domenica 4 dicembre 2011

LE PRIGIONI DEL QUOTIDIANO




The bell jar hung, suspended, a few feet above my head. I was open to the circulating air. (Sylvia Plath)

Si siede sul letto e sospira. Ha passato la mattina a riordinare la casa. Il pranzo è nel forno. Vorrebbe dei tulipani bianchi e rossi da mettere nel vaso in ingresso ma da troppo tempo lui non le porta dei fiori, e comprarseli da sola, come fosse un regalo, le sembra squallido. A essere onesta, non sa nemmeno se suo marito tornerà a mangiare. Da mesi ormai si ferma al lavoro: un panino veloce davanti alle pile di carte da compilare. Tarda persino la sera. Rientra che è già buio, quando lei si è già infilata il pigiama e sta sonnecchiando sotto le coperte, davanti alla tv. Non le dà un bacio. Non le dice nemmeno buonanotte.
La persiana in camera è chiusa. Attraverso le imposte, si vedono i panni che ha appena steso. La camicia bianca col colletto inamidato e la cravatta per la riunione con la direzione aziendale e le mutandine di pizzo rosa che lei aveva provato a indossare una volta, per riaccendere la fiamma dell’allegria coniugale. Non erano mai stati una coppia perfetta, modello Mulino Bianco, ma i primi anni c’era la scintilla della complicità giocosa ed erano felici.
Il pulviscolo filtra nell’aria sorretto da una lama di luce. Le finestre del condominio di fronte sono piccole e anguste sulla facciata giallo uovo. Ricordano un po’ quelle di un carcere.
Adesso tutto era diventato piatto e malinconico, quasi malato. Eppure non riuscirebbe a pensare la sua vita senza di lui, lontana da lì.
Le dita si fermano sul manico del piumino scaccia-polvere. La donna lo aveva poggiato sul comodino, accanto alla presenza muta del telefono.

Queste sono le sensazioni che nascono davanti alla foto Le Prigioni del Quotidiano di Dewi Mustopo, premiata al Saturaprize 2011. Nessuna retorica, per far riflettere sulle gabbie della normale tranquillità.

