“A Certein Magical Index” (“To-aru Majutsu no Index”) è un
progetto multimediale complesso che parte dalla rielaborazione grafica della
serie di light novel scritta da Kazuma Kamachi e che comprende un manga e
diverse serie anime. Vista la ricchezza del materiale originale, lo sviluppo
narrativo non è del tutto unitario e anzi si può suddividere in due filoni
principali; da un lato l’aspetto “religioso” o “magico” della realtà e dall’altro
l’approccio “scientifico”. Seguendo
questa linea di discrimine, è possibile tentare una classificazione ordinata
dei personaggi che trovano la loro collocazione in uno dei due ambiti, pur
essendoci dei punti di contatto.
Ma prima di addentrarsi in una descrizione accurata dei
protagonisti, è necessario avere un’idea del quadro d’insieme.
Touma Kamijô
frequenta la scuola per esper (nôryoku-sha)
in una futuristica Città Studio controllata minuziosamente da un super-computer
(il Tree Diagram) e alimentata dall’energia eolica. Pur applicandosi, Touma non
sembra avere particolari abilità anzi, tutto gli va perennemente storto e
finisce sempre per cacciarsi in guai grotteschi. È quel che succede quando
trova sul pianerottolo di casa una piccola suora della Chiesa Puritana
d’Inghilterra che dice di chiamarsi Index
e indossa una “chiesa ambulante”(aruku
kyôkai), cioè una speciale veste protettiva che riassume in se stessa tutte
le caratteristiche di una chiesa[1].
Infatti, non è una persona come le altre: nella sua memoria è stato
immagazzinato il contenuto di 103.000 grimori e molti maghi mirano a questa
incredibile fonte di potere. Grazie alla convivenza con la ragazza, il
protagonista rompe a poco a poco l’isolamento che lo circondava e scopre di
avere un’abilità: la sua mano destra è quello che si definisce “Immagine
Breaker”, in grado di dissipare qualsiasi forma d’incantesimo. Da qui si dirama
uno dei due tronconi principali, quello che mostra gli incontri / scontri tra
maghi per il dominio sull’Indice dei Libri Proibiti “contenuto” nella memoria
di Index. La caratterizzazione del personaggio e la descrizione delle
situazioni è quella tipica delle commedie sentimentali /fantascientifiche: una
ragazzina allegra, ingenua e totalmente priva di esperienze mondane piomba
nella vita di uno studente mediocre. La lista dei riferimenti sarebbe quasi
infinita e andrebbe da “Video Girl Ai” (Masakazu Kazura) a “Oh mia dea” (Kôsuke
Fujishima) fino a Chobits (CLAMP), arricchendosi del campionario di suore
dell’immaginario dell’animazione nipponica. Prendendo quest’ultimo elemento
come aspetto saliente dell’analisi, la figura più vicina è Azmaria Hendrich di
Chrono Crusade (Daisuke Moriyama), capace di curare qualsiasi ferita grazie alla
sua voce angelica.
Oltre ad essere fisicamente simile alla bambina portoghese,
la piccola suora possiede poteri analoghi e conferma l’importanza della parola
per il dominio della conoscenza e la formazione delle coscienze individuali e
collettive. Un analogo processo di sedimentazione di dati è alla base di altre
opere fantasy di recente pubblicazione. “Letter Bee” (Hiroyuki Asada) racconta
le vicende di Lag che viaggia per consegnare lettere che contengono il “cuore”
(cioè i sentimenti e i ricordi) dei mittenti; “Il libro di Bantorra” (Ishio
Yamagata) è ambientato in un Paese fantastico nel quale le anime dei defunti si
trasformano in veri e propri testi custoditi in una biblioteca. Il caso più
simile per argomento e sviluppo narrativo è senza dubbio “La Bibliotheca
Mystica de Dantalian” (G. Yûsuke / Gakuto Mikumo), dove Huey eredita un’antica
proprietà in rovina e con essa anche la biblioteca che conserva il sapere
proibito dei demoni. In “A Certain Magical Index” troviamo la stessa visione
indiscriminata dell’insieme dei poteri occulti, monitorati dall’organizzazione
anglicana Necessarius (La Chiesa del Male Necessario) che ha base a Londra,
nella cattedrale di San Giorgio. Tale organismo segreto non intende danneggiare
Index ma piuttosto proteggerla dagli attacchi dei nemici e a questo scopo invia
due membri della Chiesa d’Inghilterra per cancellarne la memoria dei fatti
quotidiani e preservare la banca dati relativa alla decodifica dei testi.
