martedì 13 novembre 2012

TOKIDOKI














Simone Legno, in arte Tokidoki è il creatore di uno dei brand più apprezzati degli ultimi anni ed è entrato di diritto nell’empireo della cosiddetta “arte colta” sotto l’etichetta generica di “Pop Surrealism” o “Pervasive Art”, che ha tra i suoi capofila nomi come Gary Baseman e Ray Ceaser, ed è sbarcato alla Peggy Guggenheim Foundation di Venezia, che gli ha commissionato una mascotte carina per il museo. I personaggini firmati Tokidoki sono rassicuranti e conosciuti in tutto il mondo e persino in Giappone, patria spirituale di Simone, tanto che la Yamaha lo ha invitato a seguire Valentino Rossi nei giorni del Gran Premio. Le forme tondeggianti piacciono a un pubblico davvero eterogeneo, che va dai bambini ai pugili, e anche le celebrità hanno le hanno apprezzate, accostandosi spontaneamente al marchio e facendo poi nascere una collaborazione per le diverse linee di merchandising di gruppi musicali, attori e calciatori famosi (anche se sono sorte delle controversie legali con grandi aziende che hanno utilizzato le immagini senza licenza). L’avventura è cominciata sul web nel 2002, grazie a un sito nel quale il designer si metteva completamente in gioco (da qui il suo nickname, che significa “Qualche volta”, perché “qualche volta è possibile emergere”). E il sogno diventa realtà: in due anni il blog interattivo, che utilizzava un sistema innovativo di animazione, registra 17mila contatti al giorno. Questa notorietà virtuale apre la strada al passo successivo, cioè creare una società strutturata con due partner americani e partire per Los Angeles, dove si è inserito in una rete di conoscenze ramificate. In Italia ritrova volentieri le proprie radici, ma spiega che è troppo difficile affermarsi, per colpa della burocrazia, dei circuiti di raccomandazione e della scarsa considerazione istituzionale per i prodotti culturali: un periodo di formazione all’estero (negli U.S.A. o nel Sol Levante, dove vige il principio di meritocrazia) è necessario per la crescita artistica e intellettuale.

Ispirandosi al kawaii nipponico, Tokidoki cerca di sviluppare un proprio linguaggio originale, disegnando soggetti con una personalità e una storia: alcuni vengono continuamente rilanciati e reinventati, altri sono stati abbandonati nel corso del tempo. l’attitudine di questo ragazzo romano, si discosta sia dalla visione disneyana sia dalle procedure seriali del superflat: se Takeshi Murakami lavora con un numero limitato di vettori riproducibili e con uno staff di assistenti. Legno vuole ancora controllare ogni momento della creazione per imprimere un aspetto personale a ciascun nuovo character e ne cura l’estetica, con l’aiuto tecnico di un team. Nonostante questo sforzo per creare un universo coerente, raramente questi esserini lasciano l’universo del chara per evolversi in qualcosa di più complesso: esistono delle animazioni a livello sperimentale ma si tratta di operazioni minime e marginali perché, secondo Simone, dando movimento e soprattutto voce alle immagini, si rischia di rovinarne la magia, com’è avvenuto ad esempio con Hello Kitty. E anche il fumetto, pur restando bidimensionale, non renderebbe giustizia allo stile tipico di Tokidoki, che in genere esula dalla realtà e dalle difficoltà di una trama schematizzata. Il reportage delle giornate giapponesi del GP rappresenta un’interessante esperienza isolata, una narrazione veritiera vista attraverso il filtro del super-deformed e la collaborazione con la Marvel per una serie di pupazzetti degli eroi più noti, è probabilmente il lavoro che più ha avvicinato Tokidoki al variegato cosmo della grafica a vignette. Il mercato di punta resta quindi quello dei toys, anche se negli Stati Uniti il settore è in lento declino, forse per via della crisi o più semplicemente per il naturale alternarsi delle mode, e si stanno esplorando canali alternativi di distribuzione, lontani da quelli tradizionali.

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