sabato 3 dicembre 2011

THE ENDLESS ODYSSEY FROM LIGURIA TO EMILIA


Se dovete prendere il treno, prima di mettervi in viaggio controllate con estrema attenzione il sito di Trenitalia. Non si sa mai che, accuratamente nascosto e rimpicciolito in mezzo ai banner pubblicitari ci sia anche un timido avviso di sciopero.
Domenica la stazione di Genova Brignole era un deserto in cui restava solo la presenza fredda delle macchinette automatiche (con un touch screen talmente duro da dover essere quasi preso a pugni!). in compenso la biglietteria di Principe era una bolgia, con decine di malcapitati infuriati o rassegnati che si accalcavano sulla porta della sala informazioni. I trasporti locali erano tutti soppressi per delle misteriose “variazioni”. La voce registrata si scusava per il disagio e tanti saluti ai diritti dei cittadini; l’unica opzione era salire su una Freccia, pagando un supplemento.
Già questo mi pare allucinante. Nell’era degli spostamenti globali in cui i confini dovrebbero essersi cancellati, non sono tollerabili abusi del genere.
Avendo un colloquio lunedì mattina a Modena (il fatto che alla fine abbia scoperto che era a Reggio Emilia ha poca importanza), io dovevo partire e avevo valutato tutte le soluzioni prima di acquistare i biglietti, proprio per evitare di spendere un patrimonio. Non ho scelto io di usare gli intercity. Certo, un piccato ferroviere mi ha fatto notare che avrei potuto aspettare fino alla fine delle irregolarità, verso le nove di sera. Erano le tre del pomeriggio. L’idea che il tempo delle persone valga meno di zero per le logiche aziendali è opprimente, oltre che offensiva. Avete presente Momo di Michel Ende o i progetti nati dal basso di “Banca del Tempo”. Non sono un economista e il mio cervello si spegne anche solo a sentir parlare di SPREAD, BOT, BTP e BUND tedeschi (non so nemmeno se ho scritto correttamente!), non sono in grado di dire se la crisi sia davvero un’occasione per costruire qualcosa di nuovo, come sostengono gli economisti di una scuola troppo utopistica. Penso però che non sia salutare dimenticare il lato umano del mondo a favore dei numeri. I lavoratori che domenica protestavano contro gli stipendi bloccati e le tredicesime inesistenti hanno assolutamente ragione ma i cittadini comuni, che a loro volta lottano per arrivare alla fine del mese e magari quest’anno dovranno tagliare sui regali di Natale, non sono diversi e non dovrebbero pagare.
Non dovrebbero pagare né in termini di costi morali né sborsando dei soldi per rimediare in qualche modo a un disservizio.
Era stato annunciato che non sarebbero state elevate contravvenzioni per i biglietti comprati a bordo dei treni circolanti e che le maggiorazioni intercity sarebbero state contenute.
Nessuna pietà, nessuno sconto. Quando eravamo ormai alle porte di Parma, il controllore ci consegna una cedola: 30 euro extra; e la multa scatta anche per la ragazza che siede accanto a me e che è costretta a tirare fuori 10 euro per gli ultimi cinque minuti di tratta! Si applica il regolamento: l’azienda aveva rifiutato la richiesta di non elevare contravvenzioni. Il dubbio è che la legittima protesta dei lavoratori sia stata sfruttata per batter cassa e riempire carrozze (troppo) climatizzate che di solito sono desolatamente semi-vuote. Sono quasi sicura che questa rapina non servirà ad adeguare i salari né a migliorare la sicurezza o l’efficienza della rete; no, finiranno nelle tasche degli imprenditori che così potranno permettersi l’ennesimo maglione di cashmere e un paio di cravatte firmate.
A questo punto un reclamo è obbligatorio, almeno dal punto di vista etico. E se fossi pignola chiederei anche il risarcimento per il taxi che ho dovuto prendere essendo giunta a destinazione con un’ora di ritardo sulla mia tabella di marcia, quando ormai nella sonnacchiosa Modena gli autobus avevano smesso di girare … Ma nel nostro Paese, sempre più nelle mani di privati affaristi, la voce della gente resta soffocata, zittita dal cigolare degli ingranaggi.
Vi racconterò in seguito come prosegue la storia …

giovedì 1 dicembre 2011

CHE FINE HANNO FATTO I GIOVANI INDIGNATI?


