bolle di sapone nel tramonto. La sua canzone d’amore non è forse simile al camminare in un chiostro nascosto, assaggiando il profumo segreto delle rose? Le ore lente passate a misure se stessi regalano una sensazione di lieve stordimento, la leggerezza concentrata di n funambolo che tende con scientifica attenzione un cavo tra le Torri Gemelle.


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