lunedì 15 luglio 2013

A CERTAIN MAGICAL INDEX


 
“A Certein Magical Index” (“To-aru Majutsu no Index”) è un progetto multimediale complesso che parte dalla rielaborazione grafica della serie di light novel scritta da Kazuma Kamachi e che comprende un manga e diverse serie anime. Vista la ricchezza del materiale originale, lo sviluppo narrativo non è del tutto unitario e anzi si può suddividere in due filoni principali; da un lato l’aspetto “religioso” o “magico” della realtà e dall’altro l’approccio “scientifico”.  Seguendo questa linea di discrimine, è possibile tentare una classificazione ordinata dei personaggi che trovano la loro collocazione in uno dei due ambiti, pur essendoci dei punti di contatto.
Ma prima di addentrarsi in una descrizione accurata dei protagonisti, è necessario avere un’idea del quadro d’insieme.
Touma Kamijô frequenta la scuola per esper (nôryoku-sha) in una futuristica Città Studio controllata minuziosamente da un super-computer (il Tree Diagram) e alimentata dall’energia eolica. Pur applicandosi, Touma non sembra avere particolari abilità anzi, tutto gli va perennemente storto e finisce sempre per cacciarsi in guai grotteschi. È quel che succede quando trova sul pianerottolo di casa una piccola suora della Chiesa Puritana d’Inghilterra che dice di chiamarsi Index e indossa una “chiesa ambulante”(aruku kyôkai), cioè una speciale veste protettiva che riassume in se stessa tutte le caratteristiche di una chiesa[1].
 
 
Infatti, non è una persona come le altre: nella sua memoria è stato immagazzinato il contenuto di 103.000 grimori e molti maghi mirano a questa incredibile fonte di potere. Grazie alla convivenza con la ragazza, il protagonista rompe a poco a poco l’isolamento che lo circondava e scopre di avere un’abilità: la sua mano destra è quello che si definisce “Immagine Breaker”, in grado di dissipare qualsiasi forma d’incantesimo. Da qui si dirama uno dei due tronconi principali, quello che mostra gli incontri / scontri tra maghi per il dominio sull’Indice dei Libri Proibiti “contenuto” nella memoria di Index. La caratterizzazione del personaggio e la descrizione delle situazioni è quella tipica delle commedie sentimentali /fantascientifiche: una ragazzina allegra, ingenua e totalmente priva di esperienze mondane piomba nella vita di uno studente mediocre. La lista dei riferimenti sarebbe quasi infinita e andrebbe da “Video Girl Ai” (Masakazu Kazura) a “Oh mia dea” (Kôsuke Fujishima) fino a Chobits (CLAMP), arricchendosi del campionario di suore dell’immaginario dell’animazione nipponica. Prendendo quest’ultimo elemento come aspetto saliente dell’analisi, la figura più vicina è Azmaria Hendrich di Chrono Crusade (Daisuke Moriyama), capace di curare qualsiasi ferita grazie alla sua voce angelica.

 
Oltre ad essere fisicamente simile alla bambina portoghese, la piccola suora possiede poteri analoghi e conferma l’importanza della parola per il dominio della conoscenza e la formazione delle coscienze individuali e collettive. Un analogo processo di sedimentazione di dati è alla base di altre opere fantasy di recente pubblicazione. “Letter Bee” (Hiroyuki Asada) racconta le vicende di Lag che viaggia per consegnare lettere che contengono il “cuore” (cioè i sentimenti e i ricordi) dei mittenti; “Il libro di Bantorra” (Ishio Yamagata) è ambientato in un Paese fantastico nel quale le anime dei defunti si trasformano in veri e propri testi custoditi in una biblioteca. Il caso più simile per argomento e sviluppo narrativo è senza dubbio “La Bibliotheca Mystica de Dantalian” (G. Yûsuke / Gakuto Mikumo), dove Huey eredita un’antica proprietà in rovina e con essa anche la biblioteca che conserva il sapere proibito dei demoni. In “A Certain Magical Index” troviamo la stessa visione indiscriminata dell’insieme dei poteri occulti, monitorati dall’organizzazione anglicana Necessarius (La Chiesa del Male Necessario) che ha base a Londra, nella cattedrale di San Giorgio. Tale organismo segreto non intende danneggiare Index ma piuttosto proteggerla dagli attacchi dei nemici e a questo scopo invia due membri della Chiesa d’Inghilterra per cancellarne la memoria dei fatti quotidiani e preservare la banca dati relativa alla decodifica dei testi.
Stiyl Magnus è un prete dai lunghi capelli rossi, fumatore, pieno di piercing, con le dita inanellate e un codice a barre tatuato sotto l’occhio[2].
 