Ho letto un articolo molto interessante. Si osservava che oggi il modello democratico occidentale è in crisi, schiacciato dal potere strisciante degli imperi mediatici e finanziari. Considerando gli ultimi eventi sullo scacchiere europeo e mediterraneo e le numerose interconnessioni a livello internazionale, mi domando che fine abbiano fatto gli indignati.
Mariano Rajoy, con il suo programma di austerity conservatrice ha trionfato in Spagna. Certamente Zapatero non ha saputo navigare nel mare della crisi. Ha fatto scelte sbagliate e ha pagato. Le elezioni anticipate hanno spazzato via il Psoe, che ha perso quasi quattro milioni e mezzo di voti. ma ne valeva davvero la pena? Il Partito popolare ha vinto in 11 delle 17 provincie. Unico baluardo rimangono la Catalogna e il Paese Basco, forse intimoriti dalla promessa elettorale di ridurre le autonomie locali insieme ai pesanti tagli alla spesa pubblica. Qualche sacrificio è necessario. Che dire però dell’aumento della flessibilità sul lavoro (da tradurre in un maggior precariato salariale e sociale) e le restrizioni alle leggi sull’aborto e sulle unioni omosessuali (con le centinaia di gay in fila davanti ai municipi, per sposarsi prima dell’approvazione di nuove norme)? Che fine hanno fatto i giovani di Puerta del Sol?La scelta del governo socialista iberico ha un alto profilo etico. Se le condizioni nazionali si fanno davvero critiche è bene tornare a consultare il popolo: è questo il paradigma che dovrebbe essere implicito in qualsiasi forma di democrazia. Ma quando il premier greco Papandreaou ha cercato di indire un referendum, è stato criticato e costretto a lasciare l’incarico. Il voto avrebbe rischiato di portare al collasso del sistema. Nel mondo retto dalle agenzie di rating e dalle banche non c’è spazio per la libertà decisionale. Che fine hanno fatto i giovani di Atene?
Intanto la borsa italiana oscilla paurosamente, con picchi negativi che minacciano la stabilità della famosa eurozona (un’entità mitica che sempre più somiglia a una specie di Gotham City virtuale).
Nessun atto di buongusto diplomatico da parte del Cavaliere Mascherato. Montecitorio è ora in mano a un governo tecnico (transitorio?). Una contraddizione interna: un governo non dovrebbe essere SEMPRE tecnico, ossia competente? Monti, uomo misurato e quasi noioso se comparato con le biografie da noir d’appendici dei parlamentari degli ultimi anni, guiderà una squadra di bocconiani dal passato amministrativo nelle istituzioni finanziarie. L’impressione è che, di là della credibilità di facciata (che forse risalirà dalla china in cui era precipitata), ben poco cambierà. Il capitale continuerà a imporre le proprie regole sulla politica. Che fine hanno fatto gli effimeri Draghi Ribelli?
Chi cerca di sfidare le grandi corporazioni e i mezzi d’informazione servili, ha vita breve. Dopo mesi di lotte e repressioni il sindaco di New York, Michael Bloomberg è riuscito a far sgombrare Zuccotti Park. Quelle che Chomsky ha definito “plutocrazie sostenute dal benessere” regnano ancora indisturbate e le mille anime del movimento americano non hanno avuto la forza reale di sovvertire l’ordine. Forse il dibattito sul welfare, la disoccupazione, le guerre andrà avanti oltre la protesta, ma non valicherà i confini retorici delle assemblee di anarchici in cui si discute per ore se due persone siano già un gruppo. Che fine hanno fatto i giovani di Occupy?
Le voci dal basso non arrivano a farsi sentire e sono sempre meno rappresentate dalle istituzioni sovranazionali che gestiscono i flussi di una corrente di denaro invisibile e beni fittizi. Il disegno virtuoso si sta deteriorando rapidamente.
Dopo lo scoppio delle rivolte della Primavera Araba, l’Egitto è ripiombato nella spirale della violenza di Stato. O magari non ne era mai uscito. I vertici militari erano al fianco di Mubarak e oggi detengono sia la funzione legislativa sia quella esecutiva. Non ha nessun interesse a smantellare i meccanismi di corruzione: i magistrati responsabili dei brogli elettorali non sono stati rimossi e i ministri che hanno spalleggiato l’ex presidente saranno giudicati da un tribunale civile equo, mentre ai rivoluzionari arrestati negli scontri sono state imputate accuse pretestuose che verranno valutate da commissioni speciali. Due pesi e due misure. Dove finiranno i giovani di Piazza Taharir?
Lo stessosta avvenendo in Yemen. Il presidente Saleh lascia la poltrona al suo vice. Pare che i vecchi regimi siano duri a morire. Non si sa quale sia la ricetta vincente. La “decrescita felice” è un’utopia che non può resistere alla prova dei fatti. Le piccole realtà radicate sul territorio, con una vocazione globale e tentacolare sono l’unica possibilità, ma manca la scintilla che tenga legati i nodi della rete.

venerdì 25 novembre 2011




Provo a tradurre emozioni...

