sabato 23 marzo 2013

MON PETIT CHOU (Os eterônimos #2)



23.24 «Hanno ricoverato Altair» disse Margot all’altro capo di un telefono freddo.


Aveva diviso con lui più di vent’anni, ma questo era stato dopo. Quando si erano conosciuti, nell’androne buio di un albergo dei vicoli, Tair si stava già impossessando della coscienza di Al e la nebbia offuscava il presente, il futuro e forse anche il passato. Ma ancora non esisteva Tar, il grigio signore con un pesante bagaglio di rimpianti asmatici.

23.58 Mentre il calendario faceva uno scatto in avanti sul dodicesimo meridiano, le molteplici identità del Capitano sedentario svanivano sotto le stelle. Una bussola rotta indicava di colpo l’ultima isola. «Tuo padre è morto» disse Margot. La sua voce era un filo irreale.

Sono passati sette anni.

Siedo su una panca di legno della cucina accogliente, nella casa che doveva essere sua, sulla collina. Da qui si vede il mare e forse lui avrebbe potuto piazzare un cannocchiale d’ottone sul davanzale della finestra per spiare l’andamento delle onde. E continuare a navigare con l’immaginazione.

Invece no.

C’è qualcosa di stonato nell’atmosfera domestica, piena del profumo caldo delle torte domenicali. C’è qualcosa di sbagliato nel mio sentirmi bene sul fondo del disagio.

«È come entrare sporchi di sangue nella tana del lupo (essendo un agnello)» . Le nocciole diventano dorate sull’impasto al cioccolato, il budino si raffredda nel frigo, le tartine a forma di cuore sono coperte di salsa rosa al salmone. Tod vive in una perenne estate boschiva e circola in maglietta, infradito e camicia di flanella alimentando il camino a legna. Seguo distrattamente le avventure scontate di una teenager americana che trova la sua strada dando gomitate nel Roller Derby. È una delle tipiche ragazzine bruttine che appena si toglie gli occhiali diventa una figa, come Clark Kent che entra in una cabina, infila una tuta aderente e si trasforma in Superman. E nessuno lo riconosce.

Magari fosse così semplice! A me basterebbe cambiare collant per far tornare Alissa? Sì certo, come no!

Fisso lo schermo e provo a non pensare. La neve catodica invade il mio cervello, smossa appena dalla voce di mio fratello «Adesso ho scoperto i Muse. Ho la discografia completa»

Li aveva salvati anche su una chiavetta USB da tenere nel motocarro di Tod, carico di bombole.

Sono stata troppo assente e il tempo è volato senza che me ne rendessi conto. Mi volto verso quel ragazzo più alto di me, una massa di capelli ribelli e i modi un po’ indolenti degli adolescenti tecnologizzati. Evidentemente sta cercando un argomento di conversazione, ma non condividiamo molto noi due, a parte i post su Facebook.

Scappando, avevo troncato ogni dialogo – Bambina amata e non voluta – e adesso è davvero troppo tardi … Ma per lo meno, Samuel non ha dei gusti barbari in fatto di musica. Salendo lungo i tornanti ogni scossone poteva farci saltare in aria con il carico di gas del cassone. Le insegne delle discoteche mafiose che incrociavamo non lasciavano presagire nulla di buono ma pare che ci sia una specie di predisposizione genetica al rock; o quantomeno un imprintig neonatale.

Nel periodo in cui Tair e Margot vivevano ancora in città con il piccolo, andavo da loro dopo la scuola passavo il pomeriggio nel salottino, osservando Sam circondato dai cuscini del divano. Per farlo addormentare, papà lo cullava chiamandolo “Zapatista” e raccontandogli storie di Messico e nuvole; io gli cantavo una canzone dei Nirvana e poi lasciavo del blues anni Settanta come sottofondo. Tar non era arrivato con il suo alito nero. Tutto era quasi perfetto.



Conservo la chiave di quell’appartamento in cima alle scale di un’antica torre abbracciata dall’edera. Chissà se potrei ancora aprire una porta?

Tod ruba un gambero avvolto nella pastella croccante «Buono, ma io preferisco il porceddu sardo»

Già, ricordo che l’arrosto era stato il piatto forte anche alla festa per la comunione di Sam, quando i genitori di Tod erano stati ufficialmente riconosciuti con il titolo onorario di “suoceri”. Anche allora io avevo notato uno stridore che gli altri non sembravano percepire. Seguivo le parole sulla pagina sbagliata di un libro ingiusto e non sapevo nemmeno di preciso da quanto era iniziata la lettura.

I più giovani correvano dietro a una palla improvvisando una partita nel campetto del paese.

I capitoli migliori, quelli nei quali potevo ritagliarmi un ruolo, erano stati cancellati.



http://youtu.be/zhAmug6Ts6o  
http://youtu.be/gHBo3hDnoFs 
 http://youtu.be/MKAmDBiCq5E

Nessun commento:

Posta un commento