mercoledì 22 maggio 2013

MY BEAUTIFUL STALKER



La pioggia


Mi spinge a riempirmi la pancia di liquidi caldi. Come per una specie di omeostasi.

Lascio gocciolare i minuti sul roto-quadrante dell’orologio, guardando il mio viso giallognolo riflesso in una puntata de I Soprano.

«Ti sei svegliata stamattina e hai preso con te una pistola. Non ci sono dubbi: tu sei la prescelta» disse il bravo padre di famiglia armato di rivoltella.

«Che la Forza della Ricerca sia con te!» disse Trazorel-Kenobi dallo schermo liquido del mio cervello.



http://youtu.be/rjVYu_NCwh0


Se non fosse per senso del dovere, probabilmente non uscirei, ma Jane e Ondine sono a Milano – lanciate sul red carpet della celebrità artistica – e le chiavi dell’associazione pesano nella tasca del mio giaccone impermeabile. Puro lavoro concettuale dietro una tastiera, non so niente di prezzi e d’imballaggi. Demanderò tutto a Tony, il tuttofare. E poi c’è l’ennesima stagista. «Cioè, ero al bar e avevo preso un’insalata di farro. Ed era già tanta, no? E arriva questo cameriere che è amico di un mio amico – cioè, praticamente io non lo conosco – e mi offre una fetta gigantesca di torta alla panna! … Cioè, buonissima ma sto scoppiando!» Nicole si poggia una mano aperta sul maglioncino rosso, sul ventre piatto. Il campanellino d’argento che porta al collo tintinna. “Che fai, Tinker Bell, mi prendi in giro?”. Da anni non tocco dolci, se non con un pensiero amaro di voglia fantastica, e ora arriva questa universitaria splendente con il suo nome fragrante di bosco, le gambe lunghe, i ricci naturali e un curriculum costellato di master all’estero, e mi sbatte in faccia i difetti dell’imperfezione. «Sul serio vieni sempre a piedi? Ma casa tua non è lontana?» Annuisco per stoico automatismo.

Per la verità, ieri ho usato l’autobus.



Ho acceso la radio per isolarmi dal mondo e ho abbracciato il palo giallo / blu dell’obliteratrice. «Ehi!» Una voce mi picchiettava sulla spalla. Un sobbalzo. Non era il controllore. Lucretia mi stava di fronte e all’improvviso ho ricordato la bellezza dei suoi occhi chiari, il labirinto delle sue bugie compulsive e il disprezzo altezzoso con cui freddava ogni patetico sforzo da cavalier servente – «Quando fa così è meglio lasciarla perdere, quella» disse la Principessa della Luna Morta.

«Ah, che tela aggrovigliata tessiamo quando impariamo a ingannare» disse il bardo in calzamaglia dalla polvere delle mie nozioni scolastiche.



Una volta eravamo “migliori amiche”, ma lei era il tipo di persona che sente di dover continuamente abbellire lo squallore della realtà con un nugolo di storie impossibili. All’epoca ero tanto sola che, se avessi avuto ancora un atomo di “normalità”, avrei potuto chiederle un certo tipo di protezione da leggenda romantica, ma le sue fantasie erano piene di sudiciume. Tutte le bambine sognano di diventare spose-modello, incoronate di fiori nella chiesa consacrata di Gardaland. Quando sei piccola, nessuno ti spiega che non somiglierai mai alle attrici del cinema, che dovrai impugnare la spada per sconfiggere il drago e ottenere un regno di plastica, nessuno ti spiega quali sono i sentieri che puoi percorrere e quali invece sono off limits, sigillati da un nastro fluorescente.

«Keffai adesso? Dove lavori?» Periodicamente, Lucretia mi tende un’imboscata mascherata dai sorrisi. Adesso aveva la pelle troppo liscia ed era dimagrita – La sua silhouette patologicamente dimezzata raccontava che non se la stava passando bene. «Scrivo. L’ufficio è nei vicoli» Ho pensato: “Meglio tenersi sul vago e non cedere alla tentazione di incasinarmi di nuovo la vita.” Ho pensato: “Non salirò mai più su un bus, dovesse diluviare!”

Sono scesa a precipizio lanciandomi dietro un «Ti chiamo io» che sapeva di circostanza rancida. Ho fatto gli ultimi metri di corsa, sperando che Jane fosse arrivata in anticipo per sbrigare un po’ di faccende prima di partire. Le viscere si muovevano con uno sciabordio di risacca dolorosa e improvvisa, e non era semplicemente la zuppa di miso un po’ troppo abbondante che veniva rigettata in ondate solide. K diceva che l’amore è come un misto di acqua Evian e acido per batterie ed io stavo sperimentando la potenza di una reazione chimica non prevista, continuando a proiettare la luce azzurra di quello sguardo da pazza assetata di affetto.



Al tramonto, eccomi di nuovo alla fermata (tanto per infangare certi solenni giuramenti da panico).

Tenevo l’ombrello attaccato al corpo, quasi sospeso sulla testa, inondata dai riflessi verdi della tela cerata sotto i lampioni … come uno spiritello sotto la sua foglia di farfaraccio. Colpevolmente, ho teso un dito implorante verso un parabrezza arancione, controllando con un filo d’ansia il numero digitale sul display e la fila di passeggeri annoiati: niente pericolo.



Ieri. Sono tornata un po’ troppo presto, nel buio respingente.

La pioggia

Ha lasciato nel bagno un odore di sangue rappreso.

Storcendo il naso, ho steso i vestiti umidi sullo stenditoio rotto, ho spruzzato lavanda sintetica in tutte le stanze e ho cercato delle candele profumate, ma la puzza non se ne andava. Pesante come il piombo, mi sono buttata nell’abbraccio morbido / morboso della poltrona. Diventavo un gatto evanescente con i primi sintomi della Sindrome di Cotard che si presentavano violentemente fisici: emorragie immaginarie & organi scomparsi & pietrificazione senza memoria.



Passato in putrefazione.



















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