 
Utilizza le rune per creare dei cerchi magici entro i quali sprigionare le sue fiamme. In questa pratica – e nella sua realizzazione a livello visivo – si fondono diverse tradizioni esoteriche: 1) La prima influenza viene ovviamente dal mondo celtico, dove l’alfabeto futhark era impiegato nei rituali o per scrivere messaggi segreti. Si pensava che il potere delle lettere potesse essere fruito a diversi livelli, ossia sfruttando il loro valore fonetico oppure la loro forma e quest’ultima modalità era considerata la più semplice perché poteva raggiungere anche i non-iniziati. I druidi scrivevano i testi su dei pezzi di legno e poi li spargevano al suolo per praticare la divinazione. 2) In maniera analoga ma rifacendosi all’universo nipponico, Stiyl lancia delle carte-sigillo in modo da delineare il proprio perimetro d’azione. Nella cultura popolare in generale e in particolare nel panorama dei manga e anime contemporanei si rintraccino moltissimi esempi di questa tecnica ma i casi più vicini sono sicuramente quelli che coinvolgono Abe no Seimei, personaggio storico-leggendario vissuto presumibilmente tra l’VIII e il IX secolo all’antica corte di Heian (Kyôto). Sfruttando le conoscenze della mistica dell’onmyôdô, in ogni versione animata, egli traccia una stella inscritta in un cerchio che abbraccia tutta la città minacciandone la distruzione. Tra le molteplici incarnazioni del sacerdote, la più simile a Stiyl sia caratterialmente sia fisicamente è quella proposta in “Otogizôshi” di Narumi Seto[3], in cui si mostra sotto le mentite spoglie dell’attore girovago Mansairaku e dimostra di padroneggiare diverse capacità sovrannaturali.
 
3) Tenendo presente la specificità ignea e l’uso simbolico del cerchio, la mente va al colonnello Roy Mustang, l’Alchimista di Fuoco in “Fullmetal Alchemist” (Hiromu Arakawa), anche se il parallelo tra i due si limita alla tipologia di arte magica controllata e al fatto che entrambi indossano una divisa, ma c’è da notare che, parlando di uniformi clericali da combattimento, la maggior parte dei manga (“Trinity Blood” o “D-Gray man”, ad esempio) s’ispirano a quella storica dei cavalieri templari e quindi il parallelo migliore resta quello tra Stiyl e Abel Nightroad di “Trinity Blood” (Kiyô Kujyô). Il cognome Magnus, comune nell’onomastica medievale europea potrebbe rifarsi ad Alberto Magno, famoso teologo del Tredicesimo secolo che postulava la convivenza pacifica tra religione e scienza.
 

La compagna di Magnus nella missione contro i maghi è Kaori Kanzaki, una santa spadaccina che era stata papessa della Chiesa di Amakusa, una setta che verrà presentata in modo più esauriente nella seconda serie dell’anime (adattamento dei light novel dal settimo al dodicesimo volume).
Essendo giapponese, Kanzaki mescola le tecniche di lotta (fisica e metafisica) occidentali a quelle orientali, rifacendosi a una vasta tradizione di kunoichi (donne ninja) nella cultura pop nipponica e utilizzando un’arma bianca lunga due metri.[4] Basandosi soltanto sulle somiglianze esteriori, si potrebbe ottenere un’approssimazione dall’incontro tra Kagura di “Ga-Rei” (Hajime Sawaga), la cacciatrice “Shana di Shakugan no Shana” e Revy di “Black Lagoon” (Rei Hiroe), anche se l’uso dell’arma bianca in questa serie è appannaggio della killer cinese Shenhua. [5]


 
A completare il gruppo c’è Motoharu Tsuchimikado[6], un vicino di casa e compagno di scuola di Tôma: sia il suo carattere spigliato sia l’aspetto fisico sono complementari a quelli di Kamijô e ne costituiscono un giusto contraltare, evidenziando la funzione ricorrente di Tsuchimikado come spalla del protagonista, mentre il suo vero ruolo di spionaggio per diverse istituzioni viene rivelato solo  durante l’ “Angel Fall Arc”, quando cerca di individuare le cause di un misterioso slittamento che ha mescolato i corpi e le personalità di tutti gli abitanti del pianeta e nel quale sembrano coinvolti anche i membri della Chiesa Ortodossa Russa.