Stiyl Magnus è un
prete dai lunghi capelli rossi, fumatore, pieno di piercing, con le dita
inanellate e un codice a barre tatuato sotto l’occhio[2].
Utilizza le rune per creare dei cerchi magici entro i quali sprigionare le sue
fiamme. In questa pratica – e nella sua realizzazione a livello visivo – si
fondono diverse tradizioni esoteriche: 1) La prima influenza viene ovviamente
dal mondo celtico, dove l’alfabeto futhark era impiegato nei rituali o per
scrivere messaggi segreti. Si pensava che il potere delle lettere potesse
essere fruito a diversi livelli, ossia sfruttando il loro valore fonetico
oppure la loro forma e quest’ultima modalità era considerata la più semplice
perché poteva raggiungere anche i non-iniziati. I druidi scrivevano i testi su
dei pezzi di legno e poi li spargevano al suolo per praticare la divinazione. 2)
In maniera analoga ma rifacendosi all’universo nipponico, Stiyl lancia delle
carte-sigillo in modo da delineare il proprio perimetro d’azione. Nella cultura
popolare in generale e in particolare nel panorama dei manga e anime
contemporanei si rintraccino moltissimi esempi di questa tecnica ma i casi più
vicini sono sicuramente quelli che coinvolgono Abe no Seimei, personaggio
storico-leggendario vissuto presumibilmente tra l’VIII e il IX secolo all’antica
corte di Heian (Kyôto). Sfruttando le conoscenze della mistica dell’onmyôdô, in
ogni versione animata, egli traccia una stella inscritta in un cerchio che
abbraccia tutta la città minacciandone la distruzione. Tra le molteplici
incarnazioni del sacerdote, la più simile a Stiyl sia caratterialmente sia
fisicamente è quella proposta in “Otogizôshi” di Narumi Seto[3],
in cui si mostra sotto le mentite spoglie dell’attore girovago Mansairaku e
dimostra di padroneggiare diverse capacità sovrannaturali.
3) Tenendo presente
la specificità ignea e l’uso simbolico del cerchio, la mente va al colonnello
Roy Mustang, l’Alchimista di Fuoco in “Fullmetal Alchemist” (Hiromu Arakawa),
anche se il parallelo tra i due si limita alla tipologia di arte magica
controllata e al fatto che entrambi indossano una divisa, ma c’è da notare che,
parlando di uniformi clericali da combattimento, la maggior parte dei manga (“Trinity
Blood” o “D-Gray man”, ad esempio) s’ispirano a quella storica dei cavalieri
templari e quindi il parallelo migliore resta quello tra Stiyl e Abel Nightroad
di “Trinity Blood” (Kiyô Kujyô). Il cognome Magnus, comune nell’onomastica
medievale europea potrebbe rifarsi ad Alberto Magno, famoso teologo del
Tredicesimo secolo che postulava la convivenza pacifica tra religione e
scienza.
La compagna di Magnus nella missione contro i maghi è Kaori Kanzaki, una santa spadaccina che
era stata papessa della Chiesa di Amakusa, una setta che verrà presentata in
modo più esauriente nella seconda serie dell’anime (adattamento dei light novel
dal settimo al dodicesimo volume).
Essendo giapponese, Kanzaki mescola le tecniche di lotta
(fisica e metafisica) occidentali a quelle orientali, rifacendosi a una vasta
tradizione di kunoichi (donne ninja)
nella cultura pop nipponica e utilizzando un’arma bianca lunga due metri.[4]
Basandosi soltanto sulle somiglianze esteriori, si potrebbe ottenere
un’approssimazione dall’incontro tra Kagura di “Ga-Rei” (Hajime Sawaga), la
cacciatrice “Shana di Shakugan no Shana” e Revy di “Black Lagoon” (Rei Hiroe),
anche se l’uso dell’arma bianca in questa serie è appannaggio della killer
cinese Shenhua. [5]
A completare il gruppo c’è Motoharu Tsuchimikado[6],
un vicino di casa e compagno di scuola di Tôma: sia il suo carattere spigliato
sia l’aspetto fisico sono complementari a quelli di Kamijô e ne costituiscono
un giusto contraltare, evidenziando la funzione ricorrente di Tsuchimikado come
spalla del protagonista, mentre il suo vero ruolo di spionaggio per diverse
istituzioni viene rivelato solo durante
l’ “Angel Fall Arc”, quando cerca di individuare le cause di un misterioso
slittamento che ha mescolato i corpi e le personalità di tutti gli abitanti del
pianeta e nel quale sembrano coinvolti anche i membri della Chiesa Ortodossa
Russa.
