giovedì 21 febbraio 2013

ANNA SCAPPATICCI


«“Libertà” è poco. Quello che desidero ancora non ha un nome.» diceva la scrittrice brasiliana Clarice Lispector e con queste parole descriveva tutto l’universo femminile, declinandolo in prima persona e da un punto di vista intimo e soggettivo. Una frase così semplice e profonda resta impressa e scava una nicchia nell’inconscio, richiedendo un’interpretazione individuale, mai del tutto univoca. È la stessa cosa che avviene di fronte alle opere di Anna Scappaticci. Qui la sua donna assume un numero infinito di volti ma rievoca un unico archetipo che sembra nascere dalla memoria, riaffiorando come in una leggenda, con la forza evocativa di un sogno. Le chiome sciolte al vento, gli occhi che brillano con fierezza e la tenera sensualità delle curve richiamano la bella Carmen di Mérimée – un po’ bambina e un po’ incantatrice – o l’Esmeralda di Hugo; e i questo senso il Gobbo di Notre-Dame illustrato recentemente da Benjamin Lacombe potrebbe essere una buona pietra di paragone.

Ma in queste opere si ritrova un’altra inquietudine, che non è tanto quella gotico-romantica dell’autore francese quanto una rilettura della sensibilità simbolista vicina all’Art Nouveau di Mucha e Grasset. Come il modernismo inseriva la flessuosità del corpo in un contesto naturale ritagliato per rispondere alle esigenze del design, così l’artista genovese esplora una dimensione in cui i sentimenti vengono di volta in volta trasfigurati, trasformandosi in elementi del paesaggio. La complessità della figura muliebre – ricondotta all’ambigua essenzialità felina – è fondamentale in ogni momento espressivo, ma il legame con l’ambiente è altrettanto importante nella costruzione di un’identità di genere che si confronta con il mondo esterno.

Inoltre, il gusto per la ricercatezza klimtiana riempie lo spazio di elementi che, senza essere meramente decorativi, sono i segni di una trama narrativa che si dipana disegno dopo disegno, seguendo quasi un’enigmatica sequenza letteraria che si costruisce secondo i canoni del Realismo Magico di Felice Casorati: l’attenzione al verismo del ritratto che rimanda ai modelli tradizionali rende verosimile l’esistenza di scenari metaforici nati dalla proiezione speculativa dell’Ego.


Nessun commento:

Posta un commento