 
Il filone fantascientifico è incentrato su Mikoto Misaka e sull’esperimento genetico di clonazione della sua forza. La ragazza possiede la straordinaria capacità di generare elettricità e la sua potenza viene sfruttata da un gruppo di ricercatori della Città Studio, intenzionati a far progredire un altro soggetto, denominato Accelerator, l’unico in grado di raggiungere il livello sei della scala di misurazione delle facoltà ESP e quindi inserito fin da bambino in un programma d’addestramento speciale. Allo scopo di farlo evolvere, i medici creano in laboratorio dei cloni della Misaka originale solo come bersagli di combattimento. Questo scenario coniuga diversi temi ricorrenti nella sci-fi contemporanea, nipponica e non solo. Per quanto riguarda Misaka e le sue sorelle ci sono due aspetti da considerare: da un lato abbiamo la ragazza-arma che alimenta con le sue mille varianti il genere del cyborg / gunslinger (e il primo riferimento visivo in questo caso è sicuramente Chise di “Lei, l’Arma Finale” [Shin Takahashi]); dall’altro c’è l’immagine del minaccioso esercito di replicanti (ricordate le schiere di “Robo-Liu” in una puntata di Futurama?).
 


 
Il triste passato d’isolamento di Accelerator, “che un tempo aveva un nome normale, persino banale” lo rende simile alla sua vittima, mostrando la freddezza delle istituzioni secondo uno schema che ritorna in moltissime opere di diverso genere: dal bellissimo seinen psicologico “Monster” (Naoki Urasawa) all’horror “Hitsuji no Uta” (Kei Toume) fino al recente “Mawaru Penguindrum”.  Ovviamente qui tutto si risolve per il meglio, con Touma che scopre l’unicità nascosta in ciascuna delle copie di Misaka e Accelerator che, dopo aver ucciso 10.000 “sisters”, si redime salvando l’ultimo prototipo, denominato Last Order (con una chiara allusione ad Alita, la guerriera del celebre manga di Yukito Kishiro).
Anche il ciclo minore intitolato “Deep Blood” sviluppa il tema della diversità, partendo però da un contesto totalmente opposto e sfruttando una serie di presupposti che derivano dall’occulto.  I tre episodi introducono Aisa Himegami una genseki – cioè una persona che ha acquisito naturalmente i propri poteri psichici, senza l’ausilio di supporti artificiali – e, dato che può attirare e uccidere i vampiri, è sempre stata rinchiusa (come Suu in “Clover” [CLAMP]). Quando incontra Touma per la prima volta, la ragazza ha l’aspetto di una sacerdotessa scintoista. Lui la libera e la porta alla Città-Studio, dove viene accettata in una scuola per soggetti particolari.[7] In questo modo – almeno nel corso della prima serie – l’accenno a un elemento horror va perso e appare abbastanza inutile, e anche l’iniziale legame di Aisa con la religione tradizionale giapponese e con l’alchimista Aureolus Izzard, probabile discendente di Paracelso.


 
Le varie trame scorrono parallele, collegate solo dalla presenza di Kamijô, stereotipo privo di spessore psicologico del “normale studente” poco brillante che si rivela un paladino senza macchia, disposto a salvare chiunque sia in difficoltà, anche a costo della sua stessa vita. Anche le sottotrame ruotano intorno a tale principio morale, inserendo ulteriori elementi che poi però non vengono sviluppati a fondo, limitandosi a presentare una serie di personaggi e problematiche che rimangono in sospeso, infittendo l’interscambio tra il piano spirituale e quello scientifico. La corrispondenza di fattori è evidente nel cosiddetto “Ciclo di Hyôka Kazakiri”: Hyôka Kazakiri è un’entità virtuale nata dall’aggregazione della bioelettricità dispersa dagli ESP che esercitano i loro poteri psichici all’interno della città.
La cultura popolare ha classificato questi esseri come mostri o come “angeli”, abitanti di una dimensione parallela chiamata “Settore del Numero Immaginario”. Lo scontro tra l’onnipresente Tôma e la maga Sherry Cromwell getta una luce su un interessante retroscena, coinvolgendo il capo supremo della Città Studio e svelandone le reali intenzioni: creare un “Paradiso artificiale”attraverso l’accumulo di dispersioni elettriche. Il filosofo e sociologo Hiroki Azuma parlava dell’evoluzione di una narrativa i cui personaggi sono basati sull’incrocio di diversi dati all’interno di un gigantesco archivio di fruizione. Nel caso di Aleister Crowley, la ricerca di elementi occulti (evidente nella scelta del nome) s’interseca con l’ampia letteratura sul panopticon che, partendo dal classico “1984” di George Orwell arriva fino all’anime “Psycho-Pass”, annunciato come novità autunnale di Rai 4.
 
Naturalmente si potrebbe fare una piccola digressione sulle molteplici forme assunte da “Alesteir Crowley” nei manga e anime giapponesi, ma è forse più opportuno rimandare questo tipo di analisi a dopo, dato che molte implicazioni saranno svelate solo nel corso della seconda serie di “Index”; per ora, quindi torniamo un momento a Sherry e all’uso dei principi della cabala ebraica nella creazione dei golem.
Secondo la leggenda, chi era a conoscenza dei nomi di Dio e del testo sulla creazione dell’Uomo poteva creare un gigante d’argilla manipolando i segreti dell’alfabeto ebraico applicati allo studio dell’anatomia umana. Il golem
era una sorta di schiavo dalla forza straordinaria, che eseguiva alla lettera gli ordini del suo padrone. Tale figura ha influenzato molto gli ambienti culturali dotti – da Wagner a Mary Shelley fino a Luis Borges – ed è diventata un archetipo ricorrente anche nel pop, sia negli Stati Uniti sia in Giappone. [8]  Tra le molte rivisitazioni, se ne possono evidenziare due apparentemente opposte: (1) la creatura costruita da Camel Munzen in “Shaman King” (Hiroyuki Takei) è un robot capace di modificare il proprio aspetto e le capacità secondo le necessità di combattimento. (2) I golem che compaiono nell’anime di “Soul Eater” sono esseri artificiali plasmati con la terra nella quale è stata infusa la magia e sono manovrati dagli enchanter (fabbricanti di pupazzi) del villaggio ceco di Loew[9]. Quest’ultima impostazione basata sul sovrannaturale più che sulla scienza è simile a quella proposta in “A Certain Magical Index, in cui Sherry Cromwell evoca il suo servitore, Ellis, tracciando sei simboli magici sul terreno, esattamente come avviene per le barriere rocciose erette con l’alchimia in Fullmetal Alchemist (Hiromu Arakawa).



Gli energumeni artificiali costituiscono un punto di congiunzione ideale tra scienza e magia, con la stessa logica ipertestuale che inserisce la storia del dottor Frankestein nella trama della serie televisiva “Once Upon a Time”, e le sue implicazioni pratiche in “Index” trovano una prosecuzione strategica nella seconda stagione dell’anime.

Tutto considerato quindi, i primi 24 episodi servono soltanto a introdurre i diversi bandoli dai quali poi si svilupperanno gli archi narrativi principali che, congiungendosi grazie alla semplice presenza ricorrente dei due protagonisti, un’intricata ucronia tra presente, passato e futuro.



[1] Un’altra forma sintetizzata di “chiesa ambulante” è la croce celtica degli anglicani.
[2] Un character design che ricorda molto il fotografo freelance Badô di Dogs – Bullet & Carnage (Shirow Miwa).
[3]  Specie nell’arco di Tôkyô, ambientato ai giorni nostri.
[4] La nodachi è una tradizionale spada lunga a due mani.
[5] Shana, infatti, usa una nodachi mentre Revy – detta “Two Hands” – maneggia due pistole cutlass.
[6] Il cognome è quello del clan che storicamente prese il controllo dell’onmyôdô nell’undicesimo secolo, quando le pratiche esoteriche furono dichiarate illegali in Giappone.
[7] Dal punto di vista esteriore, Aisa Himegami può essere accostata alle numerose sacerdotesse che popolano gli anime giapponesi da Kikyô di “Inuyasha” (Rumiko Takahashi) a Rei di “Sailor Moon” (Naoko Tateuchi): tale somiglianza è dovuta alla pettinatura chiamata “himegami” [capelli di principessa] utilizzata dalle donne nello shintoismo.
[8] L’etimologia del termine significa “materia grezza; embrione”, mentre in “Index” il nome della maga potrebbe essere un omaggio alla scrittrice gotica, dato che in giapponese le parole “Sherry” e “Shelley” si traslitterano nello stesso modo (シェリー)
[9] Il legame tra il golem Ellis e la terra è reso anche attraverso l’uso di colori prevalentemente scuri nelle scene di combattimento. Tale scelta cromatica è infatti in contrasto con la fredda brillantezza azzurra della battaglia contro il golem di luce all’inizio della seconda stagione di “A Certain Magical Index”

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