Tell me a story.
A beautiful story in which you love me more than anything else. A story in which I can go free for the world and dance like Snoopy.
And the soundtrack would be the warm voice of Eddie, or a Red Hot's song that reminds me of the our first meeting that day full of light in which we began to exist together.
No wait ... There is nothing like that, just a Botero'spainting in the doctor's office, with its shelves full of pills ordered and ...
Let's go home. I will show mileage sculptures made from colored post-it: it means huge walls of small notes to remember.
What book are you reading now? (Evening winter that cuts like a knife). Near the pillow I have a stack of novels and comic books bought in installments from S.
Each word enriches my tomorrow.
Tell me a story ...

giovedì 24 novembre 2011

Kieslowski 1994 - Tre Colori - Film Bianco.mov



il film di ieri... nn ho ancora finito d guardarlo....

martedì 22 novembre 2011

giornata della coscienza nera




La Terza Giornata della Coscienza Nera è piena di calore e di colori, nonostante che all’inizio la sala mi paia gelata, con i bocchettoni del riscaldamento che sembrano sputare aria fredda. Con la mia giacca e il cappotto di Marta sulle spalle, mi sistemo: astuccio, macchina fotografica, fogli per gli appunti …

Apre la discussione Amina di Munno, una persona squisita che è stata la mia prof di letteratura lusofona all’università. Parla della storia e del mito di Zumbi, lo schiavo che fondò e diresse una delle comunità autonome che più resistettero contro l’oppressione del padrone bianco: un simbolo per tutti gli afro-discendenti (non solo brasiliani), una figura dell’immaginario che torna come una costante nella letteratura, nell’arte, nella musica e nella tradizione popolare.
Il discorso della professoressa Luisa Faldini, altra mia conoscenza, è perfettamente concatenato: il candomblé, in quanto culto “pagano e primitivo”, fu perseguitato sia a livello istituzionale che ecclesiastico dato che si pensava che fosse legato al Diavolo, ma riuscì a superare le censure insinuandosi nei vuoti politici e nelle carenze del sistema sanitario brasiliano degli anni Venti e Trenta, affermando un modello inedito di partecipazione attiva. Un processo che ha consentito gli sviluppi più recenti e l’affermazione della componente nera della società brasiliana, come riporta dettagliatamente Manuela Magalhães dell’Assocaiazione Luanda; un modello ripreso e riconosciuto da Enelia Salinas, donna afro-colombiana e sindaco del paesino di Caldono, in una delle zone più travagliate dell’America Latina (nel vivido ritratto – purtroppo un po’ troppo sintetico - delineato da Mayela Barragán).

