domenica 4 dicembre 2011
LE PRIGIONI DEL QUOTIDIANO
The bell jar hung, suspended, a few feet above my head. I was open to the circulating air. (Sylvia Plath)
Si siede sul letto e sospira. Ha passato la mattina a riordinare la casa. Il pranzo è nel forno. Vorrebbe dei tulipani bianchi e rossi da mettere nel vaso in ingresso ma da troppo tempo lui non le porta dei fiori, e comprarseli da sola, come fosse un regalo, le sembra squallido. A essere onesta, non sa nemmeno se suo marito tornerà a mangiare. Da mesi ormai si ferma al lavoro: un panino veloce davanti alle pile di carte da compilare. Tarda persino la sera. Rientra che è già buio, quando lei si è già infilata il pigiama e sta sonnecchiando sotto le coperte, davanti alla tv. Non le dà un bacio. Non le dice nemmeno buonanotte.
La persiana in camera è chiusa. Attraverso le imposte, si vedono i panni che ha appena steso. La camicia bianca col colletto inamidato e la cravatta per la riunione con la direzione aziendale e le mutandine di pizzo rosa che lei aveva provato a indossare una volta, per riaccendere la fiamma dell’allegria coniugale. Non erano mai stati una coppia perfetta, modello Mulino Bianco, ma i primi anni c’era la scintilla della complicità giocosa ed erano felici.
Il pulviscolo filtra nell’aria sorretto da una lama di luce. Le finestre del condominio di fronte sono piccole e anguste sulla facciata giallo uovo. Ricordano un po’ quelle di un carcere.
Adesso tutto era diventato piatto e malinconico, quasi malato. Eppure non riuscirebbe a pensare la sua vita senza di lui, lontana da lì.
Le dita si fermano sul manico del piumino scaccia-polvere. La donna lo aveva poggiato sul comodino, accanto alla presenza muta del telefono.
Queste sono le sensazioni che nascono davanti alla foto Le Prigioni del Quotidiano di Dewi Mustopo, premiata al Saturaprize 2011. Nessuna retorica, per far riflettere sulle gabbie della normale tranquillità.
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