Il filone fantascientifico è incentrato su Mikoto Misaka e sull’esperimento
genetico di clonazione della sua forza. La ragazza possiede la straordinaria
capacità di generare elettricità e la sua potenza viene sfruttata da un gruppo
di ricercatori della Città Studio, intenzionati a far progredire un altro
soggetto, denominato Accelerator,
l’unico in grado di raggiungere il livello sei della scala di misurazione delle
facoltà ESP e quindi inserito fin da bambino in un programma d’addestramento
speciale. Allo scopo di farlo evolvere, i medici creano in laboratorio dei
cloni della Misaka originale solo come bersagli di combattimento. Questo
scenario coniuga diversi temi ricorrenti nella sci-fi contemporanea, nipponica
e non solo. Per quanto riguarda Misaka e le sue sorelle ci sono due aspetti da
considerare: da un lato abbiamo la ragazza-arma che alimenta con le sue mille
varianti il genere del cyborg / gunslinger (e il primo riferimento visivo in
questo caso è sicuramente Chise di “Lei, l’Arma Finale” [Shin Takahashi]);
dall’altro c’è l’immagine del minaccioso esercito di replicanti (ricordate le
schiere di “Robo-Liu” in una puntata di Futurama?).
Il triste passato d’isolamento
di Accelerator, “che un tempo aveva un nome normale, persino banale” lo rende
simile alla sua vittima, mostrando la freddezza delle istituzioni secondo uno
schema che ritorna in moltissime opere di diverso genere: dal bellissimo seinen psicologico “Monster” (Naoki
Urasawa) all’horror “Hitsuji no Uta” (Kei Toume) fino al recente “Mawaru
Penguindrum”. Ovviamente qui tutto si
risolve per il meglio, con Touma che scopre l’unicità nascosta in ciascuna
delle copie di Misaka e Accelerator che, dopo aver ucciso 10.000 “sisters”, si
redime salvando l’ultimo prototipo, denominato Last Order (con una chiara
allusione ad Alita, la guerriera del celebre manga di Yukito Kishiro).
Anche il ciclo minore intitolato “Deep Blood” sviluppa il
tema della diversità, partendo però da un contesto totalmente opposto e
sfruttando una serie di presupposti che derivano dall’occulto. I tre episodi introducono Aisa Himegami una genseki
– cioè una persona che ha acquisito naturalmente i propri poteri psichici,
senza l’ausilio di supporti artificiali – e, dato che può attirare e uccidere i
vampiri, è sempre stata rinchiusa (come Suu in “Clover” [CLAMP]). Quando incontra
Touma per la prima volta, la ragazza ha l’aspetto di una sacerdotessa
scintoista. Lui la libera e la porta alla Città-Studio, dove viene accettata in
una scuola per soggetti particolari.[7]
In questo modo – almeno nel corso della prima serie – l’accenno a un elemento
horror va perso e appare abbastanza inutile, e anche l’iniziale legame di Aisa
con la religione tradizionale giapponese e con l’alchimista Aureolus Izzard,
probabile discendente di Paracelso.
Le varie trame scorrono parallele, collegate solo dalla
presenza di Kamijô, stereotipo privo di spessore psicologico del “normale
studente” poco brillante che si rivela un paladino senza macchia, disposto a
salvare chiunque sia in difficoltà, anche a costo della sua stessa vita. Anche
le sottotrame ruotano intorno a tale principio morale, inserendo ulteriori
elementi che poi però non vengono sviluppati a fondo, limitandosi a presentare
una serie di personaggi e problematiche che rimangono in sospeso, infittendo
l’interscambio tra il piano spirituale e quello scientifico. La corrispondenza
di fattori è evidente nel cosiddetto “Ciclo di Hyôka Kazakiri”: Hyôka Kazakiri
è un’entità virtuale nata dall’aggregazione della bioelettricità dispersa dagli
ESP che esercitano i loro poteri psichici all’interno della città.
La cultura
popolare ha classificato questi esseri come mostri o come “angeli”, abitanti di
una dimensione parallela chiamata “Settore del Numero Immaginario”. Lo scontro
tra l’onnipresente Tôma e la maga Sherry Cromwell getta una luce su un
interessante retroscena, coinvolgendo il capo supremo della Città Studio e
svelandone le reali intenzioni: creare un “Paradiso artificiale”attraverso l’accumulo
di dispersioni elettriche. Il filosofo e sociologo Hiroki Azuma parlava
dell’evoluzione di una narrativa i cui personaggi sono basati sull’incrocio di
diversi dati all’interno di un gigantesco archivio di fruizione. Nel caso di
Aleister Crowley, la ricerca di elementi occulti (evidente nella scelta del
nome) s’interseca con l’ampia letteratura sul panopticon che, partendo dal
classico “1984” di George Orwell arriva fino all’anime “Psycho-Pass”,
annunciato come novità autunnale di Rai 4.
Naturalmente si potrebbe fare una
piccola digressione sulle molteplici forme assunte da “Alesteir Crowley” nei
manga e anime giapponesi, ma è forse più opportuno rimandare questo tipo di
analisi a dopo, dato che molte implicazioni saranno svelate solo nel corso della
seconda serie di “Index”; per ora, quindi torniamo un momento a Sherry e
all’uso dei principi della cabala ebraica nella creazione dei golem.
Secondo la leggenda, chi era a conoscenza dei nomi di Dio e
del testo sulla creazione dell’Uomo poteva creare un gigante d’argilla
manipolando i segreti dell’alfabeto ebraico applicati allo studio dell’anatomia
umana. Il golem
Gli energumeni artificiali costituiscono
un punto di congiunzione ideale tra scienza e magia, con la stessa logica
ipertestuale che inserisce la storia del dottor Frankestein nella trama della
serie televisiva “Once Upon a Time”, e le sue implicazioni pratiche in “Index”
trovano una prosecuzione strategica nella seconda stagione dell’anime.
Tutto considerato quindi, i primi 24
episodi servono soltanto a introdurre i diversi bandoli dai quali poi si
svilupperanno gli archi narrativi principali che, congiungendosi grazie alla
semplice presenza ricorrente dei due protagonisti, un’intricata ucronia tra
presente, passato e futuro.
[1] Un’altra forma
sintetizzata di “chiesa ambulante” è la croce celtica degli anglicani.
[2] Un
character design che ricorda molto il fotografo freelance Badô di Dogs – Bullet
& Carnage (Shirow Miwa).
[3] Specie nell’arco di Tôkyô, ambientato ai
giorni nostri.
[4] La nodachi è una tradizionale spada lunga a due mani.
[5] Shana, infatti, usa una
nodachi mentre Revy – detta “Two Hands” – maneggia due pistole cutlass.
[6] Il cognome è quello del
clan che storicamente prese il controllo dell’onmyôdô nell’undicesimo secolo,
quando le pratiche esoteriche furono dichiarate illegali in Giappone.
[7] Dal punto di vista
esteriore, Aisa Himegami può essere accostata alle numerose sacerdotesse che
popolano gli anime giapponesi da Kikyô di “Inuyasha” (Rumiko Takahashi) a Rei
di “Sailor Moon” (Naoko Tateuchi): tale somiglianza è dovuta alla pettinatura
chiamata “himegami” [capelli di principessa] utilizzata dalle donne nello
shintoismo.
[8]
L’etimologia del termine significa “materia grezza; embrione”, mentre in “Index”
il nome della maga potrebbe essere un omaggio alla scrittrice gotica, dato che
in giapponese le parole “Sherry” e “Shelley” si traslitterano nello stesso modo
(シェリー)
[9] Il legame tra il golem
Ellis e la terra è reso anche attraverso l’uso di colori prevalentemente scuri
nelle scene di combattimento. Tale scelta cromatica è infatti in contrasto con
la fredda brillantezza azzurra della battaglia contro il golem di luce all’inizio
della seconda stagione di “A Certain Magical Index”
Nessun commento:
Posta un commento