Ovunque l’arrivo degli schiavi ha arricchito la cultura locale in tutte le sue forme, creando nuovi orizzonti di dialogo. È questo il messaggio che passa come un filo conduttore attraverso tutti gli interventi. Ogni relatore racconta un viaggio – personale o collettivo, particolare o globale – e un intreccio dalle radici profonde che ha generato espressioni e stili originali: le peculiarità delle comunità afro-ecuadoriane visitate da Antonio García della USEI (Unione di Solidarietà Ecuadoriani in Italia) o i ritmi tribali e andini del gruppo Perú Negro (peccato non aver potuto vedere il video preparato da Carola Osores, bloccato da una sequela sfortunata di problemi tecnici!).
Qui sta il senso dei contributi di Carla Guerra – che descrive con passione la sua Angola – o di Sandra Andrade – che traccia una breve storia di Capo Verde come realtà insulare.
Sulla stessa scia prendono la parola Elva Collao, una pedagogista peruviana, e l’etiope Berche Kidane dell’Associazione Mabota per l’integrazione dei neri in Italia. L’incontro è la sottotraccia delle esperienze sul campo delle organizzazioni che si occupano d’integrazione e di sensibilizzazione allo scambio culturale. Masengo Ma Mbongolo, che rappresenta Malaki Ma Kongo, riferisce divertito di una curiosa gara di fusion tra baccalà alla vicentina e baccalà alla congolese e di mille altri progetti in giro per il mondo per testimoniare l’avventura di un percorso “dal Kongo (con la K) al Congo (con la C)”. E poi ci sono Paola Peroleiro, direttrice e ideatrice dello spazio Suq di Genova, Serena Ospazi del Ufficio Nazionale anti razzismo e Stefano Caterino dell’Associazione Shangó ,che porta avanti il lavoro di life coach applicato a piani di cooperazione e sviluppo (il ch suona un po’ strano in questo contesto decisamente “made in U.S.A”). Ciascuno ha un’esperienza da condividere e le osservazioni puntuali della moderatrice, Laura Pesce, aiutano a mantenere saldo il timone in un mare d’informazioni interessanti. Scrivo velocemente per quattro ore di fila, quasi senza fermarmi (solo un po’ d’acqua mentre, in una pausa riempita da una performance musicale per voci emozionanti e percussioni africane, passavano vassoi di focaccia e caffè)!
È soprattutto sul tema dell’identità ridefinita in senso ampio, sociale e storico, e non più solo territoriale o nazionale contemporaneo, che si leva la voce potente e critica di Udo Clement Enwerezor membro nigeriano del COSPE, arrivato da Pisa.
La mattinata si chiude con le fantasie vivaci e i prodotti tipici mostrati nella piccola sfilata finale. I costumi indossati con eleganza allegra dalle ragazze sono stati ideati da Carla e sono una gioiosa mescolanza di estetiche africane e americane. Maria Benicia, la presidente dell’Associazione Luanda, è raggiante, fasciata in un motivo di triangoli verde-oro: l’evento è stato un successo. Prima di andare via osservo per un attimo le persone che si assiepano nella stanza: vedo italiani – studiosi o semplici curiosi – e neri di diverse provenienze che, con la loro sola presenza, testimoniano la dimensione multiforme della diaspora; e infine, per colmo di casualità, scopro che la signora accanto a me – abito a stelle argentate e accessori di Hello Kitty – è una giapponese che da anni vive in Liguria!

lunedì 21 novembre 2011

RELAZIONI PERICOLOSE




L’11 novembre il nuovo premier giapponese Yoshihiko Noda ha annunciato la volontà del Paese di entrare nella piattaforma commerciale della Trans-Pacific Partnership insieme a altri otto paesi dell’area che, uniti, sperano di poter contrastare l’egemonia economica cinese sempre più schiacciante. A capo del progetto ci sono naturalmente gli Stati Uniti, che premono per abbattere o almeno indebolire le solide barriere protezionistiche nipponiche nel settore agricolo, manifatturiero e dei servizi.
L’allargamento del gruppo già rappresentato dalla Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico (Asean) e l’avvicinamento del Sol Levante agli U.S.A. è un bene o rappresenta l’ennesima mossa di un accerchiamento neo-coloniale iniziato 150 anni fa dal Commodoro Perry? La chiusura delle istallazioni dei marines a Okinawa viene costantemente rimandata è una delle cause dell’instabilità politica dell’Arcipelago; Obama ha aperto una nuova base a Darwin, in Australia rafforzando il controllo strategico su tutta la regione. Le strategie dietro alla diplomazia sono quindi abbastanza trasparenti da dover suscitare la risposta e forse l’allarme dell’opinione pubblica, quasi a ricordare il clima di conservatorismo filo-americano degli anni Sessanta, quando migliaia di ragazzi scesero in piazza per protestare contro il rinnovo del Trattato di Mutua Cooperazione tra Giappone-Stati Uniti, firmato dopo la guerra. In un clima d’incertezza sociale e con i fantasmi dei traumi passati che tornano a galla sulla scia del dramma di Fukushima, Tokyo ha davvero bisogno di stringere alleanze diseguali con un vicino tanto potente quanto invadente?