lunedì 21 novembre 2011
RELAZIONI PERICOLOSE
L’11 novembre il nuovo premier giapponese Yoshihiko Noda ha annunciato la volontà del Paese di entrare nella piattaforma commerciale della Trans-Pacific Partnership insieme a altri otto paesi dell’area che, uniti, sperano di poter contrastare l’egemonia economica cinese sempre più schiacciante. A capo del progetto ci sono naturalmente gli Stati Uniti, che premono per abbattere o almeno indebolire le solide barriere protezionistiche nipponiche nel settore agricolo, manifatturiero e dei servizi.
L’allargamento del gruppo già rappresentato dalla Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico (Asean) e l’avvicinamento del Sol Levante agli U.S.A. è un bene o rappresenta l’ennesima mossa di un accerchiamento neo-coloniale iniziato 150 anni fa dal Commodoro Perry? La chiusura delle istallazioni dei marines a Okinawa viene costantemente rimandata è una delle cause dell’instabilità politica dell’Arcipelago; Obama ha aperto una nuova base a Darwin, in Australia rafforzando il controllo strategico su tutta la regione. Le strategie dietro alla diplomazia sono quindi abbastanza trasparenti da dover suscitare la risposta e forse l’allarme dell’opinione pubblica, quasi a ricordare il clima di conservatorismo filo-americano degli anni Sessanta, quando migliaia di ragazzi scesero in piazza per protestare contro il rinnovo del Trattato di Mutua Cooperazione tra Giappone-Stati Uniti, firmato dopo la guerra. In un clima d’incertezza sociale e con i fantasmi dei traumi passati che tornano a galla sulla scia del dramma di Fukushima, Tokyo ha davvero bisogno di stringere alleanze diseguali con un vicino tanto potente quanto invadente?
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