lunedì 2 settembre 2013

THE MIND OF THE TRAVELER


 
 
Un antropologo da qualche parte ha detto che di un viaggio si racconta il soggiorno senza mai soffermarsi sul percorso. Per questo mi piacerebbe annotare qualcosa sul ritorno verso casa, spossata e cambiata come Gilgemesh ma senza la corona dell’eroe. «Cassy, vorrei che mi offrissi una bottiglietta d’acqua in un autogrill: tanto per giocare a fare la persona normale» «Allora potremmo fermarci all’Area di Sosta V, come facevamo quando eri piccola» Rifletto un attimo, esitando sulla corda dei sentimenti addormentati «Ah ok, volevo proporlo ma mi sembrava una cosa stupida ma se ti va, io ci sto» «Perché stupida?» Un momento di pausa «… E comunque tu sei normale»

 

L’auto rallenta, subito dopo le due torri della fabbrica, bianche e rosse come spirali di zucchero americano e l’insegna già quasi luminosa nel cielo calmo di una serata pre-estiva, indica oasi di cemento con caffè, toilette e souvenir.

Dentro, tutto è cambiato in venticinque anni d’indifferenza e lo spazio mi sembra più angusto ora che sono adulta e i mostri di plastica che amavo da bambina sono spariti. Il passato non torna.

«Vado a cercare un po’ di pane» Cassy si eclissa tra gli scaffali carichi di dolci take-away come nella bottega di Babbo Natale mentre io bevo un sorso gelato e mi scindo ancora: sperando di trovare Alissa addormentata da qualche parte con uno scheletro finto stretto nel pugno, lascio che lo spirito vaghi, allontanandosi da me. Mi chiedo quando sia avvenuta la sostituzione. Quando la bimba dai boccoli biondi è diventata Mary Ellis, con la sua morale da prigioniera suicida? Adesso sogno di essere qualcun altro, qualcuno in grado di rompere le sbarre della logica. 

«Eccomi! Andiamo?» Lei riemerge trionfale con una baguette sotto il braccio, in puro stile francese; e io mi avvio verso l’uscita, passando in un dedalo di occhiali da sole e cd di merengue.

 

La strada scorre come un nastro d’asfalto e compaiono le prime case affacciate su di un mare appena intuito. Alte e longilinee, sono cavalieri inesistenti che si preparano alla crociata, nelle loro armature rosa, ocra e giallo pastello; e su tutte veglia il santuario in collina con le cupole tonde che sembrano il cappello domenicale di un vescovo; e poi i giardini ottocenteschi chiusi dietro le mura del parco. Gli occhi seguono il motivo ad archi aspettandosi un seguito o una stazione, come se si trattasse di un infinito percorso in treno scandito dai segni bianchi dentro le gallerie. È bello partire, ma il ritorno regala un piacere diverso, tiepido e avvolgente.

Cinque giorni sono il periodo ideale da trascorrere in campagna, prima che la noia guasti i pomeriggi pigri trascorsi all’aria aperta. Vorrei dire: “A giugno forse potrò andare alla spiaggia senza vergognarmi”, ma poi mi fermo per evitare una predica sul presunto libero arbitrio delle bagnati che a volte esibiscono corpi non proprio da cartolina con la serenità inconsapevole degli atti banali.

«Certo che la città è proprio bella!»

Persino lo statuario rematore fascista all’inizio del viale mi sembra affascinante, forte e fiero, nudo con la sua pagaia e lo sguardo perso all’orizzonte. Non c’è traffico e le locandine di un teatro annunciano gli ultimi spettacoli della stagione: quest’anno non ne ho visto nemmeno uno: colpa della crisi o della mia mancanza fisiologica di energie bruciabili? Anche ora sono stanca della vibrazione costante del sedile provo a chiudere gli occhi per un secondo, tanto ho finito il capitolo del romanzo che mi scivola in grembo … Ma una nuova scossa mi riporta subito alla realtà, un sussulto che spegne il motore in un minuscolo parcheggio di fortuna. «Scendi ché cominciamo a scaricare». L’accumularsi misterioso dei bagagli in ogni angolo utile ha qualcosa di prodigioso che non mi so spiegare e l’operazione di trasporto segue le regole di una spedizione carovaniera che attraversa il deserto, diretta a verso un miraggio: prima le provviste alimentari – stipate in sacchetti e borse refrigeranti mal sigillate – poi i vestiti e infine lo zaino e il basso, inguainato in una custodia nera che ricorda i sicari di certi film noir. Ci mettiamo subito a tracolla i due portatili, per avere anche stasera uno schermo che si accenda sull’ennesima puntata de I Soprano, e camminiamo curve sotto il peso dell’esperienza punteggiata di oggetti.

 Siamo sherpa che sfidano la Montagna Sacra.

 

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