mercoledì 6 marzo 2013

HYOUKA






Come si è già detto altrove, Hyouka è una delle serie più discusse del 2012 ma presenta indiscutibili


lati positivi: innanzitutto la qualità dell’animazione e l’eccellente character design. La colonna sonora vanta pezzi di musica classica di Bach e Beethoven e brani originali di Kouhei Tanaka e si è aggiudicata il NekoAward di quest’anno per la opening (anche se il mio voto andava decisamente alla seconda ending mentre trovavo la seconda op irritante!)

La Kyoto Animation, reduce dai grandi successi di K-ON e La malinconia di Haruhi Suzumiya, ha lasciato la strada già percorsa per sperimentare qualcosa di nuovo cimentandosi nel “mystery”. Le virgolette sono d’obbligo perché si tratta di un tipo di “mistero” molto diverso da quello che ci si potrebbe aspettare: non ci sono delitti o morti sospette, ma solo fatti strani che punteggiano la vita quotidiana di un liceo giapponese, scandita dalla normalità degli eventi stagionali. In questo senso, trovo dei punti di contatto tra Hyouka e Sayonara Zetsubô Sensei: in entrambi i casi, la trama si basa su di una serie di equivoci, giochi di parole, ruimandi visivi e intuizioni, e anche la costruzione grafica di ambienti e personaggi è analoga (Kaho, la chiromante somiglia Kiri Komori, l’hikkikomori che si nasconde sotto una coperta). I piccoli gialli sono la trasposizione delle storie proposte in 4 light novel di Honobu Yonezawa e si sviluppano seguendo archi narrativi lunghi, oppure si esauriscono in una sola puntata, ma il meccanismo è sempre lo stesso, ossia il ragionamento induttivo tipico dei maestri del giallo (citati esplicitamente nella serie), da Conan Doyle ad Agatha Christie.
A fare la parte del detective è Hotarô Oreki, un ragazzo apparentemente apatico ma dotato di grandi capacità di osservazione; a fargli da controparte nelle sue ricerche c’è naturalmente il suo amico fidato Satoshi Fukube, tratteggiato con un carattere opposto. All’apparenza è spensierato e allegro ma la sua psicologia si svela man mano che l’anime procede, mostrando diverse sfaccettature nascoste. È stato notato che il rapporto tra i due ragazzi ricorda quello tra Tomoya e Sunohara in Clanned (altra produzione dello studio), tanto che sono stati scelti gli stessi doppiatori, togliendo un po’ di personalità ai personaggi. Non avendo visto Clanned, mi sono venute in mente altre connessioni: anche per l’aspetto esteriore, Fuku mi ricorda Nobu di Nana – eternamente secondo.

La costruzione della vicenda invece potrebbe essere la realizzazione della trama del manga fittizio Perfect Crime Party che compare in Bakuman, dove i protagonisti – dei bambini delle elementari – mettono in scena piccoli scherzi e indovinelli che si risolvono grazie all’attenta osservazione dei dettagli (Non a caso, il rappresentante del Club di Go somiglia a Eiji Niizuma!). Ed in effetti, l’anime risente dello stesso difetto del lavoro del duo Ohba / Obata: le battute dei dialoghi sono spesso un po’ troppo lunghe e farraginosi, togliendo un po’ di ritmo agli episodi (ma forse questo dipende anche dal fatto che l’ho visto con i sottotitoli in inglese).

Ovviamente, del Club di Letteratura Classica (koten-bu) fanno parte anche due ragazze. Mayaka Ibara ed Eru Chitanda. La prima sembra scontrosa ma è sempre disposta ad aiutare tutti ed è innamorata di Satoshi. La sua personalità, ben delineata dal doppiaggio di Ai Kayano (Menma di Ano Hana; Kanade in Chihayafuru); la seconda è l’immancabile figlia ricca la classica nadeshiko yamato con caratteristiche moe che forse richiamano Tomoyo di Card Captor Sakura. La sua gentilezza un po’ datata incarna diversi stereotipi tipici delle serie di ambientazione scolastica e a volte si ha l’impressione che serva solo a creare siparietti comici. Effettivamente, è lei a spronate Hotarô e a suscitare il suo interesse ripetendo il tormentone “ki ni narimasu” (sono curiosa) oltre a risvegliare un’attrazione sentimentale inconfessata, ma penso che la sua reale funzione sia aprire uno spiraglio sulla concezione gerarchica della società nipponica, esattamente come la coppia Fukube / Oreki va letta per la sua intrinseca asimmetria.

Per capire il senso della serie e l’evoluzione dei rapporti interpersonali tra i quattro protagonisti è, infatti, necessario conoscere la dicotomia tra essere e apparire (tra tatamae – ciò che si mostra in pubblico – e hon’ne – ciò che si prova veramente) sulla quale si basa la vita nel Sol Levante: bisogna sempre mantenere separati i due piani! Allo stesso modo, per giungere alla soluzione di un enigma, occorre scindere razionalità ed emotività e scartare le opzioni impossibili.
Intorno al nucleo formato dal koten-bu ruotano gli altri studenti della scuola.Fuyumi Irisu detta L’imperatrice (Jotei) – a cui si abbina Jirô Tanabe, il presidente del consiglio studentesco – è forse il personaggio più noir in senso tradizionale, dato che il pallore e l’alterigia sembrano rimandare ai manga cupi di Kei Toume (per esempio Il silenzio degli innocenti), mentre la sua compagna di classe, Misaki Sawaguchi è disordinatamente solare richiama ancora una volta il tratto di Ai Yazawa (il parallelo è soprattutto con Miwako di Paradise Kiss). Ma il vero nocciolo “noir mystery” è costituito dalla coppia Tomoe Oreki / Jun Sekitani. La sorella di Hotarô, appena tornata dal suo personale viaggio di formazione, era solita spedire lettere al fratello consigliandogli di entrare nel club di letteratura e, senza mai apparire interamente, pare trasformarsi nella rappresentazione della coscienza del protagonista più che essere una presenza reale. In modo simile, lo zio di Eru Chitanda ha un antico legame con l’istituto Kan’ya e ne interpreta le istanze collettive, restando sempre nell’ombra come leader del movimento studentesco degli anni Sessanta. Il ciclo introduttivo è anche il più lungo e quello che ho trovato più interessante per la peculiare ricostruzione storica del contesto che, per la prossimità temporale, è paragonabile a quello di La Collina dei Papaveri di Gorô Miyazaki o alle atmosfere più serie del film Notte e Nebbia del Giappone di Nagisa Ôshima.

A fronte di tutte queste considerazioni, è pur vero che le potenzialità delle singole situazioni non sono state utilizzate fino in fondo e le relazioni tra i diversi ragazzi potevano dar luogo a un intreccio più articolato, magari agendo meglio da collante fra i vari segmenti narrativi che, così sono legati da un filo conduttore un po’ troppo esile.



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