martedì 25 settembre 2012

RED FOUNTAIN

24 SETTEMBRE.


Ormai è autunno anche per i calendari più sballati, non ci sono appelli.

Qualche tentazione dalle nuove collezioni nelle vetrine. Due signore discutono compunte della raffinatezza di un paio di francesine color tortora mentre io m’innamoro senza appello di un assurdo golfino d’angora rosa. È il genere di cosa che starebbe bene a Jane, di quei maglioncini che fanno tanto collegiale inglese … Con Jane avevamo fantasticato di andare celebrare i momiji che in questa stagione diventano rossi alle pendici del monte Hiei, a Kyôto, là dove si è rifugiata la leggendaria geisha Mille Draghi (ammesso che alle pendici del monte Hiei ci siano davvero degli aceri). In giapponese, la parola “autunno” si scrive con un carattere che combina “albero” e “fuoco”. Con rispetto riverenziale avremmo fatto insieme kanpuukai, godendoci quelle fiammate vegetali che vestono il paesaggio come pennellate pazze.

Me la immagino, Jane, a comprare wagashi in scatole di legno laccato, kimono di seta con obi altissimi e soffocanti e geta dalla zeppa impossibile (Molto, molto rock & roll baby!) mentre io girerei con un completo da sacerdotessa miko preso ai grandi magazzini Don Quijote e indagherei sui mostri dell’antica capitale, annotando formule sul mio taccuino di Kitty-chan.

Ma per ora siamo qui e per un provocatorio attacco d’arte performativa l’acqua della fontana in centro è diventata rossa come il sangue.

È autunno e, passando nel reparto pasticceria della Coop, mi viene voglia di mangiare un dolce. Un dolce purché sia … Ossignore … paste alla frutta, brioches al miele e cornetti al cioccolato, cannoli siciliani e soprattutto torte alla mela con sopra una spolverata di cannella … Getto un’occhiata al banco forno illuminato da neon bassi e spingo avanti il carrello … Potrei portare una primizia alle mie amiche: un gateau di Douche – così snobbisticamente francese … Da Grom è arrivato il gelato alla castagna (sesonal flavour). Rabbrividisco un po’.

È autunno e la prima zuppa dell’anno me lo conferma inconfutabilmente: zucca e porro. Potrei aggiungerci un pezzettino di zenzero, pesandolo con la frutta: non mi concedo la minima distrazione, ogni variazione aumenta i miei sensi di colpa. D’altra parte sotto al bricco di ceramica degli accendini, accanto ai fornelli, c’è il tappo di un passato di verdura della Plasmon, a mettere ben in chiaro che l’indipendenza è lontana chilometri, mentre salgo e scendo sulle montagne russe della mia percezione distorta.

È autunno. Le boutique lanciano nuove collezioni: mattone contro marrone scuro. Se penso alla sfumatura testa di moro, mi viene in mente il dottor Sam Bennett, con la sua flessuosa eleganza inequivocabilmente sessuale come quella di certi atleti neri delle Olimpiadi … Non ci posso fare niente, anch’io apprezzo la bellezza! E allora ancora una volta mi ritrovo di fronte alla bruciante ingiustizia dell’imperfezione. Oggi ho indossato un vestito di sintetico con motivi grigio-verdazzurri, troppo troppo fasciante. Prima di uscire ho consultato lo specchio. Forse mi dovrei vergognare, ma il mio armadio adesso comincia a restituirmi l’abbigliamento a maniche lunghe, e volevo sfoggiare la borsa di Alice, dopo che Cassy l’ha scroccata ottenendo quasi il cinquanta per cento di sconto. Ho infilato una maglia indiana per mitigare il probabile effetto insaccato e ho scattato un paio di foto – tanto per sicurezza. Fuori la gente non si è ancora arresa al brusco calo della temperatura: ci sono donne in canottiera e fighette che si baciano in punta di dita su strati e strati di cipria (Taffettà, caro. Taffettà!), conciate come se dovessero andare al mare. E poi una bambina bionda, così splendida che mi sembra accecante, che cammina all’indietro di fianco alla madre per salutare il disegno di un pollo in una gabbia che qualcuno ha fatto con la bomboletta sull’architrave del tunnel della stazione. Meraviglioso quadretto della famigliola felice che mi è venuto incontro nel pomeriggio ma le giornate si stanno accorciando e, quando esco dalla riunione, è già buio.

Non mi piace tornare in una casa sempre vuota. Mi sento soffocare. E così misuro i passi, inventando una strada che è sempre la stessa, ma di sera è meglio allungare un po’ il tragitto perché nel sottopassaggio non c’è più un’anima, e i graffiti sui muri gialli hanno un’aria minacciosa, dopo che anche il tizio pakistano che chiede l’elemosina ha smesso di suonare. Restano solo pozze d’acqua marcia e una luce artificiale da stupro che ricorda una canzone dei Cure con un ossessivo giro di basso. Sarà la suggestione di un racconto di Ondine (“Corri, cori che tanto ti prendiamo!”), ma preferisco passare per la galleria carrabile tirandomi la maglia fin sul naso per filtrare le polveri sottili che sottilmente mi sporcano il respiro.



24 SETTEMBRE, 21:16. Se nonostante la mia lentezza volutamente cadenzata, le luci dovessero ancora essere spente, andrò in camera mia, avvierò il computer e ascolterò a tutto volume le prime tracce di Nevermid [Deluxe Edition]. Poi selezionerò un altro programma per mixarci sopra i timpani possenti della Sinfonietta di Janacek. Esperimento interessante: cosa succede quando accanto alla luna ne sorge un’altra verde, malata e deforme?
 Osservo il cielo che minaccia pioggia. Se nonostante tutto, la porta dovesse essere ancora chiusa a doppia mandata, inserirò il disco nel lettore cd e lo lascerò scorrere fino alle bonus track.

If I die before I wake / Hope I don’t come back a slave” o forse era “Better to reign in Hell / than serve in Heaven”? Non importa. Procedo per caotiche associazioni d’idee. In un mondo in cui Nessuno accendeva le lampade, anche i più piccoli frammenti di cuore prendono vita.

http://www.youtube.com/watch?v=PjiCXtklPSA
http://www.youtube.com/watch?v=NCXRqgXiARA
http://www.youtube.com/watch?v=w7U_c1_EmV8

Nessun commento:

